Il paradosso della Salernitana
Tornerà in Serie A dopo oltre vent’anni ma prima dovrà cambiare proprietari: perché uno è Claudio Lotito, l'altro è suo cognato
Il 23 maggio 1999 la Salernitana giocò la sua ultima partita in Serie A, un pareggio a Piacenza che la fece retrocedere in B da sedicesima in classifica. Di quella partita alcuni ricorderanno soprattutto quello che accadde dopo, in una galleria sulla linea ferroviaria Napoli-Salerno, dove un incendio al treno su cui viaggiavano i tifosi di ritorno da Piacenza causò la morte per asfissia di quattro persone, tra cui due minorenni. Da allora la Serie A non è più tornata a Salerno e per anni è sembrata irraggiungibile.
Nonostante la retrocessione del 1999 e quello che ne seguì, la Salernitana diede qualcosa al calcio di quegli anni: riportò Gennaro Gattuso in Italia dalla Scozia, lanciò le carriere di Marco Di Vaio, David Di Michele e del suo allenatore, Delio Rossi. A ventidue anni di distanza da quella stagione, gran parte dei quali passati in Serie C, la squadra campana è riuscita a riottenere una promozione in Serie A, la terza della sua storia.
Paradossalmente, però, il risultato obbligherà il club a cambiare proprietà: le norme organizzative federali non permettono infatti le multiproprietà, cioè la presenza nello stesso ambito sportivo di due o più squadre che condividono la proprietà in modo diretto o indiretto, «tramite parenti o affini entro il quarto grado».
Dal 2011, dopo il suo secondo fallimento in sei anni, la Salernitana è di proprietà degli imprenditori romani Marco Mezzaroma e Claudio Lotito, quest’ultimo proprietario della Lazio dal 2004. I due imprenditori, cognati, condividono la proprietà della squadra tramite due diverse società, una amministrata da Mezzaroma e dalla sua famiglia, l’altra amministrata da Lotito e intestata al figlio Enrico. La squadra gode già di una deroga concessa ai club di rilevanza storica per potersi riprendere più facilmente da fallimenti e retrocessioni: ora però sarà costretta a cambiare proprietà entro il 25 giugno, altrimenti verrà commissariata.
Nel corso della gestione di Lotito e Mezzaroma, la Salernitana è passata dalla Serie D alla Serie A non senza difficoltà, come le contestazioni dei tifosi per la subalternità nei confronti della Lazio, o le inchieste — finora senza esiti — nate dal flusso anomalo di scommesse notato prima della partita di gennaio contro il Pordenone, squadra di bassa classifica che a Salerno vinse 2-0 contro ogni pronostico.
Finora per Lotito — peraltro candidatosi in Campania alle elezioni politiche del 2018 — la Salernitana ha rappresentato un notevole vantaggio sul piano sportivo. Possedere una squadra in Serie B ha dato l’opportunità alla Lazio di mandare in prestito i suoi giocatori in un contesto competitivo, con benefici evidenti: della squadra attualmente sesta in Serie A, un titolare (Luiz Felipe) e una riserva (Akpa Akpro) hanno fatto esperienza nella Salernitana prima di essere richiamati a Roma. In ogni sessione di mercato le due squadre si sono scambiate continuamente giocatori: la Lazio ha potuto dare spazio a giocatori fuori rosa o testare le qualità dei suoi giovani, la Salernitana ha potuto costruire delle rose competitive a basso costo, cosa che ha fatto la differenza soprattutto nelle ultime due stagioni segnate dalle difficoltà economiche legate alla pandemia.
La squadra che ha ottenuto la promozione da seconda classificata della Serie B ha disputato una stagione con diciassette calciatori presi in prestito da altre squadre, nove dei quali provenienti dalla Lazio (e uno acquistato gratuitamente). Tra questi ci sono due dei giocatori più presenti e incisivi, l’attaccante Cedric Gondo e il trequartista Andrè Anderson, e uno di esperienza internazionale come il terzino danese Riza Durmisi, che conta oltre venti presenze con la sua nazionale.
In seguito alla promozione, la Salernitana potrebbe portare anche un ritorno economico per i suoi proprietari, vista la valutazione stimata intorno ai 60 milioni di euro per un club che non possiede nulla se non delle minime strutture aziendali, i dipendenti e non più di una dozzina di giocatori professionisti. Dei due proprietari, per ora ha parlato soltanto Mezzaroma, che al Corriere dello Sport ha detto: «Non ho mai nascosto di non condividere la norma sul vincolo di parentela, troppo restrittiva, ma la federazione non l’ha modificata. Ne prendiamo atto e ragioneremo».