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  • Mercoledì 7 aprile 2021

Come sta andando il processo contro Derek Chauvin

Le prime testimonianze sembrano provare le accuse contro il poliziotto accusato di avere ucciso George Floyd

Derek Chauvin, a destra, insieme al suo avvocato, a sinistra, nel corso di un'udienza del processo (Court TV via AP, Pool, File)
Derek Chauvin, a destra, insieme al suo avvocato, a sinistra, nel corso di un'udienza del processo (Court TV via AP, Pool, File)

Il 29 marzo è iniziato a Minneapolis, in Minnesota, il processo contro Derek Chauvin, uno dei poliziotti incriminati per la morte di George Floyd, l’uomo afroamericano ucciso il 25 maggio del 2020 durante un arresto avvenuto sempre a Minneapolis. Chauvin è accusato di omicidio involontario di secondo grado, omicidio colposo e omicidio di terzo grado. L’esito del processo è molto atteso perché la morte di Floyd aveva generato manifestazioni in tutti gli Stati Uniti, che erano diventate in breve tempo proteste sempre più ampie contro le violenze, gli abusi e le discriminazioni nei confronti dei neri.

Floyd era stato arrestato con violenza nonostante fosse disarmato. Nei video dell’arresto girati dalle telecamere di sorveglianza e dai passanti si vedeva Chauvin premere con il ginocchio sul collo di Floyd per più di otto minuti: anche dopo che Floyd aveva perso coscienza, gli agenti non lo avevano soccorso. Chauvin aveva continuato a premere con il ginocchio anche in seguito all’arrivo dell’ambulanza, 20 minuti dopo l’intervento della polizia. Floyd era morto poco dopo essere stato portato in ospedale.

L’autopsia aveva detto che la morte di Floyd era stata un omicidio e che il cuore e i polmoni dell’uomo avevano smesso di funzionare mentre veniva «tenuto fermo» dalla polizia. Il rapporto sull’autopsia aveva segnalato che Floyd aveva pregressi problemi cardiaci e aveva assunto metanfetamine e fentanyl prima della morte, e aveva indicato come causa della morte un «arresto cardiopolmonare avvenuto come complicazione del blocco, della sottomissione e della compressione del collo da parte delle forze dell’ordine».

– Leggi anche: La ricostruzione della morte di George Floyd

Le accuse nei confronti di Chauvin
La prima accusa, quella di omicidio involontario di secondo grado, prevede una pena massima di 40 anni di carcere, mentre per l’omicidio colposo la pena massima è di 10 anni e per l’omicidio di terzo grado è di 25 anni.

Quest’ultimo è il reato che secondo l’accusa sarà più facile da provare: nel Minnesota l’omicidio di terzo grado avviene nei casi in cui una persona ne uccida un’altra direttamente o indirettamente a causa di un comportamento irresponsabile, non intenzionalmente, ma mostrando «una mente depravata, senza riguardo per la vita umana». Inizialmente questa accusa era stata rimossa, ma il giudice del processo, Peter Cahill, l’ha reinserita in seguito a una richiesta della Corte d’Appello dello stato.

Gli altri agenti incriminati sono Thomas Lane, J. Alexander Kueng, e Tou Thao, accusati di aver facilitato l’omicidio di Floyd. Lane e Kueng avevano aiutato Chauvin a tenere Floyd a terra per un certo periodo di tempo, mentre Thao aveva assistito senza fare niente. Il loro processo inizierà separatamente ad agosto.

Il processo finora
Il processo è iniziato lunedì 29 marzo e dovrebbe durare in tutto circa un mese. Eric J. Nelson, l’avvocato di Chauvin, finora ha cercato di convincere i giurati che i video della morte di Floyd non raccontano l’intera storia e ha sostenuto che Chauvin era stato correttamente istruito per intervenire in casi del genere e che non aveva premuto il suo ginocchio esattamente sul collo di Floyd. Secondo Nelson, la morte di Floyd potrebbe essere stata causata dai farmaci oppiacei assunti in precedenza.

Nel corso della prima settimana di udienze sono state ascoltate diverse persone che avevano assistito all’arresto di Floyd, ma anche la sua fidanzata di allora, il medico che aveva provato a rianimarlo e alcuni agenti della polizia di Minneapolis.

La testimonianza più rilevante è stata quella resa il 5 aprile da Medaria Arradondo, il capo della polizia della città. Arradondo ha condannato le azioni di Chauvin e sostenuto che in nessun caso il metodo utilizzato per arrestare Floyd sarebbe tollerato dalla polizia.

La testimonianza di Arradondo potrebbe compromettere la tesi difensiva degli avvocati di Chauvin, secondo cui il loro assistito aveva compiuto un’azione corretta, in base alle regole della polizia di Minneapolis: il codice di comportamento della polizia locale dice infatti che gli agenti possono usare la tecnica del ginocchio sul collo, ma solo quando una persona resiste attivamente all’arresto.

«Continuare ad applicare quel livello di forza a una persona che è stesa a terra e ammanettata dietro la schiena è una cosa che in nessun modo fa parte delle nostre regole», ha detto Arradondo. «Non fa parte della nostra formazione. E certamente non fa parte della nostra etica o dei nostri valori». Arradondo ha detto che quanto fatto da Chauvin avrebbero potuto essere ragionevole nei «primi secondi» dell’arresto, ma che «una volta che Floyd aveva smesso di opporre resistenza, e dopo che aveva mostrato di soffrire e aveva cercato di dirlo, avrebbe dovuto smettere».

Arradondo ha anche detto che al momento dell’arresto di Floyd si trovava a casa e che inizialmente, dopo aver visto le immagini delle telecamere di sorveglianza, senza audio, non aveva notato nulla di strano. Solamente alcune ore più tardi, verso mezzanotte, aveva visto un video realizzato da un passante e si era reso conto della gravità di quanto successo. Il giorno successivo aveva licenziato tutti e quattro gli agenti coinvolti nell’arresto.

Giovedì primo aprile ha testimoniato anche Courteney Ross, compagna di Floyd al momento della sua morte. Ross ha raccontato che a Floyd in passato erano stati prescritti  farmaci antidolorifici a causa di un dolore cronico di cui soffriva e che sia lui che lei ne erano diventati dipendenti. Così, quando la prescrizione era scaduta, lui aveva continuato ad acquistare farmaci oppiacei in maniera illegale.

Ross ha detto che entrambi avevano in seguito cercato di disintossicarsi ma che pochi giorni prima della sua morte aveva scoperto che Floyd aveva ricominciato ad assumere oppiacei. Anche questa testimonianza servirà all’accusa per respingere la tesi della difesa di Chauvin secondo cui Floyd avrebbe avuto un’overdose: secondo l’accusa, infatti, Floyd avrebbe sviluppato negli anni un’alta tolleranza nei confronti dei farmaci oppiacei e che la quantità trovata nel suo sangue non avrebbe potuto procurargli un’overdose.