La Turchia ha convocato l’ambasciatore cinese a causa di un battibecco su Twitter riguardo agli uiguri

Un gruppo della comunità uigura in Turchia protesta a Istanbul contro la repressione degli Uiguri in Cina. 10 febbraio 2021 (AP Photo/ Mehmet Guzel)
Un gruppo della comunità uigura in Turchia protesta a Istanbul contro la repressione degli Uiguri in Cina. 10 febbraio 2021 (AP Photo/ Mehmet Guzel)

Martedì 6 aprile il ministro degli Esteri della Turchia ha convocato l’ambasciatore cinese per discutere della reazione della Cina in un battibecco su Twitter riguardo agli uiguri, una minoranza di religione prevalentemente musulmana che abita nella regione nordoccidentale cinese dello Xinjiang e che ha una delle sue comunità più grandi in Turchia.

Il giorno stesso in un messaggio pubblicato sul suo account ufficiale di Twitter, l’ambasciata cinese ad Ankara, in Turchia, aveva criticato Meral Akşener, leader del partito turco nazionalista İyi Parti (Buon partito), e Mansur Yavas, sindaco di Ankara, per aver scritto dei post su Twitter che commemoravano una rivolta di uiguri nello Xinjiang nel 1990. Il messaggio dell’ambasciata cinese diceva che la Cina «si oppone e condanna con forza qualsiasi sorta di sfida alla sovranità cinese e all’integrità territoriale da qualunque persona o potere». Il 7 aprile il portavoce del ministro degli Esteri cinese, Zhao Lijian, ha sottolineato che «alcune persone in Turchia hanno fatto osservazioni sbagliate su Twitter che incoraggiano apertamente i terroristi» e che la reazione dell’ambasciata cinese era stata «del tutto appropriata».

Negli ultimi anni i legami diplomatici e commerciali tra Turchia e Cina si sono rafforzati, ma generalmente i turchi sostengono la minoranza uigura e di recente le autorità locali hanno anche autorizzato alcune manifestazioni da parte degli attivisti uiguri. Nello Xinjiang invece la minoranza è sistematicamente perseguitata e repressa: secondo diverse inchieste giornalistiche, testimonianze e rapporti dell’ONU, milioni di uiguri sono stati detenuti in campi di prigionia, definiti «di trasformazione attraverso l’educazione», o lo sono tuttora.

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