Perché McDonald’s aumenterà gli stipendi negli Stati Uniti

Chi lavora nella ristorazione ha sofferto più di altri le conseguenze della pandemia, e oggi ha più alternative di un tempo

Una donna protesta davanti a un ristorante McDonald's per ottenere un aumento degli stipendi e altri diritti. Londra, novembre 2019 (Dan Kitwood/Getty Images)
Una donna protesta davanti a un ristorante McDonald's per ottenere un aumento degli stipendi e altri diritti. Londra, novembre 2019 (Dan Kitwood/Getty Images)

La catena di ristoranti fast food McDonald’s ha annunciato che aumenterà del 10 per cento in media la retribuzione oraria di oltre 36.500 suoi dipendenti negli Stati Uniti, portandone lo stipendio medio al di sopra dei 13 dollari l’ora e quello minimo a 11 dollari l’ora. L’aumento, che riguarda solo i lavoratori dei 650 ristoranti gestiti direttamente da McDonald’s negli Stati Uniti e non quelli gestiti da terzi in franchising, segue le decisioni prese da molte altre aziende americane, che in questi anni hanno alzato i loro stipendi nonostante il salario minimo sia fermo da tempo a 7,25 dollari l’ora.

Oltre a migliorare la sua immagine – da anni negli Stati Uniti un forte movimento popolare chiede l’aumento del salario minimo sia al governo che alle aziende – con questa scelta McDonald’s vuole trattenere i suoi attuali dipendenti, in un periodo in cui il loro potere contrattuale sta crescendo vista la grande offerta di posizioni lavorative, e di attrarne al contempo altri 10 mila nei prossimi mesi per far fronte all’aumento della domanda atteso dalla società a seguito dell’allentamento delle restrizioni imposte per contrastare la pandemia.

La mossa di McDonald’s è l’ultimo segnale di una scarsità di lavoratori che sta interessando l’intero settore della ristorazione. Negli Stati Uniti, infatti, i ristoratori stanno faticando a trovare e trattenere personale: a marzo i posti vacanti nel settore erano quasi un milione, una cifra molto alta se paragonata al totale dei lavoratori nella ristorazione statunitense, che attualmente sono circa 10,6 milioni.

Il 10 maggio, pochi giorni prima dell’annuncio di McDonald’s, un’altra grande catena americana di fast food, Chipotle, aveva annunciato un aumento dello stipendio medio dei suoi dipendenti da 13 a 15 dollari l’ora (mentre lo stipendio minimo aumenterà da 10 a 11 dollari l’ora), prevedendo la necessità di assumere 20 mila nuovi dipendenti nei prossimi mesi.

L’aumento dei salari nel settore della ristorazione negli Stati Uniti ha diversi motivi ed è cominciato ben prima della pandemia, interrompendosi solo durante il lockdown, come testimoniano i dati dell’ufficio delle statistiche sul lavoro del governo americano.

Dopo la recessione del 2008, molti lavoratori qualificati che prima facevano tutt’altro ma avevano perso il lavoro, cercarono occupazione nel settore della ristorazione, accontentandosi di salari più bassi e mansioni non in linea con le proprie competenze pur di avere delle entrate. Negli anni a seguire, con la ripresa dell’economia negli Stati Uniti, molti di questi hanno progressivamente lasciato le proprie occupazioni nei ristoranti per tornare a posizioni più remunerative, creando un vuoto da colmare.

Allo stesso tempo, negli ultimi anni anche i lavoratori meno specializzati, fra cui da sempre il settore della ristorazione attinge molti dei suoi occupati, hanno visto aprirsi alternative meglio retribuite e meno stressanti del lavoro in ristoranti e bar: molti per esempio hanno lasciato il settore per andare a lavorare nei centri logistici di Amazon e altre società della grande distribuzione.

Non sembra quindi un caso che gli aumenti di remunerazione offerti da Chipotle e McDonald’s seguano di pochi giorni un annuncio simile arrivato da Amazon il 28 aprile, quando ha reso noto di voler aumentare la paga oraria di oltre 500 mila dipendenti di un importo che va dagli 0,5 ai 3 dollari.

Poi c’è la pandemia. I lavoratori della ristorazione sono fra i più esposti al rischio di contagio, e questo potrebbe essere uno dei motivi a rendere le persone riluttanti ad accettare questo tipo di impiego. Tra chi invece già ci lavora, più della metà (il 53 per cento) ha detto di stare valutando di dare le dimissioni, secondo uno studio condotto a maggio 2021 da One Fair Wage (organizzazione statunitense con l’obiettivo di migliorare stipendi e condizioni lavorative nel settore dei servizi) insieme al Food Labor Research Center dell’università di Berkeley, in California.

Negli Stati Uniti, poi, buona parte del guadagno di chi fa il mestiere di cameriere (donna in due casi su tre) è dato dalle mance, che durante la pandemia sono diminuite drasticamente. Non è un caso quindi che le più propense a lasciare siano proprio le donne, e in particolare le madri, che in più hanno il problema di dover trovare qualcuno che badi ai figli mentre lavorano.

Tra i motivi di chi ha dichiarato di voler lasciare questo lavoro (sia donne che uomini) c’è anche il timore di subire abusi o violenze da parte dei clienti per il semplice fatto di dover far rispettare le regole imposte dalle autorità sanitarie, per esempio chiedere di indossare correttamente la mascherina, ai quali vanno sommate molestie sessuali, abusi e violenze di altro genere sia da parte dei clienti che di colleghi e capi. In particolare, secondo lo stesso studio, le madri sono state la categoria che più ha segnalato un aumento delle molestie sessuali durante la pandemia.

C’è infine un altro fattore che sta rendendo difficile trovare personale disposto a lavorare in quest’industria: i sussidi di disoccupazione piuttosto generosi che disincentivano chi li percepisce ad accettare lavori pagati troppo poco.

Per supportare economicamente chi aveva perso il lavoro a causa della crisi pandemica, il governo Trump aveva introdotto nella primavera 2020 una compensazione straordinaria di disoccupazione di 600 dollari alla settimana, poi ridotti a 300 dollari la settimana nel dicembre 2020. Questa compensazione, applicata a livello federale, andava ad aggiungersi a quella prevista a livello statale, diversa in ogni Stato. A marzo 2021 il governo Biden ha confermato la compensazione federale di 300 dollari a settimana che sarebbe scaduta il 14 marzo, estendendola fino al 6 settembre 2021, anche se negli ultimi giorni diversi Stati guidati dai Repubblicani hanno fatto sapere che smetteranno di utilizzare questi sussidi prima della data prevista, proprio per far fronte al problema della mancanza di lavoratori.

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Il salario minimo negli Stati Uniti è attualmente di 7,25 dollari l’ora e non cambia dal 2009. Il presidente Joe Biden ha promesso in campagna elettorale di portarlo a 15 dollari l’ora entro il 2026. Ad aprile ha firmato un ordine esecutivo che aumenta a 15 dollari l’ora il salario minimo per alcune categorie di persone che lavorano su appalto per il governo, ma per ora la discussione sul salario minimo nazionale si è un po’ arenata: un po’ perché il Partito Democratico non ha i numeri per farlo approvare al Senato, un po’ per i timori sulla ripresa dell’inflazione, che aumenta all’aumentare dei salari e già sta salendo per altri motivi.

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