Quanti sono stati i morti da Covid-19

I dati Istat confermano che a marzo e aprile al Nord ci sono stati il doppio dei decessi del normale, molti di più di quelli registrati nel bilancio ufficiale

(il Post)
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L’ISTAT, l’istituto pubblico che si occupa dei censimenti della popolazione, ha pubblicato i risultati dell’ultima misurazione sulla mortalità in Italia nella prima parte del 2020, perfezionando quella che è al momento la stima più attendibile sul reale numero di decessi causati dall’epidemia di COVID-19. Nella sua nuova rilevazione l’ISTAT conferma sostanzialmente quanto aveva già misurato: tra marzo e aprile in Italia ci sono stati circa 48mila decessi in più rispetto alla media degli anni precedenti, contro i circa 29mila attribuiti ufficialmente al coronavirus.

Il rapporto dell’ISTAT non fa confronti con i dati ufficiali sul coronavirus: ma è il passaggio successivo, e più interessante, nell’interpretazione delle stime sulla mortalità in eccesso nel 2020. Non vuol dire, comunque, che i quasi ventimila decessi di scarto siano interamente attribuibili alla COVID-19, anche perché un’epidemia come quella in corso ha conseguenze anche sulla salute di chi non contrae il virus.

L’ISTAT ha spiegato che le ulteriori analisi sui dati già diffusi sulla mortalità nella prima parte del 2020 in Italia confermano con alcune minime correzioni quelli diffusi nei mesi scorsi, a partire da maggio, e sui quali si sono basate finora le principali stime sul vero impatto dell’epidemia in Italia. Rispetto alle prime stime, oggi i dati arrivano a comprendere tutti i quasi 8mila comuni italiani (alle prime ne mancavano un migliaio).

Ma soprattutto, i dati arrivano fino ad agosto: registrando che il saldo delle morti in eccesso tra marzo e aprile di quest’anno rispetto alla media dei precedenti è di circa 48mila in più, ma che considerando il periodo da gennaio ad agosto scende a 38mila in più. Dopo le migliaia di morti in più causate dalla prima ondata di coronavirus, infatti, a giugno e luglio si è registrato un calo della mortalità, che si è sommato a quello più consistente registrato tra gennaio e febbraio.

Come è noto, a marzo e aprile la sproporzione tra i decessi registrati nei bollettini ufficiali e quelli in eccesso rispetto alla media degli anni precedenti si è concentrata quasi esclusivamente al Nord. Rispetto alla media degli anni 2015-2019, nel 2020 a marzo e aprile la mortalità in Italia è aumentata del 47 e del 39 per cento, ma con una distribuzione territoriale disomogenea: al Nord è quasi raddoppiata a marzo ed è aumentata del 75 per cento ad aprile, mentre al Centro è cresciuta rispettivamente del 12,2 e del 12,6, dato peraltro molto condizionato dalle Marche, la regione più colpita dell’Italia centrale, dove la percentuale sale al 44 e al 35 per cento. Al Sud, il dato complessivo per marzo e aprile è un aumento della mortalità ancora più contenuto, del 4,3 e del 6,8 per cento.

I decessi totali registrati a marzo nel Nord Italia sono stati 52.124, quelli in Italia 85.786. Rispetto alla media del 2015-2019, a marzo di quest’anno al Nord ci sono stati oltre 25mila decessi in più. I dati ufficiali sul coronavirus dicono che al Nord c’erano circa 12.900 morti per coronavirus al 3 aprile 2020 (una data scelta per tenere conto di tutti i decessi di marzo, considerato che spesso ci vogliono alcuni giorni perché una morte sia registrata). Ne mancherebbero quindi altri 12mila per arrivare all’incremento rispetto alla media degli anni precedenti.

Aggiungendo anche i decessi di aprile, il conteggio ufficiale registra circa 24.900 decessi per coronavirus al 3 maggio 2020, nelle regioni del Nord. Le misurazione dell’ISTAT segnalano invece circa 43mila decessi in più rispetto alla media degli anni precedenti. Tra marzo e aprile, quindi, nel Nord c’è una differenza di oltre 18mila morti tra i decessi in eccesso rispetto alla media degli anni precedenti e il conteggio ufficiale dei morti per coronavirus.

Aggregando i dati dei singoli comuni, emerge chiaramente la distribuzione territoriale dell’impatto della prima ondata dell’epidemia, che in Italia ha avuto notoriamente epicentro in Lombardia e in particolare nelle province di Bergamo, Cremona, Brescia e Lodi. L’effetto della diffusione lombarda del contagio è visibile anche dalla gravità dell’aumento dei decessi nelle confinanti province emiliane di Piacenza e Parma, ma anche in quelle piemontesi di Novara, Biella e Alessandria. La provincia di Pesaro e Urbino è stata la più colpita del Centro e del Sud Italia, probabilmente per la sua posizione assai collegata a Milano e alla Lombardia e per una serie di fattori più casuali e imprevedibili.

Come si è già detto in molte occasioni, il bilancio ufficiale dell’epidemia in Italia è considerato da tutti gli esperti ampiamente sottostimato, perché a marzo e aprile migliaia di persone che avevano i sintomi della COVID-19 sono morte in casa o nelle strutture assistenziali senza mai essere sottoposte al tampone. Gran parte delle morti in eccesso di marzo e aprile rispetto alla media degli anni precedenti rientra quindi in questa categoria.

Ma gli effetti di un’epidemia sono anche indiretti: con gli ospedali travolti dai pazienti con il coronavirus, con le terapie intensive piene, con i medici di famiglia che non riuscivano a seguire tutti i pazienti, molte persone sono morte perché il sistema sanitario, che in tempi normali avrebbe potuto salvarle, non è riuscito a occuparsene.

A maggio, con l’Italia che usciva dal lockdown e i contagi in calo drastico da settimane, il dato sulla mortalità in eccesso scende nettamente: il 7,2 per cento in più al Nord, il 4,2 e l’1,3 per cento in meno al Centro e al Sud. Quest’ultima rilevazione dell’ISTAT arriva fino ad agosto: a giugno e luglio, a livello nazionale, la mortalità di quest’anno è diminuita rispetto agli anni precedenti, per tornare poi a crescere di poco meno del 2 per cento ad agosto.