La Juventus ha scommesso e per ora sta perdendo
Da due anni il club che per quasi un decennio ha dominato il calcio italiano sta provando a cambiare identità, senza successo
Per la seconda stagione consecutiva la Juventus, la squadra che da nove stagioni rappresenta il meglio che il calcio italiano ha da offrire in Europa, è stata eliminata nel primo turno a eliminazione diretta di Champions League. In entrambi i casi l’eliminazione è arrivata agli ottavi di finale contro due squadre sulla carta inferiori — l’anno scorso fu il Lione, quest’anno il Porto — e nettamente sfavorite nel confronto, almeno in partenza.
Queste due eliminazioni, deludenti e premature per gli obiettivi della squadra, stanno facendo perdere alla Juventus la scommessa fatta due stagioni fa, quando decise di provare a cambiare la propria identità di gioco — fino a lì piuttosto conservativa, per quanto vincente — per allinearsi alle tendenze europee, che premiamo maggiormente squadre dal gioco più propositivo e orientato all’attacco.
La scelta della Juventus era stata coraggiosa e per nulla scontata, perché intrapresa con il rischio evidente di perdere la posizione dominante avuta fino ad allora in campionato e guadagnata con i successi delle stagioni precedenti. L’identità di gioco è una cosa radicata nelle tradizioni di ogni grande squadra: i maggiori successi della Juventus, per esempio, sono stati ottenuti da squadre più concrete che spettacolari, costruite su difese molto forti (spesso in gran parte italiane) e con giocatori potenti e di classe, meno individualisti e più a disposizione della squadra.
Il processo intrapreso due stagioni fa è stato però ostacolato da quelle che si sono rivelate delle scelte sbagliate, o perlomeno non coerenti. L’allenatore individuato per iniziare il nuovo progetto fu Maurizio Sarri, che al Napoli aveva rischiato di vincere il campionato con una delle squadre più belle viste negli ultimi anni, e al Chelsea era riuscito a vincere l’Europa League in un contesto piuttosto complicato. Sarri vinse lo Scudetto ma la sua Juventus non sembrò mai ingranare davvero e non suscitò mai grandi entusiasmi, con un gioco nemmeno vicino a quello che si era visto a Napoli. A causa dell’eliminazione agli ottavi di Champions League, e probabilmente per la scarsa sintonia con l’ambiente, fu esonerato al termine della sua prima stagione.
La scorsa estate, in un calcio stravolto dagli effetti dalla pandemia, tra ristrettezze economiche e poche opportunità sul mercato, la Juventus aveva ritenuto opportuno in quel momento dare l’incarico ad Andrea Pirlo, suo ex giocatore senza nessuna esperienza da allenatore, ma entusiasta nel seguire il progetto avviato l’anno prima. Anche a causa del poco tempo per preparare la stagione e per allenarsi tra i tanti impegni previsti tra campionato e coppe, la Juventus di Pirlo ha alternato brevi momenti convincenti, anche dal punto di vista del gioco, a lunghi periodi opachi e in cui si erano visti gli stessi problemi delle ultime stagioni: poche idee in attacco, poca qualità a centrocampo e scarsa alchimia tra i giocatori.
A otto mesi dall’ingaggio di Pirlo la Juventus, oltre ad essere stata eliminata ancora una volta agli ottavi di Champions League da un avversario ampiamente alla portata, ha undici punti in meno in campionato rispetto a quelli che aveva con Sarri allo stesso punto della passata stagione. Allora era prima, oggi è terza. Dopo l’ultima eliminazione, Pirlo ha detto di essere solo all’inizio del progetto pluriennale per il quale è stato assunto e di sentirsi sereno nel suo lavoro: la società dovrebbe quindi continuare a seguire il percorso che si è prefissata cercando di dare una sistemata alla composizione della squadra, l’altro aspetto che sta facendo più dubitare.
Le critiche a Cristiano Ronaldo, il cui acquisto tre anni fa scombussolò il calcio italiano, non più abituato ad accogliere giocatori della sua importanza, sono aumentate sensibilmente dopo le prestazioni anonime contro il Porto, sia all’andata che al ritorno. La Juventus, infatti, puntava espressamente su di lui per il passaggio del turno, e per l’occasione lo aveva fatto riposare in campionato: ma martedì sera è stato probabilmente il peggiore in campo, poco incisivo in attacco e con alcune responsabilità nel posizionamento in barriera sul gol decisivo subito ai supplementari.
A prescindere dall’andamento di un paio di partite — per quanto importanti — le domande sulla sua presenza in squadra si portano avanti da tempo: il suo acquisto fu un’opportunità che la Juventus colse al volo, dal ritorno commerciale garantito ma forse in contrasto con gli equilibri della squadra.
Finora Ronaldo ha alternato periodi nella media degli ottimi giocatori ad altri di forma e prestazioni fondamentali e impressionanti, ma non è mai arrivato ai livelli straordinari degli anni al Real Madrid, che molti si aspettavano di vedere anche a Torino. In Serie A segna con continuità ma in Champions League, da quando c’è lui, la Juventus ha passato soltanto un turno a eliminazione diretta, decisamente peggio di quanto fatto nelle stagioni precedenti. In quell’unica occasione, a dirla tutta, Ronaldo fu però fondamentale segnando i tre gol della difficile rimonta contro l’Atletico Madrid.
Ma nonostante sia stato di gran lunga l’attaccante più prolifico della Juventus di questi ultimi anni, la sua presenza si è rivelata ingombrante sotto molti punti di vista e sul lungo periodo ha rivelato evidenti problemi di coabitazione con i suoi compagni di reparto. Il suo arrivo è coinciso per esempio con le maggiori difficoltà di Paulo Dybala — in precedenza fondamentale e tra i giocatori più rappresentativi — le cui caratteristiche da attaccante in perenne movimento sono entrate in contrasto con le esigenze di Ronaldo, più a suo agio con un compagno che faccia da punto di riferimento. Né Gonzalo Higuain nella scorsa stagione né Alvaro Morata in quella in corso sono sembrati in grado di dividersi al meglio gli spazi e le responsabilità con Ronaldo.
Oltre agli equilibri dell’attacco, gli annosi problemi della consistenza del centrocampo non sembra siano stati risolti, anzi. Nella prima finale di Champions League persa sotto la gestione di Massimiliano Allegri, ormai sei anni fa, la Juventus si presentò con un centrocampo formato da Pirlo, Pogba, Marchisio e Vidal. Da allora il reparto è andato progressivamente peggiorando nella qualità, raggiungendo probabilmente il livello più basso la scorsa stagione: ma anche quest’anno, nonostante gli arrivi di Arthur e McKennie e nonostante i miglioramenti di Rabiot e Ramsey, è stato a detta di tutti il vero punto debole della squadra.
A vederla ora nel suo complesso, la rosa della Juventus sembra essere stata costruita più guardando ai singoli giocatori, e alle loro potenzialità, che alla loro coesistenza. Oltre al caso di Dybala, altri giocatori come Bernardeschi (nel pieno della carriera) e Kulusesvki (tra i giovani più promettenti in circolazione) non sembrano avere ancora un ruolo definito nella formazione, nonostante le loro qualità. Federico Chiesa, pagato caro dalla Fiorentina tra alcune lamentele e diffidenze, si è dimostrato un po’ a sorpresa il giocatori più incisivo negli ultimi mesi, ma nonostante il grande contributo in partite determinanti non ha probabilmente ancora l’età e l’esperienza per farsi carico di una squadra come la Juventus.
Spesso i giocatori della Juventus sono stati quindi schierati fuori ruolo per esigenze tattiche, e questo ha condizionato sia loro che la solidità della squadra, che né con Sarri né con Pirlo ha mai dato l’impressione di giocare con l’armonia e la sicurezza propria di quelle squadre europee considerate d’ispirazione per tanti altri club, e che avevano probabilmente ispirato la scommessa fatta dalla dirigenza due anni fa.