Che storia ha “Nomadland”

Il miglior film di questi Oscar nasce da un articolo del 2014 poi diventato libro, ed è stato girato quasi come un documentario

(Searchlight Pictures)
(Searchlight Pictures)

Nella notte Nomadland ha vinto il premio Oscar per il miglior film. Chloé Zhao, che l’ha diretto, è stata premiata come migliore regista e Frances McDormand, che compare in quasi ogni sua scena, ha vinto il premio per la miglior attrice protagonista. Il film, che dal 30 aprile sarà su Disney+, è costato circa 5 milioni di euro e finora ne ha incassati più o meno altrettanti. È comprensibile non averne sentito parlare, eppure arriva da lontano: da un articolo del 2014 diventato libro nel 2017. E di certo è un film atipico, perché – nel raccontare la storia di una donna che, rimasta vedova e senza lavoro, si mette a girare gli Stati Uniti a bordo di un furgoncino – ha un approccio quasi documentaristico, che mette nella finzione una buona dose di realtà.

L’articolo da cui inizia la storia di quello che poi è diventato Nomadland fu pubblicato su Harper’s Magazine e scritto dalla giornalista americana Jessica Bruder. Si intitolava “La fine della pensione: quando non puoi permetterti di smettere di lavorare” e raccontava la storia di alcune persone – in particolare di una certa Linda May – dalla vita nomade, che si spostavano da un posto all’altro a bordo di veicoli in cui vivevano anche, per risparmiare mentre facevano lavori spesso stagionali. Un argomento a cui Bruder, già autrice di un libro sul festival del Burning Man, aveva iniziato a interessarsi nel 2011.

Da quell’articolo Bruder sviluppò poi un libro: Nomadland: Surviving America in the Twenty-First Centurypubblicato nel 2017 e in seguito anche tradotto in italiano. Per quel libro, Bruder visse diversi mesi in un furgoncino (che scelse di chiamare Halen) e documentò la vita nomade e on the road di chi incontrava, indagando anche i motivi che avevano portato a quel tipo di vita, che in molti casi avevano a che fare con le gravi conseguenze della recessione iniziata nel 2008. Bruder percorse oltre 24mila chilometri sulle strade statunitensi, raccogliendo le testimonianze di decine di “nomadi”.

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Edizioni Clichy, che nel 2020 pubblicò la versione italiana del libro, lo presenta così:

Ogni giorno in America, il Paese più ricco del mondo, sempre più persone si trovano a dover scegliere tra pagare l’affitto e mettere il cibo in tavola. Di fronte a questo dilemma impossibile, molti decidono di abbandonare la vita sedentaria per mettersi in viaggio. In un mondo in cui basta un ricovero in ospedale al momento sbagliato per mandare in fumo i risparmi di una vita, in cui la previdenza sociale è praticamente inesistente e il peso dei debiti spinge molti alla disperazione, donne e uomini in età da pensione hanno iniziato a migrare da un lato all’altro del Paese attraverso i mezzi di trasporto più vari, tra un lavoro precario e l’altro. Tra loro Linda May: una nonna di 64 anni, dai capelli grigi, che vive viaggiando su un 28 piedi, e Bob Wells, diventato vero pilastro della comunità dei nomadi dopo anni di sofferenza e fallimenti.

Il New York Times lo definì un libro «splendido e scritto benissimo» e sintetizzò così le vite di alcune delle persone incontrate dall’autrice:

C’è un ex tassista di San Francisco che ha 67 anni e che, stritolato da Uber, scarica camion carichi di barbabietole da zucchero in North Dakota. C’è Chuck, un ex vicepresidente di McDonald che perse la sua casa vicina a un campo da golf e in un quartiere residenziale, e ora vende birre e hamburger. C’è Don, un ex software executive di 69 anni e con un pizzetto bianco, che perse i suoi risparmi nel 2008, e che dopo il divorzio perse anche la casa. Ora vive con il suo cane in un Airstream del 1990 e nella stagione pre-natalizia fa turni di 12 ore in un magazzino di Amazon.

Al libro si interessò McDormand, che insieme all’attore e produttore Peter Spears nel 2017 ne acquisì i diritti per il cinema. Sempre in quell’anno, a McDormand capitò di vedere a un festival cinematografico The Rider, il secondo film di Zhao, che è nata a Pechino e dopo essere andata a scuola a Londra («una di quelle in stile Hogwarts») aveva studiato scienze politiche negli Stati Uniti, decidendo infine di diventare regista.

– Leggi anche: Chloé Zhao prima dell’Oscar

The Rider racconta la storia di un uomo che è una star dei rodeo e che però deve rinunciare alla carriera in seguito a un incidente. La gran parte degli attori non lo erano mai stati prima di quel film, compreso il protagonista, che interpreta un ruolo in parte autobiografico.

Nel marzo 2018 McDormand e Spears ebbero modo di incontrare Zhao e le proposero di diventare coproduttrice, sceneggiatrice e regista del film che avevano intenzione di fare partendo dal libro di Bruder. Sembra tra l’altro che l’idea iniziale di McDormand fosse di interpretare Linda May, la donna protagonista del libro. E che però Zhao le propose di interpretare un personaggio diverso e nuovo, che sarebbe poi diventato la Fern protagonista del film: a quanto pare in parte ispirato a una sorta di alter ego della stessa McDormand.

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Le riprese del film iniziarono nell’autunno 2018 – mentre Zhao già sapeva che avrebbe diretto il film Marvel The Eternals – e furono piuttosto insolite. Nel ricreare qualcosa di simile a quanto fatto da Bruder, Zhao e il suo compagno (il direttore della fotografia del film, Joshua James Richards) allestirono un van, che scelsero di chiamare Akira, e vissero a loro volta on the road per un po’, andando a cercare i protagonisti del libro, e incontrando a loro volta altre persone che stavano facendo quel tipo di vita.

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Fece così anche l’intera troupe, composta da 36 persone che per le riprese del film girarono per decine di giorni tra Arizona, Nebraska, Nevada, California e South Dakota, scegliendo cosa girare praticamente senza sceneggiatura, in base a ciò che trovavano. E quindi facendo interagire il personaggio di Fern con le persone che incontravano, anche se sapevano che non avrebbero girato un vero documentario. Questo comportò una grande dose di improvvisazione, e anche di attenzioni per girare subito la scena buona, per evitare che i non attori diventassero meno spontanei nelle loro interazioni con McDormand. Come ha scritto CNN: «Fern è finzione, ma il mondo in cui si muove no».

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Il film, che Zhao ha anche montato, fu presentato al Festival di Venezia, dove vinse il Leone d’oro, il premio più importante, e dove si fece apprezzare da buona parte della critica cinematografica.

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Secondo la sintesi che ne ha fatto BuzzFeed News, «Nomadland è un film sullo scegliere la comunità anziché il capitalismo», che però riesce a non essere un film a tesi perché è «decisamente non giudicante, che non cerca di influenzare o convincere chi lo guarda, ma si limita a presentare una serie di momenti».

A questo proposito, Hollywood Reporter ha scritto che Nomadland «in superficie è giustamente nomade, senza fretta e non-narrativo», ma allo stesso tempo riesce a diventare molto altro «grazie all’effetto cumulativo dei suoi tanti incontri quieti e apparentemente irrilevanti, e ai momenti di solitaria contemplazione». Il film ha ricevuto anche alcune critiche, seppur molto minoritarie, in particolare quella di essere un “Oscar-bait”, un film fatto apposta per vincere un Oscar, e di proporre una specie di «turismo della povertà e della miseria».


Il film sarà su Disney+ dal 30 aprile e probabilmente anche nei cinema. «Per favore guardatelo sul più grande schermo possibile: spalla a spalla [metaforicamente, viste le norme in vigore] e al buio» ha detto McDormand.