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  • Lunedì 15 febbraio 2021

L’ex ILVA è uno dei primi problemi del governo

Lo stabilimento di Taranto richiede subito alcune decisioni per via di un ritardo burocratico, una sentenza del Tar e la situazione dei debiti

Taranto (Manuel Dorati/ZUMA Wire)
Taranto (Manuel Dorati/ZUMA Wire)

Tra le prime grandi questioni che dovrà affrontare il nuovo governo presieduto da Mario Draghi c’è anche quello dell’ex acciaieria ILVA di Taranto, la cui situazione è notoriamente assai complessa, ma che è ulteriormente complicata da alcuni elementi contingenti: a causa della crisi di governo ci sono ritardi sull’ingresso dello stato nel capitale della nuova azienda, si sono accumulati milioni di euro non pagati ai fornitori e in ultimo c’è una recente sentenza del tribunale amministrativo della Puglia sulla necessità dello spegnimento dell’area a caldo dell’acciaieria.

Il dubbio che ha messo in pausa l’accordo Invitalia-ArcelorMittal
Lo scorso dicembre, dopo una lunga trattativa durata alcuni mesi, Invitalia, agenzia controllata interamente dal ministero dell’Economia, aveva firmato un accordo per acquisire il ramo della multinazionale siderurgica ArcelorMittal che gestisce gli stabilimenti dell’ex ILVA. Era stato stabilito che Invitalia avrebbe investito in AM InvestCo, cioè il ramo in questione, in due tranche.

Il primo investimento da 400 milioni di euro doveva essere effettuato «entro il 31 gennaio 2021» e avrebbe dato «a Invitalia il controllo congiunto su AM InvestCo». Il secondo investimento da 680 milioni di euro era previsto entro maggio del 2022.

Con la conclusione delle due fasi, secondo il piano, la partecipazione di Invitalia in AM InvestCo raggiungerà il 60 per cento. ArcelorMittal investirà a sua volta fino a 70 milioni di euro per mantenere una partecipazione del 40 per cento e il controllo congiunto della società. A quel punto, comunque, Invitalia diventerà azionista di maggioranza e lo Stato tornerà a gestire l’ex ILVA, dopo esserne uscito nel 1995 con la vendita al gruppo privato Riva.

Qualche settimana fa, l’operazione tra ArcelorMittal Italia e Invitalia aveva ottenuto il parere positivo dell’Unione Europea. Ma a causa della crisi politica e di governo, il completamento del processo ha subito un rallentamento.

Il decreto del ministero dell’Economia e delle Finanze con i 400 milioni di euro di capitale per Invitalia è pronto, ha spiegato Il Sole 24 Ore: ha ricevuto la bollinatura della Ragioneria generale dello Stato e da giorni attendeva la firma di Roberto Gualtieri, ministro dell’Economia del governo Conte. Nel frattempo, però, è stato chiesto un parere alla Avvocatura dello Stato «per comprendere se questa misura sia o no un affare corrente, dato che il governo Conte bis era in carica soltanto per l’ordinaria amministrazione».

La questione non è semplice e non è ancora chiaro come e se sarà risolta: lo stanziamento per Invitalia, può essere considerato un semplice affare corrente? «Potrebbe esserlo visto che rappresenta un tassello di un mosaico delineato negli ultimi mesi. Ma potrebbe anche non esserlo dato che modifica in misura drastica i rapporti fra economia pubblica e privata», spiega il Sole 24 Ore.

L’indotto 
Le aziende fornitrici dell’ex ILVA hanno denunciato che ArcelorMittal ha interrotto i pagamenti delle fatture. Il debito accumulato sarebbe pari ad almeno 25 milioni di euro. Ma potrebbe essere anche maggiore, poiché diverse imprese hanno iniziato a rivolgersi (senza ottenere per ora quanto chiesto) direttamente a AM InvestCo ma anche a Invitalia, che almeno sulla carta dovrebbe rilevare parte di AM InvestCo.

La decisione del Tar sullo spegnimento dell’area a caldo
A tutto questo si aggiunge una decisione del tribunale amministrativo della Puglia, che proprio nel giorno dell’insediamento del governo Draghi ha stabilito che entro 60 giorni l’area a caldo dell’acciaieria andrà spenta, perché continua ad inquinare. Al Tar si era arrivati dopo un’ordinanza del sindaco di Taranto, Rinaldo Melucci, sulle emissioni inquinanti: Melucci, col suo provvedimento, aveva disposto che ArcelorMittal Italia e ILVA in amministrazione straordinaria (cioè gestore e proprietario dell’acciaieria) dovessero individuare le fonti inquinanti e rimuoverle. Il provvedimento era stato impugnato, ma il Tar ha sostanzialmente confermato le ragioni alla base dell’ordinanza.

I tempi dello spegnimento potrebbero anche essere inferiori: gli impianti dell’area a caldo, il motore produttivo dello stabilimento che include gli altoforni, sono sotto sequestro penale dal luglio 2012, ma con una facoltà d’uso, stabilita sulla base di un programma di interventi di risanamento ambientale per ridurre gli effetti inquinanti e l’impatto sul territorio. Programma che, secondo i giudici del Tar, è saltato. «La facoltà d’uso decisa dal tribunale potrebbe essere messa in discussione e così i tempi sullo spegnimento potrebbero accorciarsi», scrive Repubblica. ArcelorMittal ha comunque annunciato che ora impugnerà l’ordinanza davanti al Consiglio di Stato.

Per il sindaco di Taranto, Rinaldo Melucci, «non ci sono alternative allo spegnimento dell’area a caldo» visto che i dati documentano «come l’acciaieria, così, sia insostenibile». Poi ci sono i sindacati secondo i quali allo spegnimento dell’area a caldo corrisponderà una chiusura dell’ILVA: è una procedura complessa e delicata, e soprattutto se la pausa supera le due settimane può creare danni e problemi permanenti. Giuseppe Romano, della Fiom ha detto: «Ottomila e 200 dipendenti diretti di ArcelorMittal, di cui tremila in cassa integrazione. Mille e 600 in cassa da due anni che fanno capo all’amministrazione straordinaria. Più i 3-4mila operai dell’indotto». Si tratta di 13 mila persone, soltanto a Taranto, a cui non è chiaro che cosa succederà.

Nel frattempo, i sindacati hanno proclamato per il 24 febbraio uno sciopero di 24 ore perché la trattativa sul nuovo piano industriale si è bloccata, mentre i lavoratori dell’ILVA in amministrazione straordinaria (1.600 persone che un primo accordo prevedeva di ricollocare e che quello di dicembre 2020 non tiene più presenti) hanno indetto la protesta per il 17 febbraio.

Il punto è capire che cosa vorranno fare ora il nuovo ministro dell’Economia, Daniele Franco, e il nuovo ministro dello Sviluppo economico, Giancarlo Giorgetti, per risolvere la complessità della situazione. Va tenuto anche conto dei fondi del Recovery Plan che potranno essere utilizzati per la decarbonizzazione dell’impianto, ma, a quanto scrivono i giornali, c’è un grosso problema di tempi che potrebbero non essere sufficienti.