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  • Domenica 11 aprile 2021

I populisti d’Europa contro le TV pubbliche

Alcuni paesi, come Ungheria e Polonia, le hanno trasformate in organi di stampa del governo, altri stanno cercando di ridurne l'indipendenza tagliandone i finanziamenti

Il primo ministro sloveno Janez Janša in un discorso televisivo dopo le elezioni del 2018
(EPA/CHRISTIAN BRUNA)
Il primo ministro sloveno Janez Janša in un discorso televisivo dopo le elezioni del 2018 (EPA/CHRISTIAN BRUNA)

Negli ultimi anni in vari paesi europei è successo che governi e movimenti populisti attaccassero le televisioni pubbliche, e in particolare minacciassero di tagliare drasticamente i finanziamenti statali che le sostengono. Come ha raccontato l’Economist, è un fenomeno che si è verificato sia in paesi governati da leader autoritari o semi-autoritari, come Ungheria, Polonia e più di recente Slovenia, sia in paesi con una forte tradizione liberale, come Germania e Svezia.

La recente ondata populista contro l’indipendenza delle televisioni pubbliche, ha scritto l’Economist, ha le sue radici in Russia, dove a partire dagli anni Duemila, con Vladimir Putin al potere, i media di stato hanno iniziato a comportarsi come organi di stampa del governo. Così quando nel 2010 Viktor Orbán è diventato primo ministro dell’Ungheria per la seconda volta, ha cercato di fare lo stesso nel suo paese, raggruppando tutti i servizi pubblici radiotelevisivi in un’unica emittente (MTVA) che è di fatto è diventata un organo di propaganda del governo.

Anche in Polonia il partito di destra Diritto e Giustizia (PiS) ha seguito l’esempio di Orbán quando è andato al potere nel 2015, e la tv pubblica TVP è finita anche qui in poco tempo sotto il controllo del governo.

Di recente, inoltre, il governo polacco ha proposto una legge che penalizzerebbe fortemente i siti di news e le televisioni private e indipendenti. La proposta di legge prevede l’introduzione di una nuova tassa sugli introiti pubblicitari dei media privati polacchi – giornali, tv, radio e siti – che invece non colpirebbe i media di stato. Per protesta a febbraio diversi giornali sono usciti in edicola con una prima pagina completamente nera, alcune radio e tv hanno sospeso le trasmissioni e su alcuni siti di news è apparsa solo una pagina nera.

Se le azioni contro l’indipendenza delle tv pubbliche in Ungheria e Polonia vanno avanti da diversi anni, in Slovenia sono un fatto relativamente nuovo, visto con molta preoccupazione dagli osservatori internazionali.

Da mesi il primo ministro sloveno, Janez Janša, accusa la televisione di stato (Radiotelevizija Slovenija, RTV) di diffondere bugie e fare disinformazione. La scorsa estate il governo di Janša aveva proposto alcune modifiche alle leggi esistenti per permettere allo stato di esercitare un maggiore controllo sui media: la proposta aveva l’obiettivo di ridurre notevolmente i fondi agli organi di informazione pubblica, misura che secondo le opposizioni doveva servire a destinare molte più risorse alle reti private, innanzitutto a Nova24TV, di proprietà di Janša. Il testo è ancora in fase di discussione.

Nel 2015 Janša ha fondato Nova24TV, un network televisivo di destra estrema che pubblica regolarmente teorie del complotto o servizi fuorvianti e falsi sulle politiche migratorie, i musulmani, la comunità LGBT+, tra le altre cose. Tra il 2016 e il 2018, Nova24TV ha ricevuto più di 3,5 milioni di euro di investimenti da imprenditori ungheresi vicini a Viktor Orbán, e questo ha avvicinato molto Janša al primo ministro ungherese.

Janša, che dal 1993 è presidente del Partito democratico sloveno (SDS), e prima di essere eletto capo del governo, nel marzo del 2020, era già stato primo ministro altre due volte, è una figura molto controversa: è stato in carcere due volte – la prima come dissidente politico e la seconda come condannato per corruzione – e ha cambiato orientamento politico in diverse occasioni.

Viktor Orbán e Janez Janša a Lubiana (AP Photo/Darko Bandic)

La minaccia all’indipendenza della televisione pubblica ha riguardato soprattutto i governi di paesi dell’ex blocco sovietico, ma qualcosa è successo anche in alcuni paesi occidentali.

In Germania le emittenti pubbliche ZDF e ARD vengono finanziate in gran parte dalla “Rundfunkbeitrag”, una tassa sugli immobili che però confluisce nel budget del servizio pubblico radiotelevisivo. L’importo della tassa viene ridiscusso ogni quattro anni e deve essere approvato dai singoli stati federali tedeschi, a seguito di una raccomandazione di una commissione indipendente di esperti.

Nel 2021 la tassa avrebbe dovuto passare da 17,50 a 18,36 euro al mese, ma l’aumento è stato bloccato dall’opposizione dello stato della Sassonia-Anhalt, ex stato della Germania Est, oggi governato dalla CDU, il partito della cancelliera Angela Merkel. La CDU locale si è opposta all’aumento della tassa e ha sostenuto che in un momento di crisi come questo siano le emittenti televisive a dover fare sacrifici economici, non i cittadini. Per ora quindi l’aumento è sospeso. Simili azioni sono state intraprese anche in altri paesi occidentali, come Svezia e Paesi Bassi, dove i partiti populisti propongono da tempo di tagliare i finanziamenti delle televisioni pubbliche, accusandole di trasmettere fake news. 

Una situazione diversa è invece quella dei paesi baltici, Estonia, Lettonia e Lituania, dove i tentativi dei populisti di chiedere una riduzione dei finanziamenti alle tv di stato finiscono sempre per fallire. In nessuno di questi paesi esiste infatti una tassa che finanzi il servizio pubblico, cosa che toglie forza all’argomento per cui i costi della tv di stato ricadano direttamente sui cittadini. È il caso per esempio dell’Estonia, dove il partito nazionalista EKRE aveva provato a sostenere una campagna contro le tv pubbliche, ma senza riscuotere successo.