Si può ritardare la seconda dose del vaccino contro il coronavirus?

Regno Unito e Danimarca hanno deciso di farlo per vaccinare il maggior numero di persone con almeno una dose, ma non tutti condividono l'approccio

(Fredrik Lerneryd/Getty Images)
(Fredrik Lerneryd/Getty Images)

Il vaccino contro il coronavirus di Pfizer-BioNTech, per ora il più diffuso in Occidente, richiede la somministrazione di due dosi a distanza di tre settimane, ma negli ultimi giorni ricercatori, medici e governi hanno iniziato a interrogarsi sulla possibilità di effettuare l’iniezione della seconda dose più avanti nel tempo, in modo da avere a disposizione più dosi per aumentare la quantità di prime somministrazioni. Il Regno Unito ha di recente deciso di seguire questa soluzione per ridurre i problemi legati alla scarsa disponibilità del vaccino, ma non tutti gli esperti sono convinti sull’utilità di questo approccio, e ne vedono qualche rischio.

L’epidemia da coronavirus nel Regno Unito è in una nuova fase acuta, soprattutto in Inghilterra, con decine di migliaia di nuovi casi positivi rilevati ogni giorno. Il paese è stato il primo ad autorizzare l’impiego del vaccino Pfizer-BioNTech alla fine del 2020, ma ha dovuto fare i conti con forniture limitate, in una fase in cui le due aziende stanno cercando di aumentare la produzione. Per questo il governo ha scelto di estendere il periodo tra il ricevimento della prima e della seconda dose, portandolo fino a 12 settimane rispetto alle tre indicate da Pfizer-BioNTech. Un approccio simile viene inoltre seguito per il vaccino di AstraZeneca-Oxford, da poco autorizzato per il suo utilizzo nel Regno Unito.

La scelta non ha però convinto tutti nella comunità scientifica, soprattutto per la mancanza di dati chiari – derivanti dai test clinici condotti nei mesi scorsi – su che cosa comporti un ritardo così accentuato nella somministrazione della seconda dose. Durante la sperimentazione è emerso che gli individui che avevano ricevuto la prima dose sviluppavano in pochi giorni una marcata protezione dalla COVID-19 (la malattia causata dal coronavirus), ma che questa si rafforzava solamente con la seconda somministrazione, arrivando al 95 per cento di efficacia di cui si è parlato molto nei mesi scorsi.

Basandosi sui dati dei test clinici, i ricercatori ritengono che la seconda dose abbia un effetto importante sul sistema immunitario per indurlo a sviluppare le difese contro il coronavirus, e una memoria immunitaria che può poi durare nei mesi seguenti, anche se non è ancora chiaro per quanto tempo.

L’Agenzia europea per i medicinali, che si occupa dei farmaci e della loro sicurezza nell’Unione Europea, non ha indicato entro quanto tempo effettuare la seconda somministrazione, ma ci sono comunque le indicazioni di Pfizer-BioNTech e le informazioni che si possono derivare dai dati dei loro test clinici, condotti per mesi su decine di migliaia di volontari. Se si decidesse di procedere con la seconda dose dopo molto più tempo, l’EMA avrebbe probabilmente da ridire, perché nella documentazione che ha portato all’autorizzazione questa eventualità non viene contemplata.

Nella loro ultima fase (su 3) di sperimentazione, Pfizer-BioNTech hanno preso in considerazione l’efficacia della vaccinazione con due dosi somministrate a tre settimane di distanza. Questo per le due aziende è al momento l’unico punto di riferimento, perché non ci sono dati affidabili su periodi di tempo diversi. I dati non riguardano solamente l’efficacia, ma anche la sicurezza del vaccino sotto questa scansione temporale, perciò diversi esperti consigliano di attenersi alle indicazioni di chi ha sviluppato, prodotto e sperimentato il vaccino, guardando con scetticismo alla scelta del governo britannico.

Il tema è però ancora discusso e ci sono diverse opinioni in merito. Di recente, uno dei responsabili dell’Organizzazione Mondiale della Sanità sull’immunizzazione ha per esempio detto che in alcune circostanze può essere contemplabile il rinvio della seconda dose. In casi eccezionali, potrebbe essere ritardato di un paio di settimane, mentre non sono stati forniti pareri su un’estensione fino a tre mesi.

Altri ritengono che il vaccino abbia mostrato di offrire una buona protezione già dopo la prima somministrazione, e che quindi possa essere una buona idea rinviare la seconda, in modo da avere più dosi a disposizione per vaccinare altri individui nel caso in cui ci fossero carenze nelle forniture. Se da un lato non ci sono dati su cosa accada nel ritardare la seconda dose, dall’altro ci sono dati sul fatto che con una prima iniezione si riduca già di molto il rischio di sviluppare sintomi gravi da COVID-19, nel caso di un’infezione da coronavirus.

Il confronto sul tema è diventato piuttosto acceso in Germania, dove il governo vorrebbe accelerare il più possibile la diffusione del vaccino. Diversi esponenti delle autorità sanitarie tedesche hanno detto di essere favorevoli a un approccio simile a quello britannico. Alcuni immunologi hanno detto di essere favorevoli a una maggiore flessibilità nella somministrazione della seconda dose, ritenendo che le tre settimane indicate da Pfizer-BioNTech debbano essere considerate come un periodo minimo, e non come un limite temporale oltre il quale non spingersi.

Il ministro tedesco della Salute, Jens Spahn, ha detto che il ritardo nella somministrazione della seconda dose potrebbe essere un’opzione. Il governo tedesco attenderà comunque le valutazioni della Commissione permanente per i vaccini (STIKO), prima di prendere una decisione in un senso o nell’altro.

In Danimarca, intanto, si è deciso di ritardare la seconda somministrazione fino a sei settimane, raddoppiando quindi il periodo indicato da Pfizer-BioNTech. Lo stesso principio sarà applicato anche al vaccino di Moderna, da poco autorizzato nell’Unione Europea.

Un allungamento dei tempi potrebbe essere applicato temporaneamente, se si dovessero verificare difficoltà nelle forniture delle dosi. I sostenitori di questa ipotesi e i più scettici concordano comunque su un punto: è importante assicurarsi che ogni individuo riceva le due dosi.