La coraggiosa storia di “Women on Web”

Come una ong che somministrava pillole abortive in acque internazionali è diventata un punto di riferimento per l'IVG farmacologica in telemedicina

di Luigi Cojazzi

(uno screenshot del sito di Women on Web)
(uno screenshot del sito di Women on Web)

L’emergenza sanitaria provocata dalla pandemia da coronavirus ha reso più difficile l’accesso all’interruzione volontaria di gravidanza in varie parti del mondo. Questo ha fatto aumentare le richieste ricevute da organizzazioni che offrono assistenza alle donne che intendono abortire, cioè servizi di consulenza medica online e invio di farmaci abortivi a domicilio.

Una delle prime e più note esperienze di questo tipo è Women on Web, una ong canadese nata per facilitare l’accesso a un aborto sicuro negli stati in cui tale procedura è illegale o fortemente limitata. Women on Web è da tempo una realtà consolidata in diverse parti del mondo, ma negli ultimi mesi ha visto crescere i contatti anche da parte di donne che vivono in paesi in cui è possibile abortire legalmente, ma nei quali di fatto l’accesso è ostacolato.

L’aborto nel mondo
È ancora difficile quantificare l’impatto che l’attuale pandemia ha avuto sull’accesso all’aborto, principalmente perché molti stati non hanno ancora pubblicato i dati definitivi per il 2020. Ma i problemi per accedere a un’interruzione di gravidanza sicura non sono certo cominciati con la pandemia, come mostrano chiaramente i dati a livello globale.

L’aborto non è ancora riconosciuto come un diritto in varie parti del mondo. In 121 paesi (dove vive all’incirca il 41 per cento delle donne in età fertile) l’interruzione volontaria di gravidanza è totalmente proibita oppure consentita solo in un ristretto numero di circostanze eccezionali.


La conseguenza più diretta è l’altissima percentuale di aborti praticati annualmente in condizioni rischiose: l’Organizzazione Mondiale della Sanità stima che gli aborti clandestini uccidano ogni anno 47.000 donne e provochino danni temporanei o permanenti ad altri 7 milioni. «Quando vedi le ragazzine che sono costrette a lasciare la scuola per portare a termine una gravidanza, capisci che è anche una questione di giustizia sociale», ha detto tempo fa in un’intervista a BBC Rebecca Gomperts, la medica olandese che nel 2005 fondò Women on Web, che in poco più di quindici anni di esistenza ha risposto a oltre un milione di mail provenienti da tutto il mondo e inviato farmaci abortivi a circa centomila persone.

Abortire su una nave
Le origini di Women on Web e della pratica della telemedicina abortiva, cioè dell’interruzione di gravidanza a tramite l’assunzione dei farmaci a domicilio e con consulenza medica a distanza, ormai praticata in vari paesi in totale sicurezza, hanno una storia affascinante e legata a un precedente progetto avviato da Gomperts alcuni anni prima, dal nome simile: Women on Waves.

L’organizzazione praticava aborti in mare aperto grazie a una clinica ginecologica mobile allestita in un container e caricata su una nave battente bandiera olandese. Quando la nave attraccava nel porto di un paese con restrizioni legali all’aborto, le donne che ne avevano fatto richiesta venivano fatte salire a bordo e portate in acque internazionali (dove vige la legge del paese in cui l’imbarcazione è registrata). A quel punto ricevevano le pillole abortive sotto il controllo del personale sanitario della ong.

Le azioni di Women on Waves furono tra le prime esperienze a internazionalizzare la lotta in favore dell’aborto. Erano precedute da campagne stampa organizzate insieme ai movimenti femministi locali e riuscivano quasi sempre a generare un forte impatto mediatico. L’arrivo della nave in un porto era accolto da attiviste e sostenitrici, ma spesso anche dalle proteste dei ben più numerosi gruppi antiabortisti.

Un evento che cambiò la storia dell’organizzazione si verificò durante una missione in Portogallo del 2004. Quando l’imbarcazione di Women on Waves tentò di entrare nelle acque territoriali del paese, che all’epoca aveva una delle legislazioni più restrittive d’Europa in materia di interruzione di gravidanza, il governo portoghese inviò due navi da guerra per bloccarla. Ne seguì uno stallo di vari giorni che creò un notevole caso diplomatico e fruttò alla ong, che fronteggiava con un piccolo vascello la marina militare portoghese, una grande visibilità. Ma intanto non c’era modo di aiutare le molte donne portoghesi che avevano riposto la loro unica speranza di abortire nell’arrivo della ong.

Per uscire da questa impasse, Gomperts decise di fare una cosa che fino a quel momento non aveva mai fatto nessuno. Invitata a un noto talk show su una rete pubblica portoghese, prese la parola e spiegò in diretta tv come le donne potevano abortire da sole.

L’interruzione autonoma di gravidanza, spiegò Gomperts, prevede l’assunzione di due farmaci: il mifepristone, che provoca concretamente l’interruzione della gravidanza, e il misoprostolo, che induce le contrazioni. Ciò che non tutte sapevano era che il misoprostolo, se preso nella giusta dose, basta da solo a provocare l’aborto ed è contenuto in molti farmaci per le ulcere gastriche facilmente reperibili in commercio (per esempio il Cytotec).


Fu un gesto senza precedenti, che diede alle donne portoghesi la possibilità di gestire l’aborto in autonomia. C’erano ormai sufficienti prove scientifiche del fatto che l’aborto farmacologico era abbastanza sicuro da non richiedere l’ospedalizzazione. Gomperts capì che per fare arrivare i servizi abortivi nei paesi in cui erano vietati non c’era bisogno di una nave. Bastavano internet, le poste e la telemedicina. L’anno dopo fondò Women on Web.

Dalle navi a internet
Women on Waves ha continuato a occuparsi di portare la questione dell’aborto al centro del dibattito pubblico, tramite campagne spesso caratterizzate da azioni eclatanti: come quando nel 2016 consegnò con un drone dei farmaci abortivi in Irlanda del Nord, dove era in vigore il Criminal Justice Act, legge del 1945 che permetteva l’aborto solo in caso di rischio per la vita della donna e lo vietava perfino in caso di stupro, incesto o malformazioni gravi del feto.

L’attività quotidiana di assistenza alle donne che vogliono abortire è stata invece assunta da Women on Web.

Il nucleo dell’attività di Women on Web (WoW) è la pagina internet e la rete di volontarie dell’équipe medica e dell’help desk. La stessa Organizzazione Mondiale per la Sanità classifica esplicitamente tra gli aborti sicuri quelli realizzati “tramite servizi di telemedicina come Women on Web”, a differenza di quelli autogestiti acquistando farmaci sul mercato nero e senza supervisione medica.

Le donne che accedono al sito di WoW in cerca di aiuto devono innanzitutto compilare un questionario di circa 25 domande, disponibile in varie lingue, che viene poi esaminato dal personale medico dell’organizzazione. In assenza di controindicazioni, vengono prescritte le pillole, che sono poi concretamente inviate da alcune imprese farmaceutiche indiane che collaborano al progetto offrendo il medicinale a prezzo di costo. Alla fine è richiesta una donazione che può andare da 70 a 120 euro per contribuire alle spese amministrative, ma non è obbligatoria, per aiutare anche chi non se la può permettere.

Una condizione indispensabile è invece che la gravidanza non superi la decima settimana, in modo che il farmaco possa essere ricevuto dalle richiedenti entro la dodicesima (limite oltre il quale l’OMS consiglia di eseguire l’aborto in una struttura ospedaliera).

Come misure di sicurezza, WoW raccomanda di avere qualcuno accanto al momento di assumere i farmaci e di trovarsi a meno di un’ora da un ospedale. L’help desk si occupa di fornire tutte le informazioni necessarie e di accompagnare in tempo reale il processo. Se si verificano complicazioni (cosa che avviene nel 3 per cento dei casi) viene attivato il teleconsulto con il personale medico dell’associazione, che eventualmente consiglia di recarsi in pronto soccorso.

Per le donne che scelgono queste forme di aborto in telemedicina, la salute non è l’unico fattore di rischio. Secondo la legislazione di vari paesi, alcune donne prendendo le pillole commettono un reato punito con pene che possono includere il carcere. Per questa ragione il sito consiglia di assumere la compressa di misoprostolo lasciandola sciogliere sotto la lingua e sputandone i resti dopo una trentina di minuti. È un modo per eliminare eventuali tracce del farmaco: in caso di complicazioni e ricovero ospedaliero non sarà dimostrabile che l’aborto sia stato indotto.

Alcuni stati hanno comunque cercato di bloccare alla radice l’attività di WoW. Al momento la pagina risulta oscurata in Turchia, Corea del Sud e Arabia Saudita. Ma aggirare le restrizioni non è difficile, come dimostra il recente aumento di contatti provenienti dalla penisola araba: sono sufficienti pochi accorgimenti come l’uso di un proxy server o del browser TOR.

WoW nei paesi dove l’aborto è legale
L’attività di Women on Web è stata inizialmente incentrata sui paesi in cui ci sono restrizioni all’aborto. Ma negli ultimi anni sono aumentate le richieste provenienti da zone in cui le vie legali all’aborto esistono, almeno sulla carta.

Dal 2018 l’organizzazione ha attivato un help desk specifico anche in Italia, per far fronte alla continua crescita delle richieste. «La politica di Women on Web in questo senso è cambiata. Prima non si inviavano farmaci in paesi dove l’aborto è legale. Ma poi ci siamo rese conto che ci sono realtà, in Italia come in Francia, Spagna o Inghilterra, dove abortire è legale, ma nella realtà dei fatti l’accesso non è sempre garantito», dice una responsabile, che preferisce rimanere anonima. «Per prima cosa cerchiamo sempre di capire perché chi ci contatta non si rivolga alle strutture esistenti sul territorio».

In Italia le ragioni sono spesso legate all’elevato numero di medici obiettori, che costringe a lunghi spostamenti, e alle difficoltà di accedere all’aborto farmacologico. «Se non riusciamo a trovare soluzioni a livello locale, tenendo in conto fattori quali lo stato di avanzamento della gravidanza e le condizioni di salute psicologica della donna, attiviamo la procedura per l’invio dei farmaci».

In alcuni paesi Women on Web svolge unicamente servizio informativo. Negli Stati Uniti la scelta di non spedire le pillole è stata motivata dal timore che un’eventuale controffensiva del poderoso movimento antiabortista del paese potesse portare al blocco di tutta l’attività dell’organizzazione. Ma negli ultimi anni le richieste hanno continuato ad aumentare, anche a causa delle leggi sempre più restrittive adottate da alcuni stati. Così nel 2018 Gomperts ha deciso di creare un’organizzazione separata, Aid Access, che solo nei primi dieci mesi di attività ha effettuato 11.000 consulti e prescritto 2.600 volte le pillole.

Come prevedibile, l’agenzia dei farmaci statunitense (FDA) ha reagito prontamente. Sotto la pressione di un folto gruppo di parlamentari Repubblicani ha accusato Aid Access di violare la legge sull’importazione di medicinali negli Stati Uniti e ha tentato di bloccare i pagamenti sul sito. Aid Access ha risposto citando in giudizio la FDA presso un tribunale federale, sostenendo che violava i diritti costituzionali delle donne. Il primo grado è stato favorevole a FDA e ora si attende la sentenza del processo di appello, ma intanto il sito è ancora attivo.

L’impatto della pandemia
Durante la pandemia le visite alla pagina internet di Women on Web sono aumentate notevolmente in quasi tutta Europa, sintomo di una richiesta sempre più urgente di servizi abortivi in telemedicina. Lo conferma uno studio realizzato da alcune ricercatrici dell’Università del Texas che ha preso in esame l’accesso al sito di WoW da otto paesi dell’Unione Europea tra gennaio 2019 e giugno 2020. In cinque di essi (Ungheria, Italia, Malta, Portogallo e Irlanda del Nord) si è registrato un netto aumento dei contatti a partire dal momento dell’entrata in vigore di misure restrittive della circolazione. In Italia la crescita registrata è stata del 67,9 per cento.

La pandemia ha reso ancora più evidente come in Italia esista tutta una serie di ostacoli che limitano in concreto il diritto delle donne ad abortire. L’interruzione di gravidanza farmacologica ha uno dei tassi più bassi di tutta l’Unione Europea, il 24,4 per cento, ed è stata disincentivata da varie misure, come per esempio l’obbligo di ricovero, formalmente non più in vigore dallo scorso agosto, o di una lunga trafila di visite ospedaliere, che la rendono nella pratica altrettanto complessa di un aborto chirurgico.

«E questo non per delle ragioni scientifiche, ma per dei motivi puramente ideologici», dice Marina Toschi, ginecologa e membro di Pro-choice, Rete italiana contraccezione aborto. «In Italia c’è il timore che abortire possa diventare troppo facile». Fino all’anno scorso le direttive del ministero della Salute raccomandavano tre giorni di ricovero per l’aborto farmacologico. Le nuove linee di indirizzo in vigore da agosto, che estendono a nove settimane di età gestazionale la somministrazione del farmaco e ne prevedono la somministrazione in day hospital o nei consultori, non sono state recepite dalla maggior parte delle regioni.

Come segnalano diverse associazioni, questa situazione ha prodotto esiti paradossali durante la pandemia, quando molti ospedali, per limitare gli accessi alle strutture sanitarie, hanno sospeso l’aborto farmacologico (che richiede quattro visite complessive: una informativa, due per la somministrazione dei distinti farmaci, una di controllo) e mantenuto invece quello chirurgico (eseguibile in day hospital, previa un’unica visita per gli esami e il colloquio con l’anestesista). Una difficoltà che è andata a sommarsi ai disagi già creati dalle limitazioni alla circolazione, e che contribuisce a spiegare probabilmente perché molte donne hanno scelto di rivolgersi a Women on Web o siti analoghi.

– Leggi anche: L’aborto, durante la prima fase della pandemia

Sul versante opposto, l’esperienza più all’avanguardia in termini di telemedicina è stata quella del Regno Unito (con l’esclusione dell’Irlanda del Nord, che ha una legislazione autonoma in materia e dove l’aborto è stato legalizzato solo nel 2018).

Già il 30 marzo del 2020, a pochi giorni dall’inizio ufficiale della pandemia, il governo britannico aveva approvato delle misure provvisorie che permettono di assumere i farmaci abortivi a casa ed estendono il limite per l’assunzione dalla nona alla decima settimana di gravidanza. Tutte le consultazioni con il personale sanitario avvengono per telefono o video e i farmaci sono spediti a domicilio. Non è difficile capire perché, secondo i dati della ricerca dell’università del Texas, siano l’unico paese in controtendenza: i contatti alla pagina di Women on Web sono crollati dell’87,6 per cento, riducendosi di fatto alla sola richiesta di assistenza.

Da segnalare infine il caso della Spagna, dove all’inizio dell’anno scorso la pagina di Women on Web si è ritrovata improvvisamente oscurata, senza che all’organizzazione fosse notificato il provvedimento da parte delle autorità competenti. Solo in un secondo momento è emerso che il blocco era stato richiesto ai fornitori di servizi internet direttamente dal ministero della Salute, che accusava il sito di violare la normativa sulla vendita di farmaci in territorio spagnolo.

Le restrizioni all’accesso sono state rimosse solo dopo alcuni mesi, quando varie ong hanno denunciato pubblicamente il tentativo di censura e Gomperts ha presentato un esposto contro l’oscuramento di Women on Web al Consiglio per i diritti umani dell’ONU.

Questo e gli altri articoli della sezione L’aborto in Italia sono un progetto del corso di giornalismo 2021 del Post alla scuola Belleville, pensato e completato dagli studenti del corso.