Il governo non si mette d’accordo sul Recovery Fund

Italia Viva è contraria alla struttura proposta da Conte per gestire i 209 miliardi in arrivo dall'Unione Europea, e non sembra sola

Il presidente del Consiglio Giuseppe Conte a Palazzo Chigi, Roma, 7 dicembre 2020
(ANSA/UFFICIO STAMPA PALAZZO CHIGI/FILIPPO ATTILI)
Il presidente del Consiglio Giuseppe Conte a Palazzo Chigi, Roma, 7 dicembre 2020 (ANSA/UFFICIO STAMPA PALAZZO CHIGI/FILIPPO ATTILI)

Nel pomeriggio di martedì avrebbe dovuto tenersi un nuovo Consiglio dei ministri per discutere del Piano nazionale di ripresa e resilienza, cioè il piano che conterrà i circa 100 progetti che saranno finanziati con i soldi del Recovery Fund, il principale strumento comunitario per bilanciare la crisi economica provocata dalla pandemia da coronavirus. Ma il consiglio dei ministri è stato rinviato, scrivono le agenzie di stampa: è l’ultimo sviluppo di un acceso confronto dentro al governo, che sta avendo grossi problemi a  trovare un accordo sulla struttura di gestione dei fondi, sul metodo che seguirà e sulla sua stessa istituzione.

Ieri, il Consiglio dei ministri sul tema era iniziato con quattro ore di ritardo, era stato sospeso per due volte ed era terminato in anticipo perché la ministra dell’Interno Luciana Lamorgese aveva saputo di essere positiva al coronavirus. E il ministro degli Esteri Luigi Di Maio e quello della Giustizia Alfonso Bonafede, vicini di posto di Lamorgese durante il Consiglio di ieri, si sono messi momentaneamente in isolamento.

Il principale problema sui fondi che arriveranno dall’Unione Europea ha a che fare con la loro gestione. L’idea del presidente Conte è creare una «cabina di regia», composta da presidenza del Consiglio, dal ministro dell’Economia Roberto Gualtieri del Partito Democratico e da quello dello Sviluppo economico Stefano Patuanelli del Movimento 5 Stelle. Il ministro degli Affari europei Vincenzo Amendola dovrebbe fare da referente unico con la Commissione europea. Ai ministri, stando ai piani di Conte, dovrebbero essere affiancati sei manager per ciascuna delle macrocategorie dei progetti, che a loro volta dovrebbero sovrintendere a dei «tecnici», il cui numero non è ancora stato definito. La struttura dovrebbe essere istituita con un emendamento alla legge di bilancio che le garantisca poteri speciali.

La proposta di gestione non è condivisa da Italia viva, il partito di Matteo Renzi che sostiene la maggioranza. La ministra di Italia Viva Teresa Bellanova dice che questa forma di gestione creerebbe una struttura parallela che, anziché snellire l’iter di realizzazione dei progetti, andrebbe a sovrapporsi ai ministeri esistenti: «Questa struttura esautora non solo i ministeri, ma anche le regioni e in sostanza l’intera pubblica amministrazione, mentre il Recovery deve rappresentare una straordinaria occasione di rinnovamento e innovazione della pubblica amministrazione», ha detto. Bellanova sostiene anche che se si farà la «forzatura» di inserire il meccanismo voluto da Conte in un emendamento al bilancio, il suo partito non lo voterà.

Domenica 6 dicembre, durante una riunione convocata da Conte con i capigruppo di maggioranza, Maria Elena Boschi e Ettore Rosato di Italia Viva se ne sono andati prima della conclusione, contestando la scelta di inserire la struttura di governance nella manovra di bilancio con un emendamento. In un’intervista a Repubblica di ieri, anche Matteo Renzi, parlando di Conte, ha detto: «Questo modo di fare non è solo sprezzante: è sbagliato. Noi siamo contrari a sovrastrutture di centinaia di consulenti che stanno al Recovery Fund come i navigator stanno al reddito di cittadinanza. Il futuro dell’Italia dei prossimi vent’anni non lo scrivono Conte e Casalino nottetempo in uno stanzino di Palazzo Chigi».

Alla domanda se in Consiglio dei ministri le ministre Bellanova e Bonetti voteranno contro la proposta di struttura avanzata da Conte, Renzi ha risposto: «Spero che il premier si fermi prima di mettere ai voti una scelta non condivisa», e ancora: «L’Italia ha già decine di migliaia di funzionari pubblici, migliaia di dirigenti, venti ministeri. Il problema non è assumere altra gente, ma capire qual è la visione dei prossimi anni. Se la risposta è un’altra inutile task force di 300 consulenti, se la votino da soli».

La struttura di gestione pensata da Conte, secondo i giornali, non sarebbe condivisa nemmeno da alcuni deputati del PD e dai presidenti di alcune regioni che vorrebbero avere un ruolo maggiore nella progettazione, realizzazione e gestione dei piani nazionali sui fondi. Lo scorso 3 dicembre, 24 regioni europee, tra cui Emilia-Romagna e Lazio, si erano rivolte ai vertici dell’Unione Europea: «Chiediamo a tutti i responsabili delle decisioni di riconoscere il valore aggiunto del territorio per l’agenda di ripresa. In linea con il principio di sussidiarietà, le regioni dovrebbero partecipare alle discussioni della Ue sulla ripresa al massimo livello. Chiediamo di essere attivamente inclusi nella progettazione e realizzazione del Recovery e dei piani nazionali adottati per lo scopo. Chiediamo ai leader politici delle istituzioni Ue e degli Stati membri di intervenire direttamente a livello regionale».

Al momento non è chiaro se gli altri paesi europei si doteranno di strutture simili a quella pensata finora dall’Italia: il Financial Times ha ipotizzato per esempio che il governo spagnolo assorbirà i soldi nel bilancio nazionale, lasciandoli di fatto in mano ai ministeri competenti per i singoli progetti.

Nelle ultime ore, scrivono i giornali, Conte avrebbe lavorato a un’ipotesi di mediazione per ridurre l’entità del comitato di gestione, rafforzare il ruolo del personale ministeriale, e per approvare la struttura della governance con un decreto e non attraverso un emendamento alla legge di bilancio.

Sulla stesura e i contenuti del Piano nazionale di ripresa e resilienza, cioè il piano che conterrà concretamente i progetti che saranno finanziati con i 209 miliardi di euro del Recovery Fund, non sembrano esserci invece particolari problemi: i progetti saranno divisi in sei categorie che dovrebbero corrispondere alle sei principali “missioni” individuate a settembre dal governo italiano (PDF), e già condivise con la Commissione Europea: digitalizzazione (a partire da quella della pubblica amministrazione), innovazione e competitività del sistema produttivo; transizione ecologica; infrastrutture e mobilità; istruzione, formazione, ricerca e cultura; equità sociale, di genere e territoriale; salute.