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  • Venerdì 30 aprile 2021

Come se la passa la sinistra francese

Non benissimo, e forse nemmeno una complicata coalizione tra i diversi partiti eviterebbe un ballottaggio Macron-Le Pen alle presidenziali del 2022

(Julien M. Hekimian/Getty Images)
(Julien M. Hekimian/Getty Images)

Manca un anno alle prossime elezioni presidenziali francesi e un recente sondaggio sulle intenzioni di voto al primo turno mostra risultati che sono stati definiti «catastrofici» per la sinistra. Nessuna e nessun candidato di sinistra avrebbe la minima possibilità di qualificarsi al secondo turno, dove arriverebbero invece Marine Le Pen, candidata dell’estrema destra di Rassemblement National (RN), ed Emmanuel Macron, il presidente uscente.

Tutti i partiti di sinistra vorrebbero scongiurare questo scenario, peraltro identico a quello del 2017, e secondo qualcuno l’obiettivo potrebbe essere raggiunto arrivando a un’unica candidatura di sinistra. Diversi leader di partito sono d’accordo, a condizione però che l’unico candidato appartenga al loro movimento. Altri hanno invece seri dubbi che una simile alleanza si possa raggiungere e che possa, in caso, essere vantaggiosa.

In tutta questa discussione è guardata con molto interesse l’alleanza di sinistra che si è già formata in vista delle elezioni regionali del prossimo giugno nell’Hauts-de-France, regione francese del Nord.

Hauts-de-France
La Hauts-de-France era un tempo quella che noi in Italia definiremmo una “regione rossa”, in cui erano forti i sindacati e i movimenti dei lavoratori. Negli anni, la de-industrializzazione e il cambiamento del tessuto sociale hanno, tra le altre cose, spostato l’elettorato a destra.

Durante le ultime elezioni regionali, nel 2015, i Verdi, i comunisti e i socialisti si erano presentati separati e al primo turno Le Pen aveva superato il 40 per cento dei voti, distaccando di 15 punti il candidato dei Repubblicani (centrodestra) Xavier Bertrand. Bertrand aveva poi vinto al secondo turno, ma solo grazie al ritiro della lista del Partito Socialista, deciso per non favorire Le Pen. I Socialisti avevano raggiunto il loro obiettivo a breve termine, dunque, ma non avevano ottenuto alcuna rappresentanza al Consiglio regionale, lasciandolo nelle mani della maggioranza composta dai Repubblicani e dell’opposizione del Front National.

Manifesti elettorali di Marine Le Pen e Emmanuel Macron per le presidenziali del 2017, Parigi, 9 aprile 2017 (Sean Gallup/Getty Images)

«Molto semplicemente, non vogliamo che il 2015 si ripeta» ha spiegato alla rivista Jacobin Karima Delli, parlamentare europea e candidata dei Verdi a capo della coalizione per le prossime regionali in Hauts-de-France. Nonostante le numerose differenze a livello nazionale (e per un istinto di sopravvivenza) i maggiori partiti di sinistra del paese – La France Insoumise (LFI), i Verdi (EELV), il Partito comunista francese (PCF), il Partito socialista (PS) e alcune altre formazioni più piccole – si sono unite per presentarsi tutte insieme al primo turno del prossimo 13 giugno e non rischiare dunque di essere subito escluse. «Siamo diventati consapevoli delle nostre responsabilità», ha detto Karima Delli.

L’obiettivo, scrive Jacobin, è raccogliere il sostegno di tutti gli elettori dei partiti di sinistra che partecipano alla coalizione, ma anche coinvolgerne altri: «Ciò che ci unisce è il nostro programma, la questione del clima e la questione del lavoro» ha spiegato Delli.

L’accordo nella Hauts-de-France è significativo per le tensioni che esistono a livello nazionale tra i partiti che lì si presenteranno uniti, in particolare tra i Socialisti e La France Insoumise, i cui rispettivi leader Olivier Faure e Jean-Luc Mélenchon si sono pubblicamente criticati a vicenda in più occasioni. Ugo Bernalicis, deputato dell’Assemblea nazionale de La France Insoumise, ha spiegato che il suo partito ha dovuto effettivamente accettare dei compromessi per entrare nella coalizione regionale: ma la linea è stata quella di dare importanza non a ciò che divide, ma a ciò che le varie formazioni hanno in comune.

Jean-Luc Mélenchon durante una protesta a Parigi, 3 aprile 2018 (AP Photo/Christophe Ena)

Di contraddizioni, ha spiegato Bernalicis, ce ne sono comunque molte: sul nucleare, ad esempi, i Comunisti sono favorevoli e i Verdi e La France Insoumise sono contrari; sui rapporti con l’Unione Europea i Comunisti e La France Insoumise hanno posizioni critiche. E queste contraddizioni, ha concluso, si ripresenteranno in occasione delle elezioni presidenziali.

A livello nazionale
Con l’avvicinarsi delle presidenziali del 2022, diversi partiti o esponenti politici della sinistra hanno manifestato l’intenzione o la necessità di fare un accordo con altre forze vicine. Ma il primo problema sarà il nome intorno al quale costruire questa ipotetica coalizione. Mélenchon ha già dichiarato la sua candidatura (nel 2017 prese il 19,6 per cento al primo turno) e sembra avere le stesse intenzioni l’europarlamentare dei Verdi Yannick Jadot che, prima, dovrebbe però vincere le primarie del suo partito previste per settembre.

Poi c’è la sindaca socialista di Parigi, Anne Hidalgo, indicata da molti come possibile candidata. E si è già fatto avanti anche il deputato Fabien Roussel, segretario nazionale del Partito Comunista (nel suo caso sarà il prossimo congresso nazionale del partito, all’inizio di maggio, a decidere se presentare una candidatura indipendente o se costruire un’alleanza con altri). Diversi leader di partito sono d’accordo sulla necessità di una convergenza su un unico nome: ma tutti vogliono esprimerlo.

La sindaca di Parigi Anne Hidalgo, 12 settembre 2016 (AP Photo/Michel Euler)

Già nel 2017, diversi rappresentanti della cosiddetta società civile avevano invitato i candidati della sinistra Benoît Hamon (PS), Jean-Luc Mélenchon (LFI) e Yannick Jadot (Verdi) a unirsi, ma inutilmente. Alcuni osservatori fanno però notare che oggi il contesto non è quello di allora: ci sarebbero cioè una maggiore consapevolezza e urgenza per lavorare a un’ipotesi unitaria.

Anche la percezione di Macron è cambiata. Alle scorse presidenziali, pur dichiarando di non essere «né di destra né di sinistra», veniva percepito come un politico abbastanza progressista: una ricerca dell’istituto Ipsos aveva mostrato che il 42 per cento dei simpatizzanti del Partito Socialista aveva votato per il partito di Macron al primo turno. Oggi la situazione è cambiata: le riforme e la politica di Macron si sono spostate a destra, e su questioni come immigrazione e sicurezza il presidente ha cercato il sostegno esplicito della destra. Un sondaggio pubblicato lo scorso marzo ha confermato il differente orientamento delle persone di sinistra: solo il 17 per cento degli elettori socialisti potrebbe votare di nuovo per Macron.

Va anche tenuto conto che la portata delle presidenziali è ben diversa rispetto a quella delle elezioni regionali e che il sistema di voto locale, che permette di votare per una lista, ha reso possibile l’alleanza della sinistra nella Hauts-de-France. Le elezioni regionali sono poi meno legate alle ambizioni personali, mentre le presidenziali si concentrano storicamente su un unico nome. E il problema, come ha spiegato la portavoce del partito ecologista e femminista Génération.s, Joséphine Delpeyrat, «è che troppo spesso si sentono pronunciare le parole “stare insieme, ma dietro di me”».

Proteste degli e delle studenti a Lione, 26 gennaio 2021 (AP Photo/Laurent Cipriani)

Chi è a favore di un’alleanza della sinistra fa l’esempio delle elezioni locali dello scorso anno quando, in diverse città come Lione e Marsiglia, l’unione tra Socialisti e Verdi si dimostrò vincente: «Per la prima volta in otto anni la sinistra ha assaporato di nuovo la vittoria» ha detto al Financial Times il leader socialista Olivier Faure. «Oggi nessuna forza di sinistra ha la capacità di avere successo da sola». Nonostante l’insistenza di Faure sulla necessità di un fronte comune, c’è chi pensa che i Socialisti non avrebbero alcun interesse a farlo perché verrebbero fagocitati dai Verdi, che alle europee del 2019 raccolsero in effetti più del doppio dei voti. I Socialisti vennero superati anche da La France Insoumise di Mélenchon.

Quindi?
La domanda che si pongono gli osservatori è se il patto nella Hauts-de-France possa rappresentare un esempio per le elezioni presidenziali del 2022. «Non l’abbiamo fatto per dare l’esempio» ha detto Delli a Jacobin: «Lo abbiamo fatto perché lo richiedeva la situazione. (…) Lascerò ad altri giudicare se la Hauts-de-France possa essere un laboratorio politico per il resto della Francia. Non sta a me dirlo».

Per ora ci sono dubbi che coalizioni simili possano formarsi anche solo a livello regionale, nel resto della Francia. Una delle precondizioni più importanti per l’unità della sinistra è la debolezza: un’alleanza potrebbe, cioè, essere favorita o necessaria nelle aree in cui i vari partiti di sinistra sono all’opposizione e non possono realisticamente competere con gli altri da soli.

Manifestazione del partito dei verdi francesi a Parigi, 2012 (AP Photo/Francois Mori)

In base a questo, si potrebbero formare delle coalizioni in Auvergne-Rhône-Alpes (dove si trova Lione), in Provence-Alpes-Côte d’Azur (dove si trova Marsiglia) e in Grand Est (dove c’è Strasburgo): tutte e tre le regioni sono attualmente governate dai Repubblicani e il consenso dell’estrema destra è piuttosto significativo. In ciascuna delle tre, i negoziati per le coalizioni sono in corso e non è ancora chiaro come andranno a finire. In altre regioni della Francia non si prevedono invece alleanze fino al secondo turno e in altre ancora governate dai Socialisti, come la Nouvelle-Aquitaine, il partito non sembra intenzionato a condividere il potere.

C’è infine una cosa da non sottovalutare, hanno spiegato alcuni esperti: l’unità della sinistra non sarebbe una garanzia di vittoria o successo. L’immagine di un popolo di sinistra unito, ma tradito dai leader in competizione tra loro per il potere, non corrisponde alla realtà. I sostenitori delle varie formazioni di sinistra, ha scritto ad esempio su Slate Gérard Grunberg, direttore del Centre d’études européennes (CEE) de Sciences Po, «sono divisi tanto quanto i loro leader».

I sondaggi mostrano per ora che i sostenitori di un partito non voterebbero né in modo automatico né in massa per il loro stesso candidato. E suggeriscono anche che solo una piccola parte dei sostenitori di un determinato partito voterebbe il candidato di un altro, anche in caso di coalizione. Se ad esempio Anne Hidalgo non si candidasse e il Partito Socialista scegliesse di sostenere il candidato dei Verdi, solo il 38 per cento dei sostenitori dei socialisti lo voterebbe. Insomma, secondo alcuni analisti la narrazione che individua un presunto e indistinto ​​”popolo di sinistra” rischia di sovrastimare il perimetro politico di quest’area e il potenziale elettorale di un candidato unitario.