I piani di Sony per l’animazione giapponese fuori dal Giappone

Ne ha parlato il Financial Times, partendo dal grande successo del film "Demon Slayer", ma guardando anche al futuro

Da ormai diverse settimane si parla del grande successo che stanno avendo, soprattutto in Giappone ma anche nel resto del mondo, le storie e i prodotti legati a Demon Slayer, il cui film è stato il più visto del 2020 in Giappone, e uno dei più visti al mondo, con quasi 300 milioni di euro di incassi. Ma ancor prima di essere un film Demon Slayer era stato un manga e un anime (cioè, semplificando un po’, un fumetto e una serie d’animazione) che parlano, a essere molto sintetici, di un ragazzo in lotta contro i demoni.

Come ha scritto il Financial Times, il successo del film – e più in generale di ogni prodotto culturale legato a quella storia – sta facendo pensare a molti esperti che «i tempi sono ormai maturi per far diventare l’animazione giapponese un fenomeno davvero globale». E che, se questo dovesse succedere, la cosa potrebbe fare molto bene alle casse di Sony, la multinazionale giapponese che tra le altre cose controlla la casa di produzione che ha prodotto Demon Slayer, e che potrebbe usare manga e anime per «competere con Netflix e gli altri giganti dello streaming».

Anzitutto, il Financial Times spiega che il successo di Demon Slayer (da qui in poi inteso come prodotto culturale e commerciale, non solo come il film) può essere paragonato a quello che in passato avevano avuto, e tuttora hanno, i Pokemon, i Power Rangers, Hello Kitty o Dragon Ball e che non è di certo la prima volta che «dal Giappone arrivano mode culturali da miliardi di dollari, capaci di sfruttare le proprietà intellettuali su quei prodotti su scala industriale». Ma che ci sono anche elementi che lo rendono diverso: per cominciare, è arrivato nel 2020, un anno di pandemia; e poi «alla base di Demon Slayer ci sono una serie di cambiamenti nella struttura, nella proprietà e nelle ambizioni dell’industria giapponese degli anime, che valgono 24 miliardi di dollari l’anno». Un’industria che, tra l’altro, in passato è stata più volte criticata per le condizioni di lavoro di molti suoi dipendenti.

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Una prima ragione per cui gli anime sembrano poter essere destinati al successo globale sta nel fatto che, per certi versi, già da tempo hanno anticipato certi fenomeni recenti. Primo su tutti quello che prevede che una serie, un libro o un film non siano solo una serie, un libro o un film, e nemmeno una trilogia o una saga di storie, bensì un complesso ecosistema narrativo e commerciale. Quello che fa sì che Disney faccia determinate serie per vendere più pupazzi, o che Netflix possa pensare – in futuro – di guadagnare soldi dal fatto che una sua serie possa far appassionare le persone agli scacchi o a un determinato capo d’abbigliamento. «Credo che il mondo si stia adattando ai modelli transmediali che il Giappone sfrutta da molto tempo», ha detto Rayna Denison, insegnante di media culture e autrice di Anime: A Critical Introduction.

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Poi, come detto, ci sono ragioni strutturali, legate al fatto che, come ha scritto il Financial Times, «le case di produzione degli anime e le case editrici dei manga stanno razionalizzando le dinamiche produttive e gestionali». L’idea è che, in breve, anche quando si parla di anime e manga la cosa migliore da fare sia di creare, sviluppare e controllare storie e contenuti, a prescindere dal modo e dal luogo in cui si sceglie poi di farli arrivare al pubblico. E di controllare totalmente quelle storie, così da poter beneficiare della vendita di pupazzi, vestiti, figurine o qualsiasi altra cosa che con quel contenuto potrebbe avere a che fare.

E visto che la richiesta di anime fuori dal Giappone è in crescita, sarà importante anche controllare la distribuzione estera dei contenuti: facendo accordi con Netflix, Amazon o Disney, oppure controllando direttamente piattaforme di streaming globali. Da questo punto di vista, Sony sembra essersi mossa molto bene perché oltre a possedere Aniplex – una delle società dietro al successo di Demon Slayer – a fine 2020 comprò, pagandolo più di un miliardo di dollari, Crunchyroll, uno dei più popolari siti di anime al mondo. E ancora prima, Sony aveva comprato il 95 per cento di Funimation Productions (azienda statunitense che distribuisce serie animate giapponesi) e aveva speso 400 milioni di dollari per prendersi Bilibili, una piattaforma giapponese per la condivisione di video.

Il Financial Times ha spiegato che grazie a Crunchyroll e alle sue altre acquisizioni degli ultimi anni, Sony – che evidentemente già sa il fatto suo quando si parla di musica, film o videogiochi – punta a competere con i «giganti dello streaming», ma che, sapendo di non poterlo fare in termini assoluti, «ha deciso deliberatamente di puntare tutto sugli anime» e quindi sui loro fan, tendenzialmente molto affezionati.

Fan affezionati che, come ha spiegato al Financial Times un dirigente “vicino a Sony” che ha preferito restare anonimo, «non si accontentano dei contenuti, e vogliono servizi aggiuntivi legati al merchandise e alle possibilità di comunicare con gli altri appassionati». Una cosa che «servizi generalisti e all-you-can-eat come Netflix e Amazon Prime Video faticano a offrire».

Inoltre, a differenza di Netflix o Amazon Prime Video, Sony sarebbe anche già pronta per accompagnare il successo di certi contenuti con le canzoni e con i videogiochi, due cose di cui si occupa con successo da diversi anni.

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Ci sono però anche dei dubbi sul fatto che Sony possa davvero sfruttare a suo vantaggio un’eventuale crescita globale degli anime. E ruotano in gran parte intorno al fatto che sebbene Sony sembri essersi mossa bene, forse si è mossa troppo tardi: «Il grande interesse dell’azienda verso l’animazione giapponese sarebbe stato visionario se fosse arrivato dieci anni fa», ha detto l’analista Damian Thong. Ora Sony – che tra l’altro sta provando a riorganizzare e razionalizzare le sue varie attività – deve fare invece i conti con il fatto che realtà come Netflix hanno accumulato risorse, competenze e abbonati che giusto qualche anno fa sarebbero stati impensabili. «Mentre Sony mette casa in ordine», ha scritto il Financial Times, «Amazon e Netflix hanno già messo piede in Giappone», mettendo gli occhi anche su manga e anime.

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