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  • Domenica 25 aprile 2021

Le molte cose in ballo nelle elezioni in Albania

Il prossimo governo dovrà occuparsi di importanti riforme e dell'ingresso del paese nell'Unione Europea: il favorito è sempre lui, il primo ministro Edi Rama

Edi Rama (EPA/JOHN THYS / POOL)
Edi Rama (EPA/JOHN THYS / POOL)

La campagna elettorale in Albania, dove si vota il 25 aprile per rinnovare il Parlamento ed eleggere il primo ministro, nel corso dell’ultimo mese è stata caratterizzata da una retorica durissima, da accuse reciproche di corruzione e altri crimini da parte dei leader dei due principali partiti, da una crisi costituzionale che ha visto opposti il presidente del paese e il primo ministro e, negli ultimi giorni, da violenze in strada in cui è morta almeno una persona.

Secondo gli analisti, il voto di domenica è particolarmente importante per l’Albania, perché il prossimo governo dovrebbe gestire i negoziati per l’ingresso del paese nell’Unione Europea, dopo anni di attesa, e dunque dovrà occuparsi di portare a termine importanti riforme per ridurre la povertà, combattere la corruzione e rafforzare lo stato di diritto: l’ingresso dell’Albania nell’Unione Europea dipenderà molto da quali scelte politiche saranno prese nel corso del prossimo mandato.

Le elezioni sono anche un test per Edi Rama, primo ministro e leader del Partito socialista (PS), che governa dal 2013 tra accuse di corruzione da parte dell’opposizione, e che sta cercando un terzo mandato. Per ora è in testa ai sondaggi, anche se il suo vantaggio si è assottigliato nelle ultime settimane.

I due principali candidati sono figure note da tempo in Albania, e si erano affrontati anche alle elezioni del 2017: da un lato il socialista Rama e dall’altro Lulzim Basha, leader del Partito democratico (PD), di centrodestra. Se il PS corre da solo, forte del fatto che alle elezioni di quattro anni fa aveva ottenuto quasi il 50 per cento dei voti e la maggioranza assoluta in Parlamento, per battere Rama il PD ha creato una coalizione più ampia possibile: si è alleato con altri 13 partiti e movimenti, alcuni dei quali piccolissimi.

Un altro partito di un certo rilievo è il Movimento sociale per l’integrazione (LSI), che è il terzo partito del paese per consensi, si trova all’opposizione ed è vicino al PD, anche se corre da indipendente e in passato ha governato con il PS.

Rama chiede agli albanesi un terzo mandato (se lo ottenesse sarebbe la prima volta che nella breve storia dell’Albania post comunista un primo ministro viene rieletto per due volte) per poter portare a termine il lavoro cominciato nel 2013, «andare avanti con le riforme» e «non perdere tutti i sacrifici che abbiamo fatto finora». Basha ha accusato Rama di aver paralizzato il paese e di voler fare di tutto per stare al potere, ha promesso che combatterà contro la povertà e che il suo primo e più importante obiettivo sarà l’integrazione dell’Albania nell’Unione Europea. Basha accusa inoltre Rama di aver gestito male la crisi sanitaria provocata dalla pandemia da coronavirus.

Il candidato primo ministro del PD, Lulzim Basha, durante una manifestazione antigovernativa nel 2019 (AP Photo/Hektor Pustina)

La campagna elettorale è stata fin da subito molto aggressiva sia nei toni sia nel suo svolgimento: i due candidati si sono accusati a vicenda di vari crimini, soprattutto legati alla corruzione e alla frode elettorale, e diversi momenti della campagna sono stati tesi e violenti.

Durante i comizi elettorali di entrambi i partiti, che si sono tenuti almeno in parte di persona nonostante la pandemia, gruppi di disturbatori del partito avversario hanno spesso interrotto gli eventi con schiamazzi e proteste. Gruppi organizzati e bellicosi dell’una e dell’altra parte si sono mobilitati contro gli avversari politici, e in alcuni casi, come a febbraio nella città di Elbasan, a 35 chilometri dalla capitale Tirana, ci sono state risse e violenze, che negli ultimi giorni sono degenerate.

Lunedì scorso alcune persone hanno sparato contro un ufficio del Partito democratico nella cittadina di Kavaja, ferendo al ginocchio il giovane segretario locale del partito.

Immediatamente, Basha ha denunciato «l’attacco codardo» e ha detto che il suo movimento non si farà intimidire. Rama, al contrario, ha detto che l’attacco «non era politicamente motivato» e anzi ha accusato il PD per l’eccessiva polarizzazione del dibattito. Il giorno dopo, martedì 20 aprile, a Elbasan, si sono scontrati per strada gruppi di attivisti dei due partiti, e la rissa si è trasformata in uno scontro armato quando uno dei sostenitori del PD ha tirato fuori un’arma da fuoco: un attivista del PS è stato ucciso, e ci sono stati altri quattro feriti, compreso un agente di polizia.

A quel punto, è stato il PS ad accusare gli avversari: Taulant Balla, il capogruppo del PS in Parlamento, ha detto che il Partito democratico avrebbe portato «gruppi paramilitari e uomini armati da altre città» per intimidire gli elettori di Elbasan, che è al centro di una delle regioni più povere dell’Albania, dove la rivalità tra i due partiti è particolarmente alta. Gazment Bardhi, segretario generale del PD, ha risposto accusando di rimando gli avversari: gli scontri sarebbero cominciati perché un gruppo di attivisti del PS stava distribuendo soldi ai cittadini per comprare i loro voti.

Le accuse di frode elettorale sono particolarmente diffuse, e secondo il sito Balkan Insight in diverse aree del paese, come a Elbasan, i partiti avrebbero effettivamente usato i loro fondi per influenzare il voto. Una delle pratiche più frequenti sarebbe acquistare le carte d’identità dei cittadini in zone dove il partito avversario è particolarmente forte, per impedire ai residenti di votare.

Alla violenza politica si è aggiunta la crisi costituzionale: pochi giorni fa Ilir Meta, il presidente della Repubblica, ha dato un’intervista ad Associated Press in cui ha annunciato che si dimetterà se Rama vincerà di nuovo le elezioni. Meta ha accusato Rama di aver trasformato l’Albania in un «regime cleptocratico» e in una «brutta copia» della dittatura comunista che governò il paese per decenni.

La crisi è piuttosto grave perché nell’assetto costituzionale albanese il presidente della Repubblica ha un ruolo simile a quello del suo omonimo italiano: il suo potere è in gran parte cerimoniale e il suo compito è di essere un rappresentante super partes di tutta la nazione.

Il presidente della Repubblica albanese Ilir Meta (AP Photo/Hektor Pustina)

Ma Meta è un personaggio ancora piuttosto attivo in politica. Cominciò la sua carriera nel Partito socialista, che abbandonò per fondare il LSI, che oggi è all’opposizione e che ha ancora stretti legami con Meta: l’attuale leader del partito, Monika Kryemadhi, è sua moglie. (Per poter ottenere la carica di leader del LSI, Kryemadhi ha rinunciato al ruolo di first lady, che è passato alla figlia maggiore).

Già nel passato Meta si era scontrato duramente con Rama, e più volte il primo ministro aveva chiesto le sue dimissioni, ma il presidente non si era mai espresso in maniera brutale come negli ultimi giorni.

Lo scontro tra primo ministro e presidente mostra come gran parte delle elezioni ruoti attorno alla figura di Rama, che è stato il centro della politica albanese nell’ultimo decennio.

Ex ministro della Cultura ed ex sindaco di Tirana, Rama salì al potere nel 2013 con una vittoria schiacciante e con la promessa di eliminare povertà e corruzione: il Partito democratico, che aveva governato nei mandati precedenti, non era riuscito a gestire i contraccolpi della crisi economica del 2008-2009 ed era stato investito da numerosi scandali di corruzione. Rama promise di combattere il crimine organizzato, di riformare la scuola e il sistema sanitario, di creare 300 mila nuovi posti di lavoro e di far entrare il paese nell’Unione Europea.

Il suo governo, confermato nel 2017 con una vittoria ancora più schiacciante, è riuscito a raggiungere alcuni degli obiettivi: nel 2019 il Consiglio europeo acconsentì a dare inizio ufficialmente al processo per l’ingresso dell’Albania e nel 2020 i paesi membri acconsentirono all’inizio dei negoziati. È un buon risultato anche se secondo molti albanesi non è abbastanza, soprattutto perché in realtà i negoziati non sono mai cominciati: sono stati sospesi, almeno per ora, dal veto di alcuni paesi scettici, in special modo la Francia. Inoltre, anche se dovesse andare tutto liscio, sarebbero comunque necessari molti anni prima che l’Albania possa entrare nell’Unione.

Se nel rapporto con l’Europa i risultati di Rama sono stati controversi, in altri campi sono stati decisamente deludenti: la criminalità organizzata è rimasta molto forte, soprattutto quella legata al traffico internazionale di droghe; la crescita economica è stata in gran parte insufficiente e il PS nel corso degli anni è stato coinvolto in numerosi scandali di corruzione, alcuni dei quali hanno toccato lo stesso Rama, senza però concludersi in condanne.

Rama ha affrontato una grave crisi politica nel 2019, quando tutti i 43 deputati del Partito democratico si dimisero dal Parlamento per protesta contro il governo, e organizzarono grandi manifestazioni di piazza per chiedere le dimissioni dell’esecutivo, accusando il primo ministro di essere in combutta con la criminalità organizzata, di governare in modo autoritario e di non fare abbastanza per l’ingresso dell’Albania nell’Unione Europea. La crisi rientrò, ma Rama ne uscì piuttosto indebolito.

Nonostante questo, secondo i sondaggi il PS rimane il favorito per la vittoria, con una percentuale di voto tra il 40 e il 45 per cento. Nel corso delle ultime settimane tuttavia il vantaggio di Rama si è andato riducendo: se all’inizio dell’anno il vantaggio del PS sul PD era abbondantemente sopra al 10 per cento, nelle ultime settimane il margine si è ridotto, e alcuni sondaggi fatti ad aprile hanno perfino dato il PD avanti di qualche punto. Nel caso in cui i due partiti dovessero essere molto vicini, il LSI, che dovrebbe ottenere tra il 5 e il 10 per cento, potrebbe diventare decisivo.