Che fine ha fatto il vaccino di AstraZeneca

Le notizie su Pfizer e Moderna hanno distolto le attenzioni dalla soluzione sperimentata nel Regno Unito, che può dare sorprese

(AP Photo/Natacha Pisarenko)
(AP Photo/Natacha Pisarenko)

Nell’ultima settimana, l’azienda farmaceutica Pfizer (con BioNTech) e quella di biotecnologie Moderna hanno annunciato negli Stati Uniti i risultati preliminari molto promettenti dei loro due vaccini contro il coronavirus, mettendo in ombra gli sforzi di numerosi altri centri di ricerca e aziende farmaceutiche. Tra questi c’è la società britannica AstraZeneca che, con il suo vaccino sperimentale realizzato in collaborazione con l’Università di Oxford, aveva attirato grandi attenzioni da parte dei media nei mesi scorsi e che ora sembra essere un poco sparita nella cosiddetta “corsa al vaccino”.

Il fatto che se ne parli meno non implica che il progetto britannico sia naufragato, anzi. AstraZeneca sta proseguendo la sperimentazione e secondo i suoi responsabili potrebbe pubblicare una prima serie di risultati entro poche settimane: se positivi, potrebbe ottenere in breve tempo un’autorizzazione per avviare la distribuzione del vaccino, forse prima di Pfizer e di Moderna.

AstraZeneca è stata una delle prime aziende farmaceutiche ad avviare ricerche e sperimentazioni per un vaccino contro il coronavirus, fornendo risorse e collaborazione a un gruppo di ricerca presso l’Università di Oxford. Il loro vaccino è stato realizzato partendo da uno dei virus che causano il raffreddore comune negli scimpanzé. Semplificando: i ricercatori hanno trasferito il materiale genetico della proteina che il coronavirus utilizza per legarsi alle cellule e replicarsi, inserendola nel virus ottenuto dagli scimpanzé e reso innocuo per gli esseri umani. In questo modo, il sistema immunitario impara ad attaccare la proteina, così da potere anche affrontare le eventuali infezioni causate dal coronavirus vero e proprio.

I vaccini sperimentali di Pfizer-BioNTech e Moderna utilizzano lo stesso principio della proteina da far riconoscere in sicurezza al sistema immunitario, ma lo fanno sfruttando una soluzione diversa e basata sull’impiego di materiale genetico artificiale (mRNA). Il fatto che questa soluzione si sia rivelata efficace, e più del previsto, nei primi risultati delle loro rispettive sperimentazioni finali, potrebbe essere una buona notizia anche per AstraZeneca.

Prima dell’estate, il vaccino di AstraZeneca si era mostrato efficace nel prevenire infezioni da coronavirus nelle scimmie. I ricercatori avevano quindi avviato le prime due fasi di sperimentazione con volontari, senza rilevare particolari eventi avversi derivanti dalla somministrazione del vaccino. In seguito sono stati avviati ulteriori test clinici in Inghilterra, India, Brasile, Sudafrica e Stati Uniti.

A settembre, AstraZeneca aveva però dovuto sospendere la sperimentazione clinica a livello globale per accertare le cause di un effetto avverso, una forte infiammazione, che aveva interessato uno dei volontari. La sperimentazione era ripresa dopo una settimana circa e ora sta proseguendo nell’ultima fase (su 3), dedicata proprio alla verifica dell’efficacia del vaccino su migliaia di volontari.

Anche Pfizer e Moderna sono nella fase 3 di sperimentazione dei loro rispettivi vaccini, ma hanno comunque fornito una prima serie di dati sperimentali sui test clinici, comunicando un’efficacia del 90 per cento nel caso di Pfizer e del 94,5 per cento nel caso di Moderna. Lo hanno fatto con comunicati stampa e senza fornire molti altri dati, che potrebbero comunque variare nell’ultima parte della fase 3, con la raccolta di ulteriori informazioni sulle condizioni di salute dei partecipanti alle loro sperimentazioni.

AstraZeneca dovrebbe comunicare una prima serie di dati preliminari entro le prossime settimane, mentre il suo amministratore delegato prevede che la fase 3 potrebbe concludersi nelle ultime settimane di dicembre. Se i dati preliminari fossero incoraggianti, sia dal punto di vista dell’efficacia sia della sicurezza, AstraZeneca potrebbe ottenere in alcuni paesi un’autorizzazione di emergenza per l’impiego del suo vaccino, distribuendo i primi milioni di dosi entro la fine dell’anno.

Ad agosto, l’Unione Europea ha stretto un accordo con AstraZeneca per la fornitura di circa 400 milioni di dosi, nel caso in cui i test clinici diano esito positivo. Gli Stati Uniti hanno prenotato a loro volta 300 milioni di dosi, il cui acquisto sarà confermato solo nel momento in cui ci saranno elementi a sufficienza per definire efficace e sicuro il vaccino. AstraZeneca prevede di produrre in un anno circa 2 miliardi di dosi, che dovrebbero essere sufficienti per mantenere gli impegni delle prenotazioni ricevute finora.

Il principio di funzionamento del vaccino di AstraZeneca è utilizzato da tempo e ha portato a diversi risultati soddisfacenti, rispetto a quello basato sull’mRNA di Pfizer e Moderna, finora mai autorizzato per il suo utilizzo su larga scala nei vaccini. Per l’azienda britannica potrebbe essere un vantaggio, che si aggiungerà alla maggiore praticità nella conservazione e distribuzione delle dosi, che non richiedono di essere conservate a temperature estremamente basse come per il vaccino di Pfizer. Molto dipenderà comunque dai livelli di efficacia riscontrati durante la fase 3 e se saranno o meno vicini a quelli ottenuti da Pfizer e Moderna.