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  • Mercoledì 28 aprile 2021

Che cosa sappiamo della “variante indiana”

È ancora presto per stabilire se sia la causa principale della nuova grave ondata in India e se sia più contagiosa, dicono i ricercatori

Nuova Delhi, India (Anindito Mukherjee/Getty Images)
Nuova Delhi, India (Anindito Mukherjee/Getty Images)

Ricercatori ed esperti stanno cercando di capire se la nuova grave ondata di COVID-19 in India delle ultime settimane sia legata a una specifica variante del coronavirus, e se questa sia più contagiosa e rischiosa delle altre già in circolazione. Questa “variante indiana” (B.1.617) è nota da diversi mesi, ma fino a poco tempo fa non aveva suscitato particolari preoccupazioni, soprattutto se confrontata con la più conosciuta e diffusa “variante inglese” (B.1.1.7), ora prevalente in diversi paesi occidentali.

La situazione in varie aree dell’India è drammatica, con ospedali sopraffatti dalla quantità di pazienti con forme gravi di COVID-19 e migliaia di morti. Lunedì 26 aprile i nuovi casi positivi segnalati sono stati oltre 350mila: nessun paese ne aveva mai registrati così tanti in un solo giorno. Secondo diversi esperti, inoltre, le cifre ufficiali sono assai distanti dall’effettiva quantità dei contagiati e dai numeri sui decessi comunicati giornalmente.

Per ora gli scienziati hanno invitato a non arrivare a conclusioni affrettate, perché non è ancora possibile dire se a un aumento così marcato dei casi abbia contribuito la variante B.1.617, o se ci siano state altre cause. Le conoscenze sulla sua contagiosità e sulla sua eventuale capacità di causare sintomi più gravi sono scarse, così come quelle sulla sua reale diffusione in India.

B.1.617 fu identificata a ottobre 2020, poche settimane dopo le prime segnalazioni della “variante inglese”, che si sarebbe poi diffusa ampiamente in Europa a partire dall’inizio di quest’anno. Da allora, B.1.617 si è diffusa in India e in seguito all’estero, con segnalazioni da una ventina di paesi, Italia compresa.

Come tutte le altre varianti, anche B.1.617 è stata identificata grazie all’analisi (“sequenziamento”) di alcuni campioni prelevati per effettuare i normali test sulla positività. Semplificando, “sequenziare” un campione significa analizzarlo per rilevare le caratteristiche del materiale genetico del coronavirus. È un passaggio successivo a quello del test molecolare, che nella sua forma base si limita a rilevare la presenza del materiale genetico del virus, ma senza analizzarne tutte le caratteristiche.

Nuova Delhi, India

A Nuova Delhi, pire funerarie allestite in maniera improvvisata, in conseguenza delle molte morti dovute alla nuova grande ondata di contagi da coronavirus che ha interessato il paese (Anindito Mukherjee/Getty Images)

Alcuni paesi, come il Regno Unito, effettuano un alto numero di sequenziamenti e ciò consente non solo di identificare con relativa velocità nuove varianti, che si potrebbero poi affermare tra la popolazione, ma anche di stimare quanto sia già diffusa una variante rispetto ad altre. In India la quantità di campioni sequenziati rispetto alla popolazione è molto bassa, e questo rende estremamente difficile fare stime accurate sulla diffusione delle varianti.

Ciò vale anche per B.1.617: virologi, epidemiologi e ricercatori sanno che è presente tra la popolazione indiana, ma non sanno quanto sia diffusa. Da alcune analisi svolte da centri di ricerca in altri paesi, basandosi su dati e segnalazioni delle autorità indiane, c’è un certo consenso sul fatto che in questa fase in India siano presenti più varianti, e di conseguenza una sorta di ondata costituita da più ondate in date aree del paese (parliamo comunque di un territorio enorme come quello indiano, in cui vivono 1,4 miliardi di individui).

Analizzando la variante B.1.617 i ricercatori hanno finora notato la presenza di una decina di mutazioni, senza particolari sorprese rispetto a quelle riscontrate in altre varianti. Alcune di queste mutazioni già note non devono essere sottovalutate, perché rendono il coronavirus più abile nell’eludere le difese delle cellule del nostro organismo, e in certa misura nell’ingannare il sistema immunitario. Non è però ancora chiaro se queste caratteristiche riscontrate nelle mutazioni di altre varianti si applichino anche nel caso di B.1.617.

La “variante indiana” continua inoltre a mutare, come del resto avviene di continuo con i virus specialmente se sono molto presenti tra la popolazione, ma molte caratteristiche di queste nuove versioni devono essere studiate.

Preparazione di una cerimonia per la cremazione di un morto a causa della COVID-19 a Gauhati, India, 27 aprile 2021 (AP Photo/Anupam Nath)

Negli ultimi giorni articoli talvolta con toni allarmati hanno messo in dubbio la capacità dei vaccini finora autorizzati di contrastare la “variante indiana”. Al momento non ci sono elementi per sostenere che i vaccini siano più o meno efficaci contro B.1.617. Contro la “variante inglese” i vaccini che abbiamo a disposizione si sono rivelati efficaci, nonostante fossero stati sviluppati ben prima del suo arrivo. Contro le varianti emerse in Sudafrica e Brasile l’efficacia sembra essere un poco inferiore, ma anche in questo caso sono in corso studi e approfondimenti.

In generale, è difficile che un vaccino contro uno specifico tipo di virus si riveli totalmente inefficace nei confronti di una sua variante. Anche nello scenario peggiore, i vaccini finora autorizzati dovrebbero mantenere comunque una buona efficacia contro B.1.617. Occorrerà però del tempo per avere qualche dato più certo, perché finora le vaccinazioni in India sono proseguite lentamente, specialmente in alcuni stati, e si stima che solo il 9 per cento della popolazione abbia ricevuto almeno una dose di vaccino (in Italia siamo al 20 per cento circa).

Secondo alcuni esperti, il fatto che finora non siano stati rilevati molti casi di B.1.617 all’esterno dell’India potrebbe indicare che la variante non sia molto contagiosa. In alcuni paesi, come il Regno Unito, era stata rilevata da febbraio e finora non sembra essersi diffusa più di tanto.

Haridwar, India, 12 aprile (EPA/IDREES MOHAMMED/ansa)

In India del resto molti altri fattori possono avere contribuito alla nuova ondata di casi, nonostante fino allo scorso febbraio la situazione apparisse in netto miglioramento.

Negli ultimi mesi in molti stati indiani sono state applicate poche precauzioni, senza contare alcuni eventi sportivi e religiosi che hanno coinvolto milioni di indiani, come le celebrazioni per il Kumbh Mela. A differenza di altri paesi, che hanno limitato enormemente la possibilità di partecipare a eventi di questo tipo, in India non sono state poste particolari restrizioni, con milioni di persone che hanno festeggiato, quasi sempre senza rispettare il distanziamento fisico e senza utilizzare le mascherine non solo nei luoghi dei festeggiamenti, ma anche sugli affollati mezzi di trasporto e nei locali.