A lungo non si parlò del massacro di Tulsa

La storia di quello che successe in Oklahoma il 31 maggio 1921, quando una folla inferocita di bianchi uccise centinaia di afroamericani e distrusse un intero quartiere

Il memoriale del massacro di Black Wall Street a Tulsa (Win McNamee/Getty Images)
Il memoriale del massacro di Black Wall Street a Tulsa (Win McNamee/Getty Images)
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All’inizio del Novecento c’era un quartiere di Tulsa, un’importante città americana dello stato dell’Oklahoma, dove il tenore di vita era particolarmente alto. Si chiamava Greenwood e ci vivevano più di diecimila persone afroamericane che gestivano e frequentavano fiorenti attività commerciali, un fatto anomalo per gli Stati Uniti di quell’epoca, in cui negli stati del Sud i quartieri a maggioranza nera erano di solito i più poveri. Greenwood invece era così ricco che il noto intellettuale afroamericano Booker T. Washington l’aveva definita “Negro Wall Street”.

Nell’arco di un solo giorno di cento anni fa, il 31 maggio 1921, la prosperità che la comunità di Greenwood era riuscita a costruirsi fu distrutta in un episodio rimasto per decenni ignorato dalla memoria collettiva statunitense, e riscoperto solo di recente anche grazie alle testimonianze, a una commissione statale e all’interesse suscitato da alcuni prodotti culturali come la serie Watchmen del 2019, ambientata proprio a Tulsa.

Quello che oggi è noto come massacro di Tulsa ebbe come causa scatenante un confuso episodio avvenuto il 30 maggio tra Dick Rowland, un diciannovenne nero di professione lustrascarpe, e Sarah Page, una diciassettenne bianca che faceva l’operatrice di un ascensore. Page lavorava in un edificio in cui c’era l’unico bagno pubblico della città per persone nere (la segregazione tra neri e bianchi negli Stati Uniti rimase in vigore fino agli anni Sessanta), ed è lì che i due si incontrarono. Rowland, dovendo andare al bagno, prese l’ascensore. I contorni di questo punto della storia sono ancora oggi poco chiari, ma si sa che a un certo momento si sentì Page urlare. L’ipotesi più probabile, avanzata dalla Oklahoma Historical Society, è che Rowland abbia semplicemente pestato un piede della ragazza. Lì per lì però non si capì cosa fosse successo, ci fu concitazione e accorsero molte persone. I due ragazzi scapparono.

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La mattina del 31 maggio un giornale locale scrisse che «un negro aveva aggredito una ragazza» e in un editoriale incitò la popolazione bianca a linciarlo. I linciaggi di persone nere da parte dei bianchi erano relativamente frequenti all’epoca, perché le leggi segregazioniste garantivano ai bianchi indulgenza e impunità. Rowland fu quindi arrestato, nonostante Page non avesse denunciato alcun tipo di aggressione.

Tulsa, Oklahoma, 27 maggio 2021 (Brandon Bell/Getty Images)

Il casus belli del massacro di Tulsa è riconducibile all’episodio dell’ascensore, ma le cause più profonde furono altre: il razzismo sistemico della società statunitense di allora, il fatto che in Oklahoma fosse molto attivo il Ku Klux Klan (il noto gruppo terrorista di razzisti e suprematisti bianchi), e soprattutto la preoccupazione e l’invidia che il ricco quartiere di Greenwood suscitava tra la popolazione bianca di Tulsa, sentimenti che i giornali locali non esitavano a fomentare.

La sera del 31 maggio una folla di uomini bianchi armati si radunò davanti al tribunale nella cui prigione era rinchiuso Rowland, per linciarlo. Poco dopo arrivò un gruppo di uomini afroamericani, anche loro armati, per difenderlo. La situazione degenerò in fretta. I neri erano in minoranza rispetto alla folla inferocita di bianchi, che invase Greenwood distruggendo e incendiando le case e saccheggiando i negozi. Le testimonianze parlano di una violenza estrema e irrefrenabile: George Monroe, che sopravvisse alla strage, nel 1999 raccontò che i bianchi «tentarono di uccidere ogni persona nera che incontravano».

Secondo le ricostruzioni più affidabili morirono tra le 100 e le 300 persone mentre i feriti furono centinaia. I cadaveri furono impilati agli angoli delle strade, trasportati fuori dalla città su camion di proprietà del comune, bruciati in inceneritori, scaricati in un fiume o ammassati in fosse comuni. Circa 1.470 case furono incendiate e 35 isolati furono praticamente rasi al suolo. Seimila persone furono imprigionate e quasi tutti gli abitanti del quartiere rimasero senza dimora.

Durante il massacro sopra Tulsa volarono alcuni aerei, ma non è chiaro se fossero tutti delle forze dell’ordine o se alcuni furono usati anche per attaccare la comunità afroamericana. Nel 1921 a Tulsa esistevano due hangar che avevano la capacità di ospitare 14 aerei, quindi è probabile che alcuni fossero aerei privati di bianchi, e ci sono diverse testimonianze che raccontano di bombe incendiarie e spari provenienti dall’alto. Secondo alcuni storici Tulsa fu la prima città nella storia degli Stati Uniti a essere bombardata in questo modo (gli unici attacchi aerei della storia statunitense furono quelli di Pearl Harbor nel 1941, Philadelphia nel 1985 e New York nel 2001).

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Quando tutto finì, l’opinione pubblica accettò la ricostruzione proposta dalle autorità locali secondo cui a Greenwood i neri si erano ribellati contro i bianchi causando dei disordini. Questa versione fu usata anche dalle agenzie di assicurazione come motivazione per rifiutare le richieste di risarcimento degli abitanti del quartiere. Moltissimi sopravvissuti lasciarono la città, non ci furono conseguenze legali e di quel che era successo si smise rapidamente di parlare.

Il massacro di Tulsa rimase praticamente ignorato fino alla fine degli anni Sessanta quando Don Ross, politico e giornalista afroamericano nato a Tulsa, fondò un giornale che pubblicò alcuni articoli riguardo al massacro. In seguito Ross entrò nel congresso statale dell’Oklahoma e istituì una commissione incaricata di ricostruire gli eventi del 1921, che nel 2001 pubblicò una descrizione dettagliata dei danni subìti dalla comunità durante il saccheggio e chiese un risarcimento per i sopravvissuti e i loro parenti. Il congresso statale e la corte federale rifiutarono la richiesta.

Murale nel quartiere di Greenwood (Win McNamee/Getty Images)

Negli anni successivi molti sopravvissuti, ormai anziani, raccontarono pubblicamente quello che avevano visto contribuendo a diffondere la consapevolezza sulla vicenda tra gli abitanti di Tulsa, che spesso non ne avevano mai sentito parlare. Solo lo scorso anno il dipartimento statale dell’istruzione ha detto di voler inserire il massacro nei programmi di storia delle scuole. I sopravvissuti al massacro sono tre, tutti ultracentenari. Di recente sono stati ascoltati da una commissione del Congresso sui fatti di Tulsa, che sta indagando sull’opportunità di concedere un risarcimento ai discendenti delle vittime. Viola Ford Fletcher, che ha 107 anni, ha detto di ricordarsi ancora gli spari indiscriminati sulla gente di Greenwood, le urla e l’odore di fumo.

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