Come funziona la politica in Rai

Si è tornati a parlare di "lottizzazione": per la telefonata di Fedez, e perché tra un po' bisogna rifare le nomine della dirigenza

La statua di cavallo fuori dalla sede Rai di Roma, uno dei simboli dell'azienda (ANSA/RICCARDO ANTIMIANI)
La statua di cavallo fuori dalla sede Rai di Roma, uno dei simboli dell'azienda (ANSA/RICCARDO ANTIMIANI)

A seguito delle polemiche di questi giorni a proposito della telefonata tra Fedez e la Rai, molti esponenti politici hanno parlato della necessità di riformare il sistema delle nomine del servizio pubblico e di ridurre o eliminare il ruolo della politica all’interno dell’azienda. Questo principio è noto come “lottizzazione”, è praticato da decenni e fa sì che al governo in carica e ai partiti politici presenti in Parlamento spetti la nomina dei principali dirigenti e la decisione delle politiche di indirizzo dell’azienda, con la conseguenza che quasi tutti i settori della Rai dipendono da alcune forze politiche, spesso con un informale sistema di “quote” in cui cariche e responsabilità sono divise tra i partiti.

Il caso Fedez arriva in un momento particolarmente delicato per la Rai: il consiglio di amministrazione dell’azienda, che è uno dei principali organi dirigenziali, scade a fine giugno e già da qualche mese sono cominciati i negoziati per il suo rinnovo.

Dopo le polemiche, però, tra domenica e lunedì molti leader politici hanno detto che sono necessari nuovi criteri per le nomine. Enrico Letta, il segretario del PD, ha chiesto «un cambio di passo, una fortissima discontinuità» nella decisione delle nomine. L’ex presidente del Consiglio Giuseppe Conte, probabile nuovo leader del Movimento 5 Stelle, ha scritto su Facebook che «questo è il momento giusto per riformare la Rai e sottrarla alle ingerenze della politica». Matteo Salvini, leader della Lega, ha chiesto che «il prossimo ad (amministratore delegato, ndr) sia interno e meritevole, senza tessere, parentele o amicizie importanti». Andrea Orlando, ministro del Lavoro, ha chiesto «un nuovo modello di governance» dell’azienda e lo stesso ha fatto il presidente della Camera Roberto Fico.

È difficile che queste dichiarazioni siano seguite da interventi significativi. La promessa elettorale di “liberare la Rai dai partiti” è vecchia tanto quanto la lottizzazione, è stata fatta praticamente da tutti i governi entrati in carica negli ultimi decenni e non è mai stata davvero mantenuta. L’ultima riforma della “governance” (cioè del sistema di gestione) dell’azienda, voluta nel 2015 dal governo di Matteo Renzi, aveva come obiettivo dichiarato quello di porre fine al dominio dei partiti, ma in realtà, secondo la maggior parte degli analisti, non ha di fatto cambiato la situazione, come tutte le riforme precedenti.

Il principio della lottizzazione della Rai guida praticamente tutte le nomine più importanti dell’azienda, ne rende complicata la gestione e fa sì che il ricambio delle cariche decisionali sia molto frequente e dipenda più dal cambiamento delle maggioranze in Parlamento che da ragioni di business e di strategie editoriali. La spartizione più nota all’interno della Rai riguarda le tre principali reti televisive, la cui guida da decenni è divisa tra i principali schieramenti politici: RaiUno è filogovernativa, RaiDue è in quota centrodestra e RaiTre in quota centrosinistra (anche se attualmente la dirigenza di RaiTre è considerata da molti in quota M5S). La lottizzazione riguarda però anche la maggior parte delle altre cariche, e certamente tutte quelle più importanti.

Anzitutto: la Rai è una società pubblica le cui quote di maggioranza (il 99,56 per cento) sono detenute dal ministero dell’Economia e delle Finanze. C’è un solo azionista di minoranza, la Società Italiana degli Autori ed Editori (SIAE), che ha una quota dello 0,44 per cento. Benché la società sia dunque in mano al governo, a partire dal 1975 il controllo sull’azienda fu trasferito al Parlamento tramite la Commissione parlamentare per l’indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi, nota anche come Commissione di vigilanza Rai, che si occupa della ratifica di alcune nomine e la sorveglianza sull’attività dell’azienda. Per prassi, la carica di presidente della Commissione spetta a un esponente dell’opposizione.

La gestione operativa della Rai spetta tuttavia ad alcune cariche e organi deliberativi, i più importanti dei quali sono l’amministratore delegato, il consiglio di amministrazione e il presidente della Rai: sono tutti formalmente indipendenti, ma in realtà piuttosto influenzati dalla politica, a partire dal sistema delle loro nomine.

L’amministratore delegato
L’amministratore delegato (AD) della Rai è il dirigente più importante dell’azienda, che gode di grande autonomia e ampi poteri decisionali. La carica è attualmente occupata da Fabrizio Salini. L’AD della Rai può nominare i dirigenti di prima e di seconda fascia, compresi i direttori delle reti televisive, ha ampia autonomia sulle assunzioni e sulle promozioni dei giornalisti e può firmare contratti dal valore massimo di 10 milioni di euro in autonomia e senza bisogno di autorizzazioni esterne (oltre quella cifra serve l’approvazione del consiglio di amministrazione).

La figura dell’AD fu creata dalla riforma del 2015 per fare assomigliare l’organigramma della Rai a quello delle altre aziende (dove le decisioni sono prese da un AD, appunto) e sostituisce quella di direttore generale, che era stata la carica preminente per decenni. Anche se la legge prevede che l’AD debba essere una figura esterna e non un dipendente Rai, la sua nomina è politica e frutto di negoziati e contrattazioni tra i partiti: la scelta spetta all’assemblea dei soci, dunque in ultima istanza al governo.

Il consiglio di amministrazione
Il CDA della Rai ha poteri relativamente limitati dal punto di vista operativo, ma la sua composizione è molto importante perché dal consiglio dipende l’approvazione di molte nomine apicali: il CDA è dunque lo strumento principale del controllo dei partiti sulla Rai.

I consiglieri sono sette e la loro nomina è regolamentata in maniera piuttosto rigida: due sono eletti dalla Camera e due dal Senato; due sono designati dal Consiglio dei ministri (dunque dal governo, su proposta del ministro dell’Economia) e uno è eletto dall’assemblea degli oltre undicimila dipendenti della Rai. La scelta dei consiglieri di solito è frutto di una contrattazione molto serrata tra i partiti, che si dividono le quote in base ai rapporti di forza presenti in Parlamento. Attualmente dei sette consiglieri due sono stati eletti in quota Lega, due in quota M5S, uno in quota PD e uno in quota Fratelli d’Italia. Il settimo consigliere è quello eletto dai dipendenti Rai.

Il CDA ratifica la nomina dell’amministratore delegato e del presidente della Rai e ha la facoltà di rimuoverli, approva i bilanci e i piani industriali, e ha il potere di porre il veto su alcune delle nomine dell’AD che riguardano il comparto giornalistico. Il CDA rimane in carica per tre anni, e lo stesso vale per le cariche che dipendono dal CDA, come l’amministratore delegato e il presidente. L’attuale consiglio è entrato in carica nel 2018.

Il presidente della Rai
Il “presidente della Rai”, che ufficialmente è il presidente del consiglio di amministrazione, dal punto di vista dell’organigramma è la figura di maggior prestigio dell’azienda, anche se in realtà ha funzioni in gran parte amministrative. Come nel caso dell’amministratore delegato, la sua nomina è politica e viene espressa dal governo, anche se c’è bisogno della ratifica della Commissione di vigilanza. Attualmente il presidente è Marcello Foa, la cui nomina, voluta da Lega e M5S nel 2018, aveva provocato notevoli polemiche ed era stata l’oggetto di una battaglia politica molto serrata.

Le altre cariche
La lottizzazione della Rai è in realtà più raffinata e granulare delle sole nomine apicali: l’influenza della politica è piuttosto profonda nell’organigramma aziendale e riguarda anche la media dirigenza, secondo un sistema spesso complesso di equilibri, che non riguardano soltanto la rappresentanza dei partiti in Parlamento ma anche i rapporti tra le correnti all’interno di uno stesso partito.

Inoltre la lottizzazione si fa sentire in alcuni casi anche all’interno delle redazioni. I cambi di governo, di solito, determinano non soltanto la sostituzione dei manager dell’azienda, ma anche il cambiamento di funzioni giornalistiche, oltre che della linea politica delle testate.

Le nuove nomine
Con la scadenza del CDA a fine giugno, sarà necessario rinnovare tutte le cariche più importanti della Rai. In teoria le cariche potrebbero essere confermate, ma in passato non è praticamente mai successo, perché ogni nuova maggioranza parlamentare ha sempre cercato di avere una dirigenza Rai che fosse il più possibile espressione della propria linea e dei propri equilibri politici. Da diverse settimane, dunque, i giornali pubblicano retroscena pieni di ipotesi più o meno verosimili su chi potrebbero essere i nuovi dirigenti e i nuovi direttori di rete e di testata: i negoziati sono in corso da tempo.

Con l’arrivo del governo Draghi, alcuni retroscena hanno ipotizzato che il presidente del Consiglio deciderà in autonomia almeno le nomine di amministratore delegato e presidente del CDA, senza consultare i partiti, ma per ora sono soltanto congetture. Inoltre, nonostante le dichiarazioni di questi giorni da parte degli esponenti politici, è difficile che il caso della telefonata di Fedez cambi in maniera consistente gli equilibri e la struttura delle nomine.