Perché la Sardegna è l’unica regione in zona rossa

Dopo che era stata l’unica in zona bianca, e cosa potrebbe significare per le riaperture nel resto d’Italia

Una postazione per i test di massa a Cagliari (Ansa/Roberta Celot)
Una postazione per i test di massa a Cagliari (Ansa/Roberta Celot)

Per la terza settimana consecutiva la Sardegna è stata inserita in zona rossa: è l’unica regione con le misure restrittive più rigide dopo che all’inizio di marzo era stata l’unica in zona bianca, con notevoli libertà in più rispetto al resto d’Italia. Nell’ultimo mese la situazione epidemiologica è peggiorata rapidamente, sono emersi molti nuovi focolai e l’indice Rt è tornato a salire oltre le soglie di allerta, anche se nell’ultimo monitoraggio si nota un certo miglioramento.

Capire le reali ragioni di un andamento così anomalo non è semplice, anche se molti – a partire dal presidente della regione Christian Solinas – ammettono che l’ottimismo in seguito all’arrivo della zona bianca potrebbe aver portato molte persone a sottovalutare il rischio di nuovi contagi. In generale, il caso così particolare della Sardegna ha spinto alcuni osservatori a mettere in guardia le altre regioni dai possibili effetti delle riaperture: da oggi, lunedì 26 aprile, ci si può spostare liberamente tra regioni in zona gialla, dove sono stati riaperti bar e ristoranti, negozi e luoghi della cultura. In Sardegna, dopo riaperture molto simili, i contagi sono tornati a crescere sensibilmente.

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I dati della Sardegna
La regione è in zona rossa principalmente perché nell’ultimo monitoraggio pubblicato dall’Istituto superiore di sanità è stata classificata con rischio “alto” a causa di 157 nuovi focolai trovati sull’isola. L’indice Rt, che serve a monitorare l’andamento dell’epidemia, è a 0,97. I malati di COVID-19 occupano il 27 per cento dei posti letto disponibili nelle terapie intensive degli ospedali, una percentuale leggermente sotto la soglia di allerta del 30 per cento, mentre l’incidenza settimanale è di 132 nuovi casi ogni 100mila abitanti.

Ma i dati dicono anche che il tracciamento dei casi è lento e approssimativo: nel report dell’ISS si legge che la Sardegna è l’unica regione in cui è stato rilevato un «forte ritardo» dei casi segnalati che rende la valutazione degli indicatori «meno affidabile». Secondo l’assessore regionale alla Sanità Mario Nieddu, la regione è ancora in zona rossa perché il decreto prevede che le misure restrittive si mantengano per quattordici giorni, altrimenti il calo dell’indice Rt – passato da 1,29 a 0,97 – avrebbe portato l’isola almeno in zona arancione.

Più che la possibile rivalutazione nel prossimo monitoraggio, è interessante ricordare il punto di partenza del peggioramento. La Sardegna era entrata in zona bianca lo scorso 1° marzo, con un indice Rt a 0,68 e un’incidenza settimanale di 29 casi ogni 100mila abitanti. Mentre molte altre regioni italiane erano in zona rossa, con una serie di divieti agli spostamenti e la chiusura di ristoranti e negozi, in Sardegna era stato possibile frequentare ristoranti e bar anche di sera e l’inizio del coprifuoco era stato spostato alle 23.30. I giornali avevano raccontato il ritorno della normalità sull’isola, tra feste e cene, e questa condizione così unica aveva spinto molte persone a partire verso la Sardegna per raggiungere le seconde case.

I motivi del peggioramento
Ma in sole tre settimane i contagi sono tornati a salire, così come l’indice Rt, e la regione è stata inserita in zona arancione a partire dal 22 marzo a causa della sospensione della zona gialla prevista dal decreto che ha definito le misure restrittive durante le festività pasquali. Dall’arancione è poi passata al rosso, tre settimane fa.

Secondo Sergio Babudieri, direttore di malattie infettive dell’Azienda Ospedaliera Universitaria di Sassari, il caso della Sardegna è la dimostrazione che le riaperture generali sono considerate come la fine dell’emergenza e solo poche persone continuano a rispettare le regole per evitare la trasmissione dei contagi. Il cessato allarme ha portato moltissime persone a incontrarsi con meno attenzione all’utilizzo delle mascherine e ad altre misure di prevenzione: in questo modo i contagi sono tornati a salire. «Non voglio insultare nessuno, ma come definire certi comportamenti: stupidità? Immaturità? Noi medici vediamo i malati morire soffocati, ma quando avvertiamo che non è prudente riaprire si grida al golpe dei camici bianchi», ha detto Babudieri al Corriere della Sera.

Anche il presidente Christian Solinas ha spiegato il peggioramento con il calo di attenzione avvenuto durante le prime tre settimane di marzo. All’inizio di aprile Solinas ha detto che la Sardegna stava scontando le conseguenze della condotta durante la zona bianca. «Paghiamo una diffusione virale che ha camminato sulle gambe delle persone», ha detto Solinas. «Non dobbiamo nasconderci dietro un dito, alcuni atteggiamenti non sono stati responsabili».


È difficile prevedere cosa succederà, perché anche in Sardegna si dovrà capire quali saranno gli effetti delle riaperture decise a livello nazionale. Nonostante la zona rossa, già da oggi sull’isola potranno arrivare turisti dalle altre regioni grazie alla “certificazione verde” che consente di spostarsi anche nelle regioni arancioni e rosse. Per arrivare in Sardegna, quindi, basta dimostrare di essere stati vaccinati oppure esibire un certificato di negatività a un tampone eseguito nelle 48 ore precedenti.

Queste misure sono molto simili a quelle già previste dalla Regione con il programma “Sardegna sicura”, che nelle ultime settimane ha consentito di controllare molte delle persone in arrivo sull’isola. Tra sabato e domenica, per esempio, le forze dell’ordine hanno svolto 2.586 verifiche negli aeroporti e nei porti, e notificato cinque sanzioni per spostamenti senza giustificato motivo. Solo con controlli efficaci si potrà evitare l’incremento dei casi avvenuto l’estate scorsa, quando in molte discoteche dell’isola scoppiarono focolai di contagio.

La campagna vaccinale
Così come nel resto d’Italia, anche in Sardegna c’è una certa attesa per gli effetti della campagna vaccinale, che però sull’isola non è partita nel migliore dei modi. Anche negli ultimi giorni il ritmo di vaccinazioni – circa 11mila al giorno – non è cresciuto come in quasi tutte le altre regioni. Secondo gli ultimi dati, il 20,1 per cento degli abitanti ha ricevuto la prima dose e l’8,5 per cento ha completato il ciclo vaccinale. Sono state somministrate 461.357 dosi di vaccino contro il coronavirus, l’88 per cento delle 521.650 consegnate finora. Sono numeri che l’assessorato alla Salute giudica in linea con gli obiettivi fissati dalla struttura commissariale. Ma domenica 25 aprile c’è stato un forte rallentamento con sole 4.148 vaccinazioni, dovuto principalmente alla chiusura dell’hub di Sassari a causa della mancanza di vaccini: uno stop che potrebbe avere conseguenze durante tutta la settimana.

La lentezza e i ritardi hanno spinto il sindacato pensionati della Cisl a chiedere il commissariamento della campagna vaccinale. Alberto Farina, segretario generale della federazione pensionati della Cisl, ha chiesto al commissario nazionale Francesco Figliuolo di accelerare i tempi almeno per le vaccinazioni degli anziani e dei fragili. Secondo l’assessore alla Salute Mario Nieddu le critiche sono ingenerose perché, su un totale di 77mila persone nella categoria “estremamente vulnerabili”, 30mila hanno ricevuto la prima dose del vaccino.