E ora cosa succede con la crisi?

La crisi di governo è stata formalmente aperta: quali sono i passaggi per arrivare alla formazione di un nuovo esecutivo? Che cos'è il mandato esplorativo? Una piccola guida

Sergio Mattarella, Roma, 28 settembre 2020
(MAURIZIO BRAMBATTI/ANSA)
Sergio Mattarella, Roma, 28 settembre 2020 (MAURIZIO BRAMBATTI/ANSA)

Martedì in Italia si è aperta la crisi di governo: il presidente del Consiglio Giuseppe Conte si è dimesso durante un colloquio con il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. L’annuncio era stato anticipato ieri, e si deve alle ulteriori difficoltà incontrate dal governo per trovare una solida maggioranza in Parlamento dopo l’uscita di Italia Viva e al rischio di non avere, giovedì al Senato, i voti necessari per l’approvazione della relazione annuale sulla giustizia.

Se Conte avesse presentato le proprie dimissioni come conseguenza di un voto negativo al Senato avrebbe avuto poche possibilità di ottenere il reincarico da Mattarella per formare un nuovo governo, cosa che invece spera, così come lo sperano i partiti che lo sostengono. Con le dimissioni, e fino al giuramento di un nuovo esecutivo, il governo uscente rimane in carica per lo svolgimento degli “affari correnti”. Ma qual è la prassi e quali i passaggi formali d’ora in avanti per risolvere la crisi?

Crisi di governo
È la situazione nella quale un governo presenta le proprie dimissioni a causa della rottura del rapporto di fiducia con il Parlamento. La formalizzazione della crisi può arrivare attraverso un passaggio parlamentare, cioè un voto di sfiducia del Parlamento, oppure il presidente del Consiglio può presentare direttamente le proprie dimissioni al presidente della Repubblica.

Le crisi possono essere parlamentari o extraparlamentari. Le crisi parlamentari si verificano quando viene meno la maggioranza, quando cioè, voti alla mano, si certifica che il governo non ha più la maggioranza alle Camere: il governo può subire un voto di sfiducia (regolato dall’art. 94 “La mozione di sfiducia deve essere firmata da almeno un decimo dei componenti della Camera e non può essere messa in discussione prima di tre giorni dalla sua presentazione.”) o andare in minoranza dopo aver posto la fiducia su un provvedimento o sul proprio operato. Come spiega Pagella Politica, «nella storia della Repubblica italiana, un solo presidente del Consiglio, Romano Prodi, si è dimesso (due volte, nel 1998 e nel 2008) dopo aver perso un voto di fiducia in Parlamento». Parlamentarizzare la crisi significa dunque ufficializzarla in parlamento.

Le crisi extraparlamentari, invece, non iniziano in seguito a un voto di sfiducia del Parlamento, ma vengono formalizzate con le dimissioni spontanee del presidente del Consiglio. Così fece Matteo Renzi nel dicembre del 2016 dopo la sconfitta al referendum costituzionale, e così fece prima di lui, nel 2012, Mario Monti quando il Popolo della libertà di Silvio Berlusconi tolse l’appoggio al suo governo. Così ha deciso di fare anche Giuseppe Conte.

Prima di accettare le dimissioni del presidente del Consiglio, il presidente della Repubblica potrebbe chiedere il “rinvio alle camere”: potrebbe cioè parlamentarizzare la crisi, rinviando il governo alle Camere per la verifica, attraverso un voto di fiducia, della sussistenza o meno di una maggioranza.

Crisi al buio e crisi pilotata
La prima avviene quando il presidente del Consiglio si dimette senza che sia stato raggiunto un accordo per la formazione di una nuova maggioranza in suo sostegno. La seconda si presenta quando invece il presidente del Consiglio presenta le dimissioni a seguito di un accordo politico raggiunto all’interno della maggioranza che già c’era o con una maggioranza alternativa.

Formazione di un governo
L’iter della formazione di un nuovo governo è disciplinato dall’articolo 92 della Costituzione e, nella prassi, ci si arriva attraverso un processo articolato che prevede diverse fasi: le consultazioni, l’incarico, la nomina, il giuramento e infine la fiducia, come stabilito dagli articoli 93 e 94 della Costituzione.

Consultazioni
Fanno parte delle “consuetudini costituzionali”: il presidente della Repubblica non è cioè condizionato da alcun articolo della Costituzione ad aprirle. Sul sito del governo si spiega che «L’ordine delle consultazioni non è disciplinato se non dal mero galateo costituzionale ed è stato soggetto a variazioni nel corso degli anni. (…) A titolo esemplificativo può dirsi che l’elenco attuale delle personalità che il Presidente della Repubblica consulta comprende: i Presidenti delle camere; gli ex Presidenti della Repubblica, le delegazioni politiche».

Una volta formalizzata la crisi di governo, il presidente della Repubblica apre dunque per prassi le consultazioni, cioè quella fase di incontri e colloqui con leader politici e istituzionali che ha l’obiettivo di capire se il Parlamento sia ancora in grado di esprimere una maggioranza oppure no. Al termine delle consultazioni il presidente decide se e a chi assegnare l’incarico per la formazione di un nuovo governo.

Mandato esplorativo
Anche se non è previsto dalla Costituzione, l’assegnazione di un incarico per la formazione di un nuovo governo può essere preceduta dal mandato esplorativo, che si rende necessario quando le consultazioni non abbiano dato indicazioni significative.

Di solito, per il mandato esplorativo viene incaricata una figura istituzionale importante, come ad esempio il presidente della Camera o il presidente del Senato. Ma potrebbe essere affidato anche al presidente del Consiglio uscente. Il compito di chi lo riceve è quello di verificare attraverso una serie di incontri informali se esista la possibilità di formare una nuova maggioranza. Di fatto, si tratta di una prosecuzione delle consultazioni fuori dal Quirinale, ma per conto del presidente della Repubblica. Nel 2018, Mattarella conferì l’incarico ai presidenti di Camera e Senato.

Sciogliere le camere
Se durante le consultazioni dovesse emergere che non esiste un’altra maggioranza possibile in questo Parlamento, il presidente della Repubblica scioglierà le camere: il primo passo verso le elezioni politiche.

L’incarico
Se durante le consultazioni dovesse risultare che c’è una maggioranza parlamentare possibile (anche con nuove alleanze) e che c’è una persona in grado di avere la fiducia di quella maggioranza per formare un governo, allora il presidente della Repubblica darebbe a quella persona l’incarico di formare un governo. L’incaricato, che di solito accetta con riserva, fa a sua volta un giro di consultazioni e torna dal presidente della Repubblica per sciogliere, positivamente o negativamente, la riserva. Subito dopo lo scioglimento della riserva si arriva alla firma dei decreti di nomina del capo dell’esecutivo e dei ministri. Seguono giuramento e fiducia.

Sul sito del governo si spiega che «l’incarico è conferito in forma esclusivamente orale, al termine di un colloquio tra il presidente della Repubblica e la personalità prescelta» e che «una volta conferito l’incarico, il presidente della Repubblica non può interferire nelle decisioni dell’incaricato, né può revocargli il mandato per motivi squisitamente politici».

Va tenuto presente, che la Costituzione italiana assegna molti poteri e autonomie al presidente della Repubblica in questa fase: è lui e soltanto lui a decidere a chi affidare l’incarico di formare un governo, così come è lui e solo lui che nomina i ministri, ovviamente tenendo conto delle opinioni del Parlamento perché senza il sostegno del Parlamento non può esserci nessun governo.

Durante e dopo le consultazioni il presidente della Repubblica Sergio Mattarella potrebbe insomma anche avere un ruolo attivo, e sondare le forze politiche sulla possibilità di sostenere un governo non politico.

Governo tecnico
Si tratta di un governo affidato a dei “tecnici”, per esempio economisti o professori e sostenuto da quasi tutti i partiti che, in una situazione di particolare gravità, dovrebbero decidere di fare un atto di responsabilità, di perseguire obiettivi minimi e comuni e di non andare al voto.

Governo di scopo
Si tratta di un governo con un compito ben preciso e quindi una scadenza: il compito potrebbe essere quello di garantire le funzioni dell’esecutivo fino a nuove elezioni, quello di arrivare all’approvazione di una nuova legge elettorale o, in questo specifico caso, quello di garantire l’invio alla Commissione Europea, entro il prossimo 30 aprile, del Piano nazionale di ripresa e resilienza, approvato dal governo ma non ancora dal Parlamento. Dal Piano dipenderanno i circa 210 miliardi di euro di fondi che potrebbero arrivare all’Italia dall’Unione Europea con il programma Next Generation Eu, chiamato comunemente Recovery Fund, il principale strumento dell’Unione Europea per bilanciare la crisi economica provocata dalla pandemia da coronavirus.

Governo istituzionale, di unità nazionale, di salute pubblica
Si tratta di governi, come il governo tecnico, sostenuto dalla maggioranza dei partiti. Il governo si definisce “istituzionale” quando viene guidato da una figura delle istituzioni scelta da Mattarella.

Rimpasto
Si verifica quando all’interno del governo vengono sostituiti uno o più ministri, modificando in alcuni casi gli equilibri tra i partiti che sostengono la maggioranza.