• Venerdì 5 marzo 2021

I “finti stupri” raccontati nelle fiction Rai

Tre diverse fiction hanno raccontato storie di violenze non avvenute: secondo i critici, è una rappresentazione molto parziale della realtà

Fermo immagine del trailer di Le indagini di Lolita Lobosco (YouTube)
Fermo immagine del trailer di Le indagini di Lolita Lobosco (YouTube)

Nell’ultima settimana la Rai è stata molto criticata per come ha raccontato la violenza sessuale in tre diverse fiction, che a distanza di pochi giorni l’una dall’altra hanno mostrato delle storie di finti stupri, inventati cioè dalle presunte vittime che li avevano denunciati. Il tempismo con cui sono state trasmesse le fiction ha provocato le segnalazioni e le proteste di attiviste e associazioni, che hanno accusato la Rai di scarsa attenzione e sensibilità nella rappresentazione delle violenze sessuali, che in Italia sono già poco denunciate.

In una puntata della fiction Mina Settembre andata in onda il 7 febbraio e in un episodio di Che Dio ci aiuti 6 del 25 febbraio, entrambi trasmessi su Rai 1, si parlava di due donne che avevano denunciato uno stupro che non era veramente accaduto. Viene raccontata una storia simile anche nella miniserie Le indagini di Lolita Lobosco, tratta dagli omonimi romanzi di Gabriella Genisi e in onda sempre su Rai 1. La prima puntata, trasmessa il 21 febbraio, parla sia di un “finto stupro” sia di femminicidio: la giovane donna che aveva denunciato la violenza, infatti, viene poi uccisa dal fidanzato che aveva tradito. Tra i primi ad accusare la Rai di inadeguatezza nella rappresentazione delle violenze sessuali c’è stato Æstetica Sovietica, un sito che si occupa di questioni di genere.

Sull’«imbarazzante susseguirsi nelle fiction del servizio pubblico di episodi di falsi stupri» è intervenuto anche Michele Anzaldi, deputato di Italia Viva e segretario della Commissione di vigilanza della Rai. In un articolo sull’Huffington Post, Anzaldi ha scritto che la Rai «non soltanto dovrebbe vigilare col doppio dell’attenzione», ma dovrebbe anche «farsi promotrice di un’ampia programmazione nei talk show, nell’informazione, nella fiction e rivolgersi a tutte le età affrontando il dramma delle violenze sulle donne».

Le linee guida editoriali per le fiction Rai dicono che l’offerta «dovrà contribuire al superamento degli stereotipi culturali attraverso una rappresentazione veritiera della società civile, orientata al recupero di identità valoriali e rispettosa delle diverse sensibilità». Sempre secondo le linee guida, il servizio pubblico «deve rivolgersi alla complessità del Paese, deve porsi il compito di rappresentarla […] negli aspetti problematici, controversi e provocatori» attraverso tematiche «attuali, vere, vitali e significative per l’esperienza del vissuto del telespettatore, raccontando l’identità e le trasformazioni del nostro Paese».

Non è successo con la rappresentazione dei finti stupri, secondo Nadia Somma, consigliera dell’Associazione D.i.Re (Donne in Rete contro la violenza), che riunisce più di 80 centri antiviolenza non istituzionali. Secondo Somma «sarebbe il caso che la Rai facesse anche buone narrazioni», altrimenti in questo modo il servizio pubblico contribuisce ad alimentare la «diffidenza» dello spettatore nei confronti del riconoscimento e della denuncia delle violenze sessuali.

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Spesso in Italia la violenza sessuale viene minimizzata o giustificata. Secondo un’indagine Istat pubblicata nel 2019, persistono alcuni pregiudizi relativi alle donne che subiscono uno stupro. Per dare l’idea, quasi il 24 per cento delle persone intervistate ha detto di credere che le donne provochino la violenza col loro modo di vestire e il 15,1 per cento sostiene che le donne che subiscono uno stupro sotto l’effetto di alcol o droghe ne siano almeno in parte responsabili. Il 10,3 per cento degli intervistati, inoltre, ritiene che spesso le accuse di abusi sessuali siano false.

Nel caso per esempio della storia raccontata in Le indagini di Lolita Lobosco, una donna denuncia uno stupro per approfittarsi dell’amante, un dentista con cui Lobosco, vicequestore, aveva peraltro avuto una storia d’amore. La protagonista della serie è convinta dell’innocenza dell’uomo che è stato accusato di stupro, e infine scopre che la violenza non era realmente accaduta. La donna che si era inventata lo stupro viene poi uccisa dal fidanzato, che aveva scoperto che lei lo tradiva. Il delitto in caso di disonore è un’altra forma di violenza sulle donne che spesso viene giustificata: secondo Somma, «il messaggio che arriva è che la vittima di femminicidio non è mai innocente».

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Anzaldi ha attribuito alla «deresponsabilizzazione dei dirigenti» e al «mancato controllo su quello che va in onda» un peggioramento della qualità della programmazione del servizio pubblico. Allo stesso tempo, ha rivolto un invito alle donne del Consiglio di amministrazione della Rai affinché chiedano spiegazioni e chiarimenti all’amministratore delegato Fabrizio Salini. Al momento la Rai non ha fatto alcuna dichiarazione ufficiale al riguardo.

In Italia c’è ancora una scarsa abitudine a denunciare le violenze sessuali subite. Secondo i dati Istat, il 21 per cento delle donne tra i 16 e i 70 anni, cioè 4 milioni e 520mila persone, ha subito una qualche forma di violenza sessuale; di queste, 1 milione e 517mila hanno subito violenze nelle forme più gravi, ovvero stupro o tentato stupro. È stato stimato che però soltanto una minima parte di queste persone denunci le violenze subite, tra il 6 e il 12 per cento.

Sempre secondo i dati Istat, elaborati in base ai numeri forniti dal ministero dell’Interno, alle già poche denunce sporte segue una condanna in meno di un terzo dei casi: nel 2018 le condanne per violenza sessuale erano state 1.870, di cui 75 riguardavano casi di violenza sessuale di gruppo, reati in aumento rispetto agli anni precedenti. Somma ha spiegato che in molti casi gli stessi giudici nutrono pregiudizi, come nel caso della Corte di Appello di Ancona, che nel 2017 aveva assolto due giovani dall’accusa di violenza sessuale su una ragazza perché lo stupro non era stato ritenuto credibile per via del suo aspetto fisico.

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Tra il marzo e l’ottobre del 2020 le chiamate al numero di pubblica emergenza 1522 per le segnalazioni di violenza sono aumentate del 107 per cento rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente e le richieste di aiuto via chat sono triplicate (da 829 a 3.347). E in Italia dall’inizio del 2021 ci sono già stati 12 femminicidi, uno ogni cinque-sei giorni.

L’Associazione D.i.Re ha detto che a marzo e aprile del 2020 c’era stata più attenzione politica al tema della violenza sulle donne per via del particolare contesto della pandemia da coronavirus. In quel momento, l’associazione e altri centri antiviolenza avevano instaurato un dialogo proficuo col ministero delle Pari opportunità per affrontare l’assistenza alle donne che avevano subito abusi durante il lockdown. Dopo il periodo di emergenza, però, secondo Somma l’attenzione è andata scemando.

Malgrado la consapevolezza e le segnalazioni negli ultimi anni siano aumentate, anche le istituzioni dicono che c’è ancora molto da fare. L’Unione Europea ha messo in atto iniziative e progetti per imparare a riconoscere e combattere la violenza contro le donne e a incoraggiare chi subisce uno stupro a segnalare gli abusi subiti, sia in Italia che in altri paesi. Anche il Gruppo di esperti sulle Azioni sulla violenza domestica contro le donne e la violenza domestica (GREVIO) del Consiglio d’Europa – un’istituzione che non ha a che fare con l’Unione Europea e si occupa di democrazia e diritti umani – ha raccomandato all’Italia di rafforzare le misure per prevenire e combattere la violenza sulle donne, in particolare quelle più esposte a discriminazione, per esempio quelle che appartengono a minoranze etniche.

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Dove chiedere aiuto
Se sei in una situazione di emergenza, chiama il numero 112. Se tu o una persona che conosci ha subito abusi puoi chiamare il numero anti-violenza e stalking 1522 oppure rivolgiti al centro antiviolenza più vicino.