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  • Lunedì 8 febbraio 2021

In Cina si è usato Clubhouse per aggirare la censura, finché è durata

Sul nuovo social network in cui si parla erano comparse molte discussioni sugli aspetti controversi del regime, che però sembra sia corso ai ripari

(Christoph Dernbach/ANSA/dpa)
(Christoph Dernbach/ANSA/dpa)

Negli ultimi giorni Clubhouse, il social network in cui si parla in diretta invece di scrivere brevi messaggi o condividere immagini, era diventato molto popolare tra gli utenti cinesi, che lo avevano utilizzato per discutere di temi controversi che su altri social network sarebbe stato impossibile trattare, a causa della censura del regime cinese. Lunedì pomeriggio, però, molti utenti hanno segnalato di non riuscire più ad accedere all’app, che probabilmente è stata bloccata dal governo cinese.

Pur non essendo disponibile sullo store per applicazioni cinese di Apple, come molte app di sviluppatori occidentali bloccate dal governo (come Facebook e Google), gli utenti cinesi hanno potuto scaricarla cambiando semplicemente il paese con cui accedevano all’App Store, usandola poi normalmente. Clubhouse inoltre non necessitava di una rete privata (VPN) per aggirare il Grande Firewall, il sistema che impedisce ai cittadini cinesi di accedere ai siti non approvati dal governo, a differenza di altri social network occidentali.

La popolarità degli ultimi giorni si deve al fatto che, a differenza di altri social network, su Clubhouse non restano tracce di ciò di cui si parla, dato che è una specie di forum, ma orale invece che scritto. Sull’app di Clubhouse, che è stata lanciata negli Stati Uniti lo scorso marzo ma che ha iniziato ad acquisire popolarità in tutto il mondo solo nelle ultime settimane – anche grazie all’iscrizione di diverse persone famose, come Elon Musk, il capo di Tesla e SpaceX – si parla infatti live, chiedendo di intervenire con una simbolica alzata di mano. Clubhouse è pensato per conversare di qualsiasi argomento non solo con chi si conosce, ma con chiunque, o anche solo per ascoltare altri che parlano di qualcosa.

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Molti utenti cinesi avevano quindi aperto “stanze” in cui parlare liberamente di temi controversi, come i rapporti della Cina con Taiwan, le proteste per la democrazia a Hong Kong, e la persecuzione degli uiguri, una minoranza musulmana che vive nella regione dello Xinjiang. Diversi giornalisti ed esperti di tecnologia avevano scoperto varie “stanze” in cui utenti cinesi parlavano di questi temi: il Guardian ha raccontato di come alcuni analisti avessero ascoltato conversazioni in cui si parlava in maniera «straordinariamente sincera» dei campi di detenzione degli uiguri, la cui esistenza è sempre stata smentita dal governo cinese e di cui di fatto è vietato parlare nel paese.

Nell’ultima settimana Clubhouse era diventato uno dei temi più discussi su Weibo, il social network più popolare in Cina, e un hashtag per chiedere il codice di invito all’app – a cui appunto ci si può iscrivere solo se invitati da qualcun altro – era entrato nella classifica di quelli di maggior tendenza. Reuters aveva scritto inoltre che sui siti di e-commerce cinesi erano comparsi diversi annunci in cui si vendevano inviti all’app con prezzi che andavano dai 50 ai 400 yuan (dai 6 ai 50 euro, circa).

La giornalista americana di origine cinese Melissa Chan aveva scritto su Twitter che inizialmente tutte queste discussioni di utenti cinesi l’avevano fatta sentire come se d’improvviso avesse potuto fare «un’abbuffata di libertà d’espressione».

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Presto però sull’app erano arrivati anche i nazionalisti cinesi che invece difendevano il regime: in una “stanza” con più di 4mila partecipanti che aveva come titolo “Esistono i campi di concentramento nello Xinjiang?” alcuni cinesi di etnia han (il principale gruppo etnico cinese) avevano negato la repressione degli uiguri, mentre alcuni utenti uiguri (probabilmente collegati da paesi esteri) avevano cercato di rispondere, senza molto successo.

Se è vero che molti utenti cinesi hanno utilizzato Clubhouse in questi giorni, non è detto che provenissero tutti dalla Cina: è più probabile, scrive il giornalista James Griffiths, che fossero cinesi dissidenti che si trovano in altri paesi, che hanno cercato di creare canali in cui discutere di temi censurati in Cina, sperando di coinvolgere persone che vivono lì.

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Si è parlato molto anche di una questione che avrebbe potuto suscitare preoccupazioni negli utenti cinesi di Clubhouse: sembra infatti che il social utilizzi un pacchetto di software per le chiamate tramite internet sviluppato da un’azienda cinese, Agora. La notizia è stata fornita da alcune fonti a conoscenza dei fatti al South China Morning Post, ma né Clubhouse né Agora l’hanno confermata. Il timore di alcuni è che il governo cinese possa potuto chiedere ad Agora di conservare i dati degli utenti per questioni di sicurezza nazionale, come si sospetta faccia con diverse piattaforme internet.