Un lockdown solo per gli anziani è una possibilità?

Se n'è discusso in questi giorni in Italia tra economisti, epidemiologi e ricercatori: al di là degli aspetti etici, per molti esperti sarebbe praticamente impossibile da realizzare

Una visita a distanza di sicurezza alla Fondazione Martino Zanchi, una casa di riposo di Alzano Lombardo, il 29 maggio, 2020. (AP Photo/Luca Bruno)
Una visita a distanza di sicurezza alla Fondazione Martino Zanchi, una casa di riposo di Alzano Lombardo, il 29 maggio, 2020. (AP Photo/Luca Bruno)

In questi giorni di attesa per ulteriori misure restrittive che sembrano inevitabili per contenere la seconda ondata di contagi da coronavirus, e con diversi paesi europei che hanno già annunciato nuovi lockdown più o meno stringenti, in Italia alcuni esperti hanno discusso pubblicamente di una possibilità che periodicamente è stata citata nel dibattito sul modo migliore per arginare l’epidemia: un lockdown selettivo per le fasce più anziane della popolazione. In questo modo, dice chi lo propone, si proteggerebbero le persone esposte ai rischi maggiori legati alla COVID-19, favorendo la tenuta del sistema sanitario e permettendo contemporaneamente all’economia di non fermarsi e alle scuole di rimanere aperte.

Ci sono molti problemi in un approccio di questo tipo. Secondo molti esperti, il primo è la fattibilità di un isolamento totale delle persone sopra una certa età, nei fatti praticamente impossibile soprattutto in un paese con le caratteristiche dell’Italia. E un isolamento non efficace degli anziani, unito a una maggiore circolazione del coronavirus tra le fasce più giovani, potrebbe avere conseguenze molto gravi. Ma i problemi sono anche altri: etici, per esempio. In tanti avvertono che il passo tra la protezione degli anziani e la segregazione delle persone considerate “non produttive”, come ha dimostrato domenica un criticatissimo tweet del presidente della Liguria Giovanni Toti, può essere molto breve.

Il dibattito in questione peraltro è stato posto spesso in termini assoluti: un isolamento totale di milioni di persone anziane, oppure la loro completa integrazione con la vita del resto della società, seppur con tutte le restrizioni dovute alla pandemia. In realtà esiste un’ampissima via di mezzo, che è peraltro quello che già avviene con le misure pensate per proteggere le persone a rischio, dalle RSA agli ospedali. Ma potenzialmente molte altre cose potrebbero essere fatte – o meglio: potevano essere fatte – per creare un’infrastruttura e una rete organizzativa che permettessero una protezione e un isolamento degli anziani, seppur parziale, molto più efficiente di quello attuale, che è stato lasciato in larga parte alla responsabilità e alle possibilità delle singole famiglie.

Nessun paese del mondo ha adottato un vero lockdown selettivo per gli anziani. Tra le strategie adottate internazionalmente per contenere l’epidemia c’è stata quella che ha previsto la costruzione e l’organizzazione di un’enorme infrastruttura di test, contact tracing e strutture per l’isolamento come in Cina o in Corea del Sud, che si è dimostrata nei fatti la migliore, seppur realizzabile probabilmente in pochi paesi al mondo. Un’altra è stata quella delle principali democrazie europee, fatta di periodi alternati di misure restrittive e altre più flessibili, con il lockdown usato come freno di emergenza subito prima del disastro sanitario.

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Un altro approccio ancora è quello che è stato chiamato “modello svedese”, che non ha previsto rigide misure restrittive ma ha puntato sulla responsabilità dei singoli fornendo istruzioni e raccomandazioni su come limitare i contagi senza chiudere le attività e puntando a raggiungere una forma di immunità di gregge. Il lockdown selettivo avrebbe dei tratti in comune con questo sistema, perché consentirebbe di fatto alle persone sotto una certa età di continuare a lavorare, a circolare e in una certa misura ad avere qualche forma di socialità, per esempio al ristorante o al bar, portando inevitabilmente a una circolazione maggiore del coronavirus ma soltanto tra persone che statisticamente sono molto meno a rischio di sviluppare sintomi gravi e di morire per la COVID-19.

Sul Foglio, gli economisti Carlo Favero, Andrea Ichino e Aldo Rustichini hanno proposto questa soluzione, specificando che «non vuol dire recludere in isolamento gli ultra 50enni, ma favorire e se possibile rendere obbligatori tutti gli accorgimenti che consentono di evitare che un giovane infetti un anziano». L’obiettivo, dicono, è «salvare molte vite umane con danni inferiori per il sistema economico»: cioè andare avanti fino alla disponibilità del vaccino senza chiudere le scuole e senza sospendere le attività produttive. Tra le proposte concrete, l’articolo cita la possibilità per gli insegnanti più anziani di fare lezione a distanza alla classe fisicamente presente a scuola o la separazione dei mezzi pubblici su base oraria per under e over 50 anni.

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Sul sito dell’Ispiil ricercatore Matteo Villa ha raccolto un po’ di dati per spiegare le basi di una proposta simile. La premessa che fa è che non è una soluzione totale, ma può essere una soluzione parziale: il “rischio zero” non esiste nemmeno con un lockdown completo, dice Villa. Un eventuale lockdown selettivo sarebbe una strategia da affiancare a quelle già in atto, dalle restrizioni alla circolazione in certe fasce orarie alla chiusura di alcune attività. E non necessariamente eviterebbe la necessità di un lockdown totale se la curva dei decessi continuasse a crescere a velocità simili a quelle delle ultime settimane.

Sappiamo che il tasso di letalità della COVID-19 sale rapidamente con l’età: secondo l’Istituto Superiore di Sanità è all’1,3% (cioè muore l’1,3% di chi viene contagiato) tra i 50 e i 59 anni, ma passa al 5,5% tra i 60 e i 69, al 17,2% tra i 70 e i 79 anni, al 26,6% tra 80 e 89 anni (le stima di Villa sono più basse, perché calcola la percentuale sui contagiati plausibili, e non su quelli accertati).

Villa stima che in una situazione senza restrizioni di nessun tipo, in un anno di epidemia morirebbe in Italia lo 0,8% della popolazione (circa 500mila persone); isolando totalmente gli over 80, secondo villa i decessi si dimezzerebbero; isolando gli over 70, scenderebbero allo 0,2%; e isolando gli over 60, arriverebbero allo 0,07%, cioè secondo Villa sarebbero meno delle circa 48mila persone che si stima siano morte di coronavirus in primavera basandosi sull’eccesso di mortalità.

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L’analisi di Villa è più incerta sulle conseguenze nei ricoveri, in terapia intensiva e non: è vero che gli over 60 sono una larga maggioranza dei ricoverati, ma i posti del sistema sanitario probabilmente non basterebbero comunque. Secondo Villa un isolamento totale delle persone ultrasessantenni alleggerirebbe del 70% la pressione sui reparti di terapia intensiva. Ma comunque senza restrizioni i ricoverati sarebbero 26mila in un anno, se anche non si ammalasse nessuna persona con più di sessant’anni: troppi per garantire assistenza a tutti e il normale funzionamento degli ospedali.

A Villa ha risposto su Twitter Luca Ferretti, ricercatore di statistica genetica e modelli epidemiologici al Big Data Institute dell’Università di Oxford. Ferretti ha ricordato intanto che gli epidemiologi hanno preso in considerazione l’ipotesi di un lockdown selettivo per i più anziani fin dalle prime fasi dell’epidemia, spiegando però che semplicemente non è un’opzione percorribile.

Partendo dalla premessa che proteggere le persone più anziane e in generale più a rischio deve essere una delle strategie principali per contenere le conseguenze dell’epidemia, Ferretti ricorda che in Italia ha più di sessant’anni quasi una persona su tre, ed è difficile pensare – ma anche auspicare – che circa 17 milioni di persone possano rimanere completamente isolate dal resto della popolazione, per un tempo di fatto indefinito fino alla distribuzione del vaccino, su cui non ci sono certezze.

La definizione di “anziani”, poi, è quantomeno soggettiva: se si considerano le persone sopra i 70 anni, il discorso sul lockdown selettivo ha certe premesse e conseguenze. Ma se si includono i sessantenni, cambia completamente: intanto perché oltre il 40% delle persone tra i 60 e i 69 anni è occupato, secondo l’ISTAT, e quindi la loro assenza dal mondo del lavoro avrebbe comunque delle conseguenze rilevanti sul sistema produttivo. Anche se, sempre secondo l’ISTAT, gli ultrasessantenni sono soltanto il 9% della forza lavoro italiana, percentuale che scende al 2% per gli over 65.

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In ogni caso, un isolamento totale non sarebbe possibile: perché come tutti anche gli anziani hanno contatti sociali, e le difficoltà a tenere il coronavirus fuori dalle RSA ha dimostrato quanto sia complesso proteggere gruppi di persone. Ferretti, a livello aneddotico, cita l’esempio di un paio di monasteri di clausura in cui perfino le suore sono state contagiate.

L’isolamento sarebbe difficilissimo innanzitutto perché milioni di anziani non sono autosufficienti e richiedono contatti quotidiani con le persone più giovani che se ne occupano, che siano infermieri, parenti o badanti. Che a loro volta dovrebbero isolarsi dal resto della società, altrimenti l’isolamento totale verrebbe subito meno. Secondo l’ISTAT, oltre il 38% delle famiglie italiane ha almeno un componente sopra i 65 anni (anche se, fa notare Villa, per il dibattito in questione andrebbero escluse le famiglie interamente sopra i 65 anni). E sappiamo che la maggior parte dei contagi da coronavirus avviene in casa.

L’approccio del lockdown selettivo insomma richiederebbe una logistica «riadattata per permettere di fornire prodotti e servizi a 20 milioni di persone in isolamento per lungo tempo senza rischi», spiega Ferretti. Mantenendo aperte le attività che coinvolgono le persone più giovani, poi, anche con molte precauzioni la circolazione del virus aumenterebbe inevitabilmente tra chi è escluso dal lockdown selettivo. Aumentando di conseguenza le probabilità che un anziano in isolamento entri a contatto con un positivo in quei brevi e limitati – ma inevitabili – contatti che avrebbe in uno scenario di isolamento. In Svezia, per esempio, il coronavirus ha fatto più o meno la metà dei morti nelle case di riposo.

Con ogni probabilità, in ogni caso, un lockdown selettivo non sarebbe proponibile politicamente, perché le persone coinvolte nel lockdown non lo accetterebbero e tante altre non lo tollererebbero per le già citate conseguenze etiche di una simile decisione. Aggravate dal fatto che la prospettiva temporale di una misura simile sarebbe di fatto indefinita.

In sintesi, secondo Villa il lockdown selettivo, per quanto complesso, pesante e doloroso da accettare, sarebbe comunque una scelta percorribile e auspicabile prima di decidere il lockdown totale, che bloccherebbe di nuovo l’economia con conseguenze molto preoccupanti: «i lockdown sono una batosta sull’oggi e un disinvestimento sul domani». Ma secondo Ferretti, in realtà, «il lockdown completo non è una scelta» bensì «la conseguenza dell’inefficienza e dell’inazione» e «una misura di emergenza per quando è troppo tardi per altro».

Come spiega Ferretti al Post, è poco utile un dibattito che contrapponga due scelte nette e contrapposte come la possibilità o meno di attuare un lockdown totale per gli anziani. In mezzo ci sono tutta una serie di misure di tutela delle fasce più a rischio, e quindi in gran parte gli anziani: «evitare di ricevere visite in casa o limitarle al minimo con poche persone selezionate (che poi dovrebbero prestare massima attenzione nel resto della loro giornata), orari riservati alle fasce protette in supermercati e negozi, volontari che portino la spesa a casa» e molte altre. Misure sulla cui efficacia peraltro la scienza è concorde e che sono molto più semplici da realizzare di un ipotetico isolamento assoluto di milioni di persone.