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  • Giovedì 1 aprile 2021

Gli All Blacks non vogliono farsi comprare

Con una lettera i giocatori e le giocatrici di rugby neozelandesi si sono opposti alla vendita di una parte delle quote della federazione

Rieko Ioane, Sam Cane e Dan Coles prima di Nuova Zelanda-Argentina del Tre Nazioni (Cameron Spencer/Getty Images)
Rieko Ioane, Sam Cane e Dan Coles prima di Nuova Zelanda-Argentina del Tre Nazioni (Cameron Spencer/Getty Images)

Da inizio anno New Zealand Rugby (NZR), l’organo che governa il rugby professionistico neozelandese, sta valutando la possibilità di vendere il 15 per cento dei suoi diritti commerciali al fondo d’investimento statunitense Silver Lake. Il marchio degli All Blacks è il più importante nel mondo del rugby e uno dei più preziosi nello sport professionistico. Silver Lake lo ha valutato complessivamente 2 miliardi di dollari, più o meno 1 miliardo e 700 milioni di euro, e perciò ha offerto 276 milioni di euro per acquistarne il 15 per cento sotto forma di diritti commerciali.

Di recente i giornali neozelandesi avevano raccontato che la trattativa era vicina alla definizione tra le parti e quindi avviata verso il voto di approvazione all’interno della federazione. Ma lunedì 29 marzo l’associazione che riunisce giocatori e giocatrici neozelandesi ha inviato una lettera ai dirigenti federali per opporsi in modo abbastanza deciso alla vendita delle quote. La presa di posizione dei giocatori potrebbe far saltare la trattativa, dato che la loro associazione è una delle parti più influenti tra quelle coinvolte nel processo di approvazione.

Nella lettera, firmata dai capitani delle squadre maschili e femminili e da alcuni degli All Blacks più esperti in attività, come Aaron Smith, Sam Whitelock e Dane Coles, si legge: «Riteniamo di dovervi già comunicare che non concederemo la nostra approvazione alla vendita di quote. La decisione è stata presa dopo un’attenta valutazione da parte del nostro consiglio di amministrazione, il quale ritiene ci siano altre soluzioni da valutare, come il rilancio della strategia aziendale o l’emissione di obbligazioni».

La lettera continua con le ragioni a sostegno dell’opposizione alla vendita: «I giocatori neozelandesi giocano per se stessi, per le loro famiglie e per il loro paese con un impegno nei confronti del successo richiesto dalla storia ed ereditato dalla tradizione. I tifosi comprendono questo impegno e ci riconoscono l’essenza di quello che può significare essere neozelandesi. È questo che stiamo vendendo: 129 anni di storia, e talento, e risultati che hanno portato a successi straordinari, raggiunti perché siamo quelli che siamo. Nessun altro l’ha fatto. Nessun altro avrebbe potuto farlo».

Sonny Bill Williams regala la sua medaglia d’oro vinta alla Coppa del Mondo del 2015 a un bambino tra il pubblico di Twickenham (Getty Images)

New Zealand Rugby è stata fondata nel 1892 per promuovere e sviluppare il rugby in tutto il paese, per organizzare gli eventi di interesse nazionale e per incoraggiare la partecipazione allo sport. Oltre agli All Blacks e alle Black Ferns (la nazionale femminile), gestisce anche i cinque club federali che partecipano al Super Rugby, il campionato professionistico dell’emisfero australe. I giocatori che fanno parte di una di queste squadre sono legati contrattualmente alla federazione. Nel caso accettino un contratto con una qualsiasi squadra straniera, perdono automaticamente la possibilità di giocare per la Nuova Zelanda.

Nonostante il brand degli All Blacks sia uno dei più solidi al mondo e per questo poco soggetto a svalutazioni, gli effetti della pandemia da coronavirus ne hanno compromesso i bilanci. Per il 2020 la federazione ha confermato una perdita tra i 40 e 50 milioni di dollari e ha preventivato il dimezzamento delle riserve di cassa da 93 a meno di 50 milioni. Per questi motivi — così come in molte altre realtà sportive — la federazione neozelandese è alla ricerca di liquidità per contenere le perdite e per non compromettere ulteriormente il suo patrimonio: in cambio è disposta a rinunciare a una parte delle sue quote.

Queste necessità hanno permesso ai fondi di investimento di diventare soci di campionati e federazioni sportive, potendo garantire rapidamente la liquidità richiesta. La testimonianza più recente di questa tendenza viene proprio dal rugby ed è l’acquisizione del 14 per cento del Sei Nazioni da parte del fondo britannico CVC per oltre 350 milioni di euro. L’accordo che ha riguardato il Sei Nazioni è simile a quello in discussione in Nuova Zelanda; ha coinvolto, inoltre, lo stesso fondo che da mesi è in trattative per l’acquisto del 10 per cento della nuova società che gestirà la commercializzazione del campionato di Serie A.