Una canzone dei King Crimson

Se questa è una newsletter di canzoni prima di spegnere la luce, questa è la canzone che ci voleva

Le Canzoni è la newsletter quotidiana che ricevono gli abbonati del Post, scritta e confezionata da Luca Sofri (peraltro direttore del Post): e che parla, imprevedibilmente, di canzoni. Una per ogni sera.
C’è un’altra canzone dal disco dei Future Islands che esce a ottobre: loro sono quella band dal cantautore che si fece notare muovendosi come un furetto, ma non solo per quello.
The dark side of the moon, forse il disco più famoso della storia del rock, non c’è molto da dirne: il più bello tra i più famosi, aggiungerei io. La sua canzone a sua volta più bella, per me, non è una di quelle più note e usate (Money, Us and them, Speak To Me/Breathe), invece: è l’ultima, Eclipse, famosa anche per la sua coda sul concetto di lato oscuro della luna. Adesso Eclipse sta ottenendo nuove notorietà perché una nuova versione è stata usata per il trailer del remake di Dune (film che invece, malgrado la promozione, non lasciò grandi entusiasmi tra noialtri).
La storia di Enya e delle sue popolarità è affascinante: alla fine degli anni Ottanta ebbe un successo mondiale pazzesco, con un disco in particolare, ma poi quella che sembrava una sua raffinata originalità – col concorso di un milione di spot pubblicitari che usarono le sue canzoni – passò ad essere percepita come una cosa noiosamente stucchevole e cheap (sfottuta pure da South Park), nel novero delle melensaggini new age. Lei intanto si ritirò nei fatti suoi, godendosi serenamente le royalties e sottraendosi a ogni pubblicità. Ora un lungo articolo di Pitchfork la celebra come un’influenza importante di molta nuova musica contemporanea, rivalutata da molti ascoltatori giovani. Non so se mi ha convinto, ma devo ammettere che pochi giorni fa ho passato la giornata a canticchiare Watermark, dopo averla ascoltata fuggevolmente da qualche parte.

Islands
Quando scrissi Playlist studiai parecchio: c’erano molte cose che conoscevo poco e superficialmente, e ascoltare un sacco di musica ancora sconosciuta “per lavoro” fu una bellezza. In un paio di casi, invece, decisi di delocalizzare del tutto: e affidai a Matteo Bordone – mio socio in radio – la scrittura della voce su Sufjan Stevens, e quella sui King Crimson decisi di darla a un mio caro amico che ora non vedo da tanto e che fu un prezioso “meccanico” del mio blog per tanti anni, Vittorio Dell’Aiuto, che sapevo essere un esperto anche di quelli. Dei King Crimson. Di cui scrisse:
L’unico gruppo della stagione progressive sopravvissuto fino a oggi senza diventare la propria caricatura da gerontocomio: andati avanti facendo musica nuova ma parente di quella del 1969. In quasi quarant’anni di storia ci sono passati una ventina di musicisti, e il gruppo è stato dichiarato sciolto per sempre almeno tre volte, salvo poi rinascere dalle sue ceneri: in tutto questo l’unico elemento inamovibile è stato un omino inglese del Dorset di nome Robert Fripp, di cui si conosce un’unica foto in cui sorrida.

Tutto per dire che quindi io dei King Crimson sono rimasto più ignorante che di altre cose di cui conciono qui.
“Concionare” lo diceva spesso mio nonno: mi accorgo sempre che è una parola poco familiare, e io la uso normalmente e a volte non arriva. Vuol dire questo.

Ma non sono meno appassionato di alcune cose bellissime dei King Crimson anche per noi di passaggio, come i nove minuti di Islands, la canzone incantevole – letteralmente incantevole – che era anche il titolo del loro disco del 1971 (disco controverso, che precedette scissioni nella band e per una parte dei fan non fu all’altezza dei precedenti). Infinita pace, prima di andare a dormire.
Beneath the wind turned wave
Infinite peace
Islands join hands
‘Neath heaven’s sea

(ah, Fripp ora accenna sorrisi più spesso, in quei video sbilenchi che fa con sua moglie Toyah che ho linkato qualche volta)

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