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Il binocolo di un birdwatcher durante una conta partecipativa degli uccelli nel parco delle Everglades, in Florida (Joe Raedle/Getty Images)

È stato un grande anno per la scienza partecipata

La pandemia ha complicato le ricerche sul campo, ma il lavoro degli appassionati ha permesso di portare avanti le raccolte dati

Nell’ultimo anno alcune categorie di scienziati hanno avuto molta più attenzione mediatica del solito per via della pandemia da coronavirus e dell’importanza delle ricerche che la riguardano. Per moltissimi ricercatori però la pandemia è stata un grosso impedimento per la prosecuzione dei propri studi, perché le restrizioni agli spostamenti e le regole sul distanziamento fisico hanno reso più difficile, o impossibile, la ricerca sul campo. Per questo nel 2020 è aumentata l’importanza della scienza partecipata, anche nota con l’espressione inglese citizen science: quella delle ricerche basate sulla collaborazione di tantissime persone diverse, che non fanno gli scienziati per lavoro ma che, senza ricevere nulla in cambio, partecipano a raccolte dati.

Sono ad esempio appassionati di animali selvatici che fotografano gli uccelli che avvistano in parchi e città, e poi condividono le immagini (o le registrazioni dei loro canti), con tanto di localizzazione, su apposite piattaforme. Oppure sono ex bambini che sognavano di diventare archeologi e hanno deciso di dedicare un po’ del loro tempo libero a cercare tracce di antiche civiltà osservando fotografie satellitari, come si può fare sul sito GlobalXplorer. Se da un lato la pandemia ha reso più complicate le attività sul campo per i ricercatori, ha anche dato più tempo libero a molte persone volenterose: così i progetti di scienza partecipata sono molto cresciuti, spiega un articolo pubblicato sul sito The Conversation. Alcuni non avevano mai avuto tanti partecipanti come nell’ultimo anno.

Anche in condizioni normali, quando gli scienziati possono spostarsi e raccogliere dati senza particolari problemi, le iniziative di scienza partecipata possono essere molto utili. Lo sono ad esempio per lo studio di fenomeni molto complessi da osservare per poche persone: un gruppo di cinque ricercatori può raccogliere dati sulla fauna selvatica che vive in una città affidandosi ad alcune telecamere, ma può ottenere molte più informazioni se un centinaio di cittadini si presta a condividere le proprie osservazioni per alcuni mesi. Molti studi che richiedono un gran numero di dati, raccolti per un lungo periodo, si prestano a questo tipo di collaborazione. Ma anche quelli in cui bisogna analizzare migliaia di immagini satellitari o spaziali: ci sono progetti di scienza partecipata che in questo modo hanno aiutato a scoprire degli esopianeti, cioè pianeti che si trovano in altri sistemi stellari.

Alcuni progetti di scienza partecipata prevedono che i volontari che si mettono a disposizione ricevano dei brevi addestramenti: nel caso di GlobalXplorer, si tratta di un video tutorial per imparare a riconoscere quei segni che suggeriscono la presenza di rovine sepolte. In altri casi basta un po’ di tempo libero, la voglia di partecipare a una ricerca scientifica e uno smartphone. Si può partecipare a molti progetti di citizen science che riguardano piante e animali semplicemente scaricando la app iNaturalist: permette di sapere (quasi sempre con una buona approssimazione) di che specie sia una pianta o un animale che si è fotografato grazie a un’intelligenza artificiale e a una comunità di appassionati, ed è usata da molte università per organizzare raccolte dati grazie agli utenti.

Ad esempio, tra marzo e maggio del 2020, il Museo civico di storia naturale di Ferrara aveva organizzato la raccolta di avvistamenti di animali “Natura alla finestra!”, per studiare quali animali fossero visibili dalle case durante il lockdown.

Altri progetti italiani di scienza partecipata avviati la scorsa primavera sono quelli di “Scienza sul balcone”, ideati da Alessandro Farini, ricercatore dell’Istituto nazionale di ottica del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR-INO), e dall’astrofisico e divulgatore scientifico Luca Perri. Il primo era dedicato all’inquinamento luminoso nelle città italiane, il secondo all’inquinamento acustico: richiedono di usare il proprio smartphone per misurare la luce nel cielo notturno e i rumori cittadini.

Negli Stati Uniti nell’ultimo anno molte persone hanno cominciato a usare eButterfly, un programma per segnalare avvistamenti di farfalle, e Nature’s Notebook, il cui scopo è osservare i cambiamenti stagionali nella vita di animali e piante. Gli scienziati hanno usato i dati raccolti attraverso questi progetti per confrontarli con quelli ottenuti grazie a dati satellitari: lo scopo era studiare come il cambiamento climatico potrebbe influenzare in futuro la diffusione di certe piante di cui le farfalle sono impollinatrici.

Ovviamente, spiega The Conversation, la scienza partecipata non vuole sostituire le modalità di ricerca tradizionali, ma è ad esse complementare. Si potrebbe avere qualche dubbio sull’accuratezza dei dati raccolti da persone che non lo fanno di mestiere, ma il fatto che i dati vengano raccolti in grande quantità aiuta a ridurre gli errori. Inoltre i moduli e le app per la raccolta dati sono studiati in modo da aiutare i volontari a non fare segnalazioni scorrette. Le app come iNaturalist ed eButterfly poi si affidano alla revisione della community degli utenti: quelli più esperti correggono gli errori dei principianti, un po’ come vengono corrette le voci di Wikipedia. Secondo uno studio del 2018, in media i partecipanti ai progetti di citizen science forniscono dati accurati il 75 per cento delle volte. La percentuale raggiunge il 90 per cento per i programmi basati su Nature’s Notebook ed eBird, una app per segnalare gli avvistamenti di uccelli.

Per chi partecipa ai progetti da amatore, la citizen science è un modo per passare il proprio tempo libero (in molti casi in mezzo alla natura), imparare qualcosa e avere la soddisfazione di stare collaborando al progresso scientifico. Questi progetti sono anche una forma di divulgazione, che permette a chi non si occupa di scienza di capire come funzionano le ricerche e avvicinarsi a temi molto spesso considerati ostici dai non specialisti. Nel caso dei progetti dedicati ad animali e piante, inoltre, partecipare a una raccolta dati è anche un modo per conoscere meglio il proprio territorio e apprezzarlo.

Di progetti di scienza partecipata ce ne sono tutto l’anno, ma i prossimi mesi sono i migliori per mettersi alla prova, se si è interessati alle ricerche su animali e piante: la primavera è la stagione migliore dell’anno per fare osservazioni naturalistiche. In alcune città italiane, come Napoli, Bari e Catania, si potrà partecipare ad esempio all’annuale City Nature Challenge, una raccolta dati sugli animali che vivono in città organizzata attraverso iNaturalist tra aprile e maggio.

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