L’inchiesta sulla ’ndrangheta e lo smaltimento illegale dei rifiuti conciari in Toscana

Coinvolge diversi imprenditori e alcuni politici locali, tra cui l'ex capo di gabinetto del presidente della Regione Eugenio Giani

La sede della Regione Toscana, a Firenze (ANSA/MAURIZIO DEGL'INNOCENTI)
La sede della Regione Toscana, a Firenze (ANSA/MAURIZIO DEGL'INNOCENTI)

Il 15 aprile i carabinieri, coordinati dalla Direzione distrettuale antimafia di Firenze, hanno arrestato 23 persone nell’ambito di una grossa inchiesta sulle infiltrazioni della ’ndrangheta in Toscana. L’inchiesta si divide in diversi filoni che riguardano il traffico di cocaina, il controllo di lavori stradali e lo smaltimento illecito di rifiuti. Le informazioni sull’inchiesta arrivano per lo più dai giornali, che a loro volta citano intercettazioni e fonti giudiziarie, e sono quindi da prendere con cautela.

Secondo gli investigatori, dietro le attività criminali contestate ci sarebbero membri della cosca Gallace di Guardavalle residenti in Toscana, e imprenditori toscani vicini ad essa. La cosca Gallace è nata negli anni Cinquanta nel comune di Guardavalle, in provincia di Catanzaro, ma a partire dagli anni Settanta si è radicata nel comune di Nettuno, nel Lazio, diventato poi uno dei punti di snodo per le proprie attività di narcotraffico.

In uno dei filoni dell’inchiesta sono indagati anche politici e dirigenti di enti pubblici locali, tra cui Ledo Gori, fino a pochi giorni fa capo di gabinetto del presidente della Regione, Eugenio Giani. Gori è accusato di corruzione per atti contrari ai doveri d’ufficio: in un’intervista al Tirreno Gori ha negato tutte le accuse.

Delle accuse nei suoi confronti si sta parlando molto perché Gori ha avuto grande rilievo nella politica toscana degli ultimi dieci anni. Prima di essere nominato capo di gabinetto di Giani, era stato capo di gabinetto di Enrico Rossi, presidente della Regione dal 2010 al 2020 (Gori era considerato da molti il “braccio destro” di Rossi). Il 19 aprile il presidente Giani ha revocato l’incarico a Gori.

Oltre a Gori, tra gli altri indagati ci sono Andrea Pieroni, consigliere regionale del PD accusato sempre di corruzione per atti contrari ai doveri d’ufficio, Edo Bernini, direttore del settore ambiente e energia della Regione accusato di abuso di ufficio, e Giulia Deidda, sindaca di Santa Croce sull’Arno (Pisa) accusata di corruzione, abuso di ufficio e associazione a delinquere.

L’inchiesta, dall’inizio
L’inchiesta era partita nel maggio del 2017 in seguito al ritrovamento di una decina di zaini contenenti cocaina nel mare di Livorno, davanti alla Terrazza Mascagni, uno dei luoghi più noti della città. Partendo da quel ritrovamento, i carabinieri avevano scoperto un giro di spaccio di cocaina che ruotava intorno al porto di Livorno e che era gestito da alcuni appartenenti alla cosca della ’ndrangheta Gallace di Guardavalle.

La Terrazza Mascagni, a Livorno (Piergiuliano Chesi/Wikimedia Commons)

Oltre allo spaccio di cocaina, però, le indagini avevano rivelato il legame tra i membri della cosca e alcuni imprenditori locali dell’industria conciaria, cioè della lavorazione di pelle e cuoio. In particolare l’inchiesta si è concentrata nel distretto conciario di Santa Croce sull’Arno, il più importante polo italiano per la produzione di pelli per borse e scarpe, che comprende i comuni di Bientina, Castelfranco di Sotto, Montopoli Val d’Arno, San Miniato, Santa Croce sull’Arno e Santa Maria a Monte in provincia di Pisa, e Fucecchio in provincia di Firenze.

Secondo l’accusa, l’Associazione Conciatori del distretto, che raggruppa più di 200 aziende conciarie della zona, con l’aiuto di due persone legate alla ’ndrangheta – Francesco e Manuel Lerose – avrebbe smaltito irregolarmente le ceneri di risulta dei rifiuti conciari (rifiuti classificati come “keu”), che secondo i magistrati sarebbero state miscelate insieme ad altri materiali e utilizzate per costruzioni edilizie e stradali.

In tutto sarebbero state smaltite illecitamente più di 8mila tonnellate di rifiuti industriali del distretto conciario, che secondo i magistrati contenevano alte concentrazioni di metalli pesanti tossici, come cromo e antimonio, che avrebbero inquinato falde acquifere e suolo. Evitando lo smaltimento dei rifiuti industriali attraverso le regolari procedure, le aziende del distretto avrebbero risparmiato circa 20 milioni di euro. Il keu passava da uno stabilimento di Pontedera che si occupa di depurazione delle acque, gestito dal consorzio Aquarno, società di Francesco Lerose.

Secondo i magistrati, alcuni politici locali avrebbero aiutato gli imprenditori del distretto conciario a smaltire illecitamente i rifiuti, evitando loro i dovuti controlli; la sindaca di Santa Croce sull’Arno, Giulia Deidda, avrebbe favorito Lerose, nominando consulenti ambientali graditi al consorzio Aquarno, in modo che non venissero riscontrare irregolarità nel processo di smaltimento dei rifiuti.

Nel giugno del 2020 il consigliere regionale Andrea Pieroni propose un emendamento alla legge regionale in materia di scarichi e di restituzione delle acque, che secondo i magistrati sarebbe stato chiesto direttamente dal consorzio Aquarno in cambio di «2-3.000 euro da erogarsi in concomitanza con la campagna elettorale delle elezioni regionali tenutesi nel settembre 2020 o in tempi immediatamente successivi».

L’emendamento, che fu approvato ma in seguito impugnato dal governo davanti alla Corte Costituzionale, sarebbe servito a sottrarre il consorzio dall’obbligo di sottoporsi alla procedura di autorizzazione integrata ambientale (Aia), che prevede che aziende come quelle che operano nel settore dei rifiuti si uniformino ad alcuni principi ambientali disposti dall’Unione Europea. In base all’emendamento, gli impianti del consorzio sarebbero stati esclusi da quelli facenti parte del servizio idrico integrato della Regione, che hanno bisogno dell’autorizzazione.

Il 22 aprile Domani e Il Tirreno hanno scritto che negli atti dell’inchiesta sarebbe stato inserito anche il video della seduta del Consiglio regionale del 26 maggio 2020, in cui era stato approvato l’emendamento. Il presidente del Consiglio regionale era all’epoca Eugenio Giani che, secondo la giudice per le indagini preliminari Antonella Zatini, avrebbe messo ai voti e fatto approvare sbrigativamente l’emendamento, «senza che di esso ne venisse fatta effettiva illustrazione del contenuto alle opposizioni». Giani non è indagato, ma secondo Zatini il suo comportamento durante quella seduta potrebbe aver favorito l’approvazione dell’emendamento.

Il ruolo di Gori, secondo l’accusa
Secondo l’accusa, negli anni Ledo Gori avrebbe agito da raccordo tra la politica della Regione e gli imprenditori del distretto conciario, aiutando questi ultimi a beneficiare delle deroghe sugli scarichi industriali, a far ottenere finanziamenti a fondo perduto al depuratore di Aquarno e ad eludere i controlli sugli impianti. In cambio gli imprenditori avrebbero esercitato pressioni su Giani perché rinnovasse a Gori l’incarico di capo gabinetto una volta eletto nuovo presidente della Toscana, nel settembre del 2020.

Queste pressioni, secondo i magistrati, sarebbero state esercitate sia direttamente da alcuni imprenditori dell’Associazione Conciatori sia tramite Giulia Deidda. Nelle carte dell’inchiesta si parla anche di una cena tra Giani, Gori, Aldo Gliozzi, direttore dell’Associazione Conciatori, e il suo predecessore Piero Maccanti: durante quella cena, avvenuta nel marzo del 2020, quando Giani era ancora solo candidato alla presidenza della Regione, gli imprenditori avrebbero chiesto a quest’ultimo la conferma di Gori come capo di gabinetto nel caso fosse stato eletto presidente, in cambio del loro sostegno durante la campagna elettorale.

In seguito, nell’ottobre del 2020, quando Giani era già stato eletto presidente della Toscana e Gori confermato capo di gabinetto, ci sarebbe stato un nuovo incontro tra Gori e gli imprenditori, a cui avrebbe partecipato anche l’ex presidente della Regione Enrico Rossi. Durante questo incontro Gori avrebbe ringraziato Gliozzi e Maccanti per la richiesta fatta a Giani di confermarlo nel suo incarico.

Nell’intervista di mercoledì 21 aprile al Tirreno, Gori ha smentito tutte le accuse, respingendo in particolare quella secondo cui lui avrebbe fatto pressioni per essere confermato capo di gabinetto. Gori ha detto che lui non avrebbe voluto continuare a occupare quell’incarico, e che anzi aveva suggerito Paolo Becattini, attuale capo segreteria di Giani. A proposito dei ringraziamenti fatti ai rappresentanti dei conciatori nella cena dell’ottobre 2020, Gori ha detto che «di persone che avevano chiesto la mia riconferma ce n’erano state moltissime, semplicemente il mio è stato un ringraziamento da persona civile».

Gori ha negato inoltre di aver esercitato pressioni per rimuovere ispettori ambientali non graditi ai conciari e di essere mai stato in contatto con Francesco Lerose, rivendicando che gli incontri con i rappresentanti dei conciatori facevano parte del suo ruolo politico: «È normale in vent’anni di governo maturare confidenza con gli attori sociali ed economici. Certo alle cene dei conciatori c’erano in tanti, mi son trovato allo stesso tavolo con Pieroni e perfino con Susanna Ceccardi della Lega. Ma se ho commesso un errore è stato proprio quello di non aver smesso una volta concluso il mandato di Enrico [Rossi, ndr]. Ma ripeto, è stato Giani a chiedermelo. Mi disse “mi serve la tua esperienza”. Come facevo a dirgli di no?».