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  • Domenica 22 novembre 2020

La politica estera di Macron alla prova dei fatti

Nei suoi discorsi il presidente francese si presenta come un leader volitivo e ambizioso, ma secondo Politico i risultati che ha ottenuto non sono all'altezza

Emmanuel Macron (AP Photo/Christophe Ena)
Emmanuel Macron (AP Photo/Christophe Ena)

Quando si parla di politica estera, ha scritto Politico in un suo recente articolo, Emmanuel Macron è sicuramente riconosciuto come un leader mondiale: «Ma più parla, più il presidente francese rivela le proprie carenze sulla scena internazionale». Nei suoi discorsi dimostra di avere una visione strategica, la espone con grande eloquenza, fa analisi «acute» e «citazioni provocatorie». Assomiglia a un think-tanker, dice Politico, ma Macron è ormai da tre anni e mezzo alla presidenza della Francia, «unica potenza nucleare dell’UE» e membro permanente del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. Sebbene il presidente francese abbia potuto rivendicare alcuni notevoli successi, in politica estera i risultati spesso non sono riusciti «a eguagliare la sua retorica altisonante e le sue grandi ambizioni».

Cosa pensa Macron
Negli ultimi giorni sono circolati diversi articoli che si occupano di Macron e politica estera. Su Le Grand Continent, una rivista pubblicata in varie lingue dal Groupe d’études géopolitiques, un think tank europeo fondato nel 2017, è stata infatti pubblicata una lunga intervista in cui il presidente francese espone e riassume la sua “dottrina” in politica estera. L’intervista è stata molto commentata e ripresa.

Il 2020, dice Macron, è stato un anno «costellato di crisi»: quella dell’epidemia e del terrorismo, che si aggiungono «a tutte le sfide che stavamo già affrontando e che erano, direi, strutturali: il cambiamento climatico, la biodiversità, la lotta contro le disuguaglianze (…) e la grande trasformazione digitale». Di fronte a tutto questo è per lui necessario mettere in discussione il cosiddetto Washington Consensus, «un dogma in cui le verità erano: diminuzione del ruolo dello Stato, privatizzazioni, riforme strutturali, apertura delle economie attraverso il commercio, finanziarizzazione delle nostre economie, il tutto all’interno di una logica piuttosto monolitica basata sulla creazione di profitti». In base a quel paradigma le nostre società si sono costruite sulle «economie aperte» e su «un’economia sociale di mercato (…) che però è diventata sempre meno sociale e sempre più aperta». Pur avendo dato i suoi risultati, il Consenso di Washington non ha permesso «di pensare e di interiorizzare i grandi cambiamenti del mondo, in particolare il cambiamento climatico», ma anche le disuguaglianze, una transizione che sia «allo stesso tempo ecologica e sociale», una trasformazione del modo di produrre «e, di fatto, il nucleo del modello delle nostre strutture».

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Per Macron è dunque necessario costruire un nuovo consenso globale, «quello che potremmo chiamare il Consenso di Parigi, che però sarà il consenso di tutti», ha detto, che sappia «rispondere alle sfide contemporanee» e «costruire un’Europa molto più forte, che possa far valere la sua voce, la sua forza, mantenendo i suoi principi». L’Europa, dice Macron, non è stata più in grado di «pensare le questioni che contano. In termini geostrategici, ci eravamo dimenticati di pensare, perché pensavamo le nostre relazioni geopolitiche attraverso la Nato, diciamolo chiaramente, la Francia storicamente meno di altri, ma questo Super-Io è ancora presente, a volte mi batto contro di esso. Quindi l’ideologia che si può stabilire in Europa, cioè una lettura comune del mondo e delle nostre intenzioni, è un primo punto essenziale». Dopodiché, dice, concretamente serve una «coalizione di attori (…) governativi e non governativi – aziende, associazioni, per ottenere risultati lungo un percorso che ci siamo fissati insieme».

Il presidente ha messo al centro del suo discorso il rafforzamento di un’Europa politica («perché se vogliamo che si crei una forma di collaborazione, abbiamo bisogno di poli equilibrati che possano strutturarla intorno ad un nuovo multilateralismo, cioè ad un dialogo tra le varie potenze per decidere insieme») e il superamento di un’Europa che dia il primato all’economia, al commercio e alla finanza. Va costruita, ha spiegato,  «un’autonomia strategica» in termini militari, tecnologici e giuridici. La vittoria di Biden e la ripresa di una più forte cooperazione transatlantica sarà «un’opportunità per continuare in modo totalmente pacifico e sereno quello che gli alleati devono capire: dobbiamo continuare a costruire la nostra autonomia per noi stessi, come gli Stati Uniti fanno per loro, e come la Cina fa per sé». Gli Stati Uniti «sono i nostri alleati storici», ma «i nostri valori non sono esattamente gli stessi», «siamo proiettati in un altro immaginario, legato all’Africa, al Vicino e Medio Oriente, e abbiamo un’altra geografia, che può disallineare i nostri interessi»: di conseguenza, è «insostenibile che la nostra politica internazionale dipenda da loro o che segua le loro orme. E quello che dico è ancora più vero per la Cina».

Macron ha infine parlato del cambio di prospettiva che l’Europa dovrebbe avere nei confronti dell’Africa, cosa che rappresenterebbe anche una rottura con il passato; ha parlato di capitalismo, di svolta ecologista che è essenziale ma che non può mettere in discussione i diritti umani, e di valori europei da difendere contro il terrorismo e l’islamismo radicale: «Non è affatto uno scontro di civiltà, non mi riconosco per nulla in questa lettura delle cose perché non è un’Europa cristiana che si schiera contro il mondo musulmano, una fantasia verso cui alcuni vogliono trascinarci. È un’Europa che ha radici giudaico-cristiane, questo è un dato di fatto, ma che ha saputo costruire due cose: la coesistenza delle diverse religioni e la secolarizzazione della politica. Sono due importanti conquiste dell’Europa».

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Nell’intervista, Macron ha ammesso di aver «commesso molti errori» anche in Francia: con la tassa sulle emissioni di CO2, ad esempio. Ma ha anche direttamente rivendicato diversi successi.

Stati Uniti e Europa
Tra i risultati di Macron in Europa c’è stato il cosiddetto Recovery Fund, il principale strumento comunitario per bilanciare la crisi economica, ideato e sostenuto insieme alla Germania di Angela Merkel. Macron ha poi spinto l’Europa a sviluppare un approccio più coeso nei confronti della Cina, dice Politico, e con la prima ministra neozelandese Jacinda Ardern ha avuto un ruolo importante nel cosiddetto Christchurch Call, per trovare una strada comune nella lotta al terrorismo e all’estremismo in rete. Ha anche fatto pressioni per subordinare gli accordi commerciali al rispetto dell’accordo di Parigi e ha cercato di guidare un approccio più collettivo alla risposta alla pandemia. Ma tutto questo sembra isolato e non inserito nel progetto più ampio portato avanti da Macron.

Politico sostiene che nonostante l’insistenza del presidente francese sulla sovranità europea e sull’autonomia strategica, il suo mandato abbia dimostrato forti limiti su quello che la Francia e l’Europa possono raggiungere a livello internazionale senza il sostegno degli Stati Uniti. La Francia, insomma, non può ambire ad essere, da sola, una grande potenza, e l’agenda ambiziosa di Macron evidentemente non basta.

Durante il suo mandato, Donald Trump non ha lavorato per favorire la cooperazione internazionale, come dimostra il ritiro degli Stati Uniti da due importanti accordi internazionali (l’accordo sul clima di Parigi e l’accordo sul nucleare iraniano). Macron è riuscito a riempire alcuni vuoti della politica internazionale, ma alcune sue conclusioni sono apparse «esagerate». Sull’accordo di Parigi, ha detto che «è stata proprio l’Europa a dettare l’agenda dopo la decisione del presidente Trump, e poi a riuscire a tenere la Cina al tavolo dei negoziati». La Cina, come ha spiegato a Politico Antoine Bondaz, un ricercatore della Foundation for Strategic Research di Parigi, è rimasta all’interno dell’accordo sul clima «perché era nel suo interesse farlo, consentendo di alimentare la narrativa secondo cui gli Stati Uniti sono per l’unilateralismo mentre la Cina è una potenza multilaterale». Dato, poi, che gli impegni dell’accordo di Parigi sono a lungo termine, non avranno un impatto importante e immediato sull’economia cinese.

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Con l’elezione di Joe Biden le cose certamente miglioreranno, per l’Europa e per Macron. Nonostante questo, il presidente francese ha insistito soprattutto sulle differenze tra USA e Europa e sulla necessità dell’autonomia strategica dell’Europa stessa. Per Politico Macron ha avuto il merito di mettere questa sua visione al centro delle discussioni, ma si tratta di una visione non condivisa. In una sua recente intervista, la ministra della Difesa tedesca, Annegret Kramp-Karrenbauer, ha criticato proprio l’autonomia strategica europea e ha ribadito la centralità della cooperazione transatlantica per la difesa europea: «Si deve porre fine alle illusioni di autonomia strategica europea. Gli europei non saranno in grado di sostituire il ruolo cruciale dell’America come fornitore di sicurezza».

Grandeur
In Francia la politica estera è sempre stata appannaggio del Capo dello Stato, tanto più nei paesi verso i quali vi è un forte sentimento di responsabilità, per ragioni culturali o storiche: «È una tendenza naturale tra i presidenti della Repubblica. Perché rimangono dell’idea che la Francia sia un paese a parte, che ha un ruolo globale da svolgere e la cui voce deve essere espressa», ha spiegato a La Presse Bruno Jeanbart, dell’istituto di sondaggi Opinionway.

In questo senso Macron non è molto diverso dai suoi predecessori, ma per Bruno Jeanbart l’attuale presidente si trova «in una fase molto internazionale», in «una sorta di sfogo» sul piano della politica estera, tanto che lo scorso agosto un commentatore politico francese ha dichiarato che Macron si stesse atteggiando a “salvatore del mondo”. Per Bruno Cautrès, docente all’Istituto di studi politici di Parigi, Macron «vuole incarnare colui che sblocca le situazioni, che rende le cose possibili, anche se a volte questo significa rivolgersi alle persone stando al di sopra delle teste dei loro stessi leader». Per Tobias Schneider, ricercatore presso il Global Public Policy Institute di Berlino, l’approccio in politica estera di Macron è bonapartista, non favorisce il coinvolgimento degli altri paesi e, dunque, una politica realmente comune.

Cautrès ha spiegato che in Macron «c’è questo desiderio di mostrarsi sempre agli altri come un giovane tipo entusiasta, che porta un messaggio, che ha idee visionarie e in cui crede. In questo, si riconoscono dei punti positivi e dei vizi della cultura francese». Oltre che per convinzione politica, Macron avrebbe l’obiettivo di alimentare «l’aura storica della Francia» e la propria stessa immagine: «La politica internazionale è molto importante per lasciare un segno nell’opinione pubblica francese».

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Questa tendenza dovrebbe intensificarsi nei prossimi mesi, con l’avvicinarsi delle elezioni presidenziali del 2022. I maggiori sforzi sulle questioni internazionali vengono fatti, solitamente, alla fine del primo mandato dei presidenti: «Lo abbiamo visto con François Mitterand nel 1988 e con Jacques Chirac nel 2002», dice Bruno Jeanbart. Probabilmente sarà così anche per Macron, la cui presidenza è stata divisiva, segnata dai ripetuti scioperi e dalla crisi dei gilet gialli. Più si avvicinano le elezioni, più Macron farà molto probabilmente una campagna sulla propria capacità di incarnare gli interessi a lungo termine della Francia sulla scena internazionale.

Nei fatti
Negli ultimi mesi, Macron ha moltiplicato i propri interventi e il proprio impegno sul piano internazionale, ma senza ottenere risultati significativi. All’inizio di questo mese, dice Politico, «nonostante gli sforzi di Macron per essere coinvolto» la Francia è stata tagliata fuori dall’accordo nella guerra per il Nagorno-Karabakh, un territorio separatista collocato in Azerbaijan ma controllato dall’Armenia. La tregua era stata chiesta da Stati Uniti, Francia e Russia, paesi co-presidenti del cosiddetto Gruppo di Minsk nell’ambito dell’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa: un gruppo creato all’inizio degli anni Novanta proprio per mediare questo conflitto. Alla fine, la tregua è stata negoziata dalla Russia.

In Libano, paese cristiano e francofono un tempo amministrato dalla Francia, il tentativo della Francia di mediare una soluzione alla crisi politica del paese è finora fallito. Macron è stato più volte nel paese, nelle ultime settimane, minacciando anche di sospendere gli aiuti se non fossero state approvate delle riforme strutturali. Ma come ha scritto il Washington Post la Francia non sembra avere forza sufficiente per influenzare il sistema politico locale, che è molto intricato e legato a una particolare divisione del potere tra diversi gruppi religiosi.

La posizione forte di Macron contro le decisioni unilaterali della Turchia in materia di esplorazioni petrolifere non ha trovato molta risonanza tra i principali alleati della NATO e dell’UE. Molti paesi hanno espresso sostegno a Grecia e Cipro nelle loro controversie con la Turchia, ma hanno adottato un approccio più cauto.

Infine c’è la Libia. Dal 2014 la Libia è divisa in due: a ovest si trova il governo riconosciuto a livello internazionale guidato da Fayez al Serraj, con sede a Tripoli, la capitale; a est invece è insediato il maresciallo Khalifa Haftar, che da anni cerca invano di conquistare Tripoli, a cui la Francia ha dato inizialmente il proprio sostegno e che è stato indebolito dall’intervento turco a fianco di Fayez al Serraj. La decisione di Macron di proseguire il dialogo con la Russia, anche in funzione anti-turca, non è stato apprezzato dagli stati dell’Europa orientale, che da anni chiedono all’UE di assumere una posizione più dura nei confronti del governo russo, preoccupati per eventuali nuove azioni aggressive della Russia oltre i suoi confini occidentali. E, conclude Politico, deve ancora produrre dei risultati.