La norma dei servizi segreti inserita nel decreto sullo stato di emergenza sanitaria

In un decreto legge sulla pandemia approvato con la fiducia, e mentre Giuseppe Conte da due anni si tiene la delega all'intelligence: tutte ragioni che hanno creato polemiche

Giuseppe Conte, Rieti, 24 agosto 2020 (ANSA//FILIPPO ATTILI PALAZZO CHIGI PRESS OFFICE)
Giuseppe Conte, Rieti, 24 agosto 2020 (ANSA//FILIPPO ATTILI PALAZZO CHIGI PRESS OFFICE)

Mercoledì 2 settembre il governo ha ottenuto alla Camera, con la fiducia, l’approvazione del decreto che proroga fino al prossimo 15 ottobre lo stato di emergenza sanitaria legato alla pandemia da coronavirus. All’interno del decreto – che ora passerà al Senato per l’approvazione definitiva – è stata inserita anche una norma relativa alla durata e alla modalità di proroga degli incarichi dei vertici dei servizi segreti: i direttori delle due agenzie di intelligence (Aise e Aisi) e quello del Dipartimento delle Informazioni per la Sicurezza (Dis).

La decisione di includere la norma ha causato forti critiche in Parlamento anche dentro la maggioranza e il Movimento 5 Stelle, per via della modalità dell’inserimento (senza discussione in Parlamento, con la fiducia e senza l’accordo dell’opposizione, come avviene invece di solito quando si parla di servizi segreti) ma anche per questioni più sostanziali che hanno a che fare con le persone direttamente coinvolte da questa norma.

La norma sulla durata degli incarichi
La legge 124 dell’agosto 2007 attualmente in vigore – che si occupa del «Sistema di informazione per la sicurezza della Repubblica e nuova disciplina del segreto» – stabilisce che l’incarico dei direttori del Dis, dell’Aise e dell’Aisi abbia «la durata massima di quattro anni» e sia «rinnovabile per una sola volta». L’idea alla base di questa norma è che data la delicatezza degli incarichi, il grande potere che gestiscono e le informazioni molto sensibili in possesso dei dirigenti, è consigliabile che nessuno occupi tali ruoli per troppo tempo.

Lo scorso 30 luglio è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale il decreto legge sulla proroga dello stato di emergenza fino al 15 ottobre. Il presidente del Consiglio Giuseppe Conte ne aveva spiegato la necessità elencando i provvedimenti che avrebbero perso efficacia senza il prolungamento. Quando il provvedimento è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale si è però scoperto – il Corriere della Sera è stato il primo a darne notizia – che conteneva anche una norma a cui, fino a quel momento, non era stato fatto alcun riferimento.

«Al fine di garantire, anche nell’ambito dell’attuale stato di emergenza epidemiologica dal Covid-19, la piena continuità nella gestione operativa del Sistema di informazione per la sicurezza della Repubblica, alla legge 3 agosto 2007, n. 124, sono apportate le seguenti modificazioni: le parole “per una sola volta” sono sostituite dalle seguenti: “con successivi provvedimenti per una durata complessiva massima di ulteriori quattro anni”».

Lo stesso significato letterale di questa modifica ha provocato diverse interpretazioni. Secondo alcuni, la formula iniziale “rinnovabile per una sola volta” implicava che fosse consentito un unico rinnovo ma comunque restando dentro il limite massimo dei quattro anni. La nuova norma stabilirebbe quindi che i direttori del Dis, dell’Aise e dell’Aisi potranno ottenere più di un rinnovo dell’incarico, anche oltre i quattro anni previsti inizialmente, per arrivare quindi a un massimo di otto.

Secondo altri, invece, la vecchia norma prevedeva già un mandato complessivo di otto anni: quella nuova non introdurrebbe dunque alcun allungamento degli incarichi. Secondo questa interpretazione la nuova norma stabilirebbe che dopo i primi quattro anni il rinnovo può avvenire non più per ulteriori quattro anni tutti in una sola volta, come stabiliva la norma precedente, ma in più rinnovi di durata più breve. La nuova norma, dunque, darebbe solo la possibilità di modulare diversamente la durata dell’incarico dei vertici dei servizi (che rimarrebbe invariato a un massimo di otto), riducendo e non ampliando la possibilità per i capi dei servizi di rimanere al loro posto, dopo il primo mandato di quattro anni.

La seconda posizione è quella sostenuta dal governo, che ha precisato come la nuova norma si limiti «a introdurre la possibilità che vi siano più provvedimenti successivi di rinnovo dell’incarico, anziché uno solo, senza alcuna modifica del limite massimo temporale di permanenza negli incarichi stessi». La durata, si dice ancora, «rimane quella fissata dalla legge 3 agosto 2007, n. 124, cioè di 4 anni per il primo incarico più un massimo di 4 anni successivi».

In base alle due interpretazioni vengono date letture diverse delle conseguenze della norma stessa (ci arriviamo).

La modalità
In generale, e questo è certo, il modo in cui si è arrivati a questa riforma dei servizi segreti è stato molto criticato, e in maniera trasversale all’interno dei partiti: con un articolo inserito dentro a un decreto che si occupa di altro, senza coinvolgere l’opposizione e nemmeno il Copasir, il Comitato parlamentare competente, e alla fine con un voto di fiducia al decreto stesso. «Le legislazioni sui servizi segreti tradizionalmente vengono concordate tra maggioranza e opposizione con legge ordinaria», ha scritto qualche giorno fa Carlo Bonini su Repubblica.

La critica ha preso forma in un emendamento firmato da 50 deputati del Movimento 5 Stelle, compresi due sottosegretari, Carlo Sibilia (Interno), e Angelo Tofalo (Difesa). L’emendamento, poi decaduto con la fiducia, chiedeva di eliminare dal decreto la parte relativa alla proroga dei vertici dei servizi. Alla fine la fiducia è passata con 276 voti a favore, 194 contrari e un’astensione, ma 28 deputati del M5S non hanno partecipato al voto (tra loro ci sono diversi firmatari dell’emendamento, ma solo in sette hanno ammesso di non aver votato per protesta).

L’emendamento dei 50 deputati del Movimento 5 Stelle è stato interpretato da molti come una mossa per mettere in difficoltà Giuseppe Conte, spesso accusato di centralizzare le decisioni, di aver mantenuto la delega ai servizi segreti e di averla gestita, secondo i critici, in modo poco trasparente. È rilevante in questo contesto che il Movimento 5 Stelle sia il partito di riferimento dello stesso Conte, quello che l’aveva indicato come futuro ministro prima delle elezioni del 2018, quello che lo aveva proposto come presidente del Consiglio dopo le elezioni e di nuovo l’estate scorsa. Secondo i giornali, l’emendamento sarebbe opera di Luigi Di Maio – che vede in Conte una minaccia per la sua leadership – e dei parlamentari a lui più vicini.

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Prima del 2007 il sistema dei servizi segreti civili e militari era affidato a due ministeri, Interno e Difesa. Con la riforma del 2007 si è stabilito che i servizi segreti – coordinati dal Dis, istituito sempre nel 2007 – dovessero rispondere a un’unica autorità: il presidente del Consiglio o l’Autorità delegata.

Il presidente del Consiglio può dunque mantenere la delega ai servizi, ma dal 2007, quando la legge ha introdotto l’Autorità delegata, i presidenti del Consiglio vi hanno fatto ricorso: delegando, appunto, la competenza sui servizi segreti a persone di loro fiducia. La prima Autorità delegata è stata affidata a Gianni Letta (2008-2011), poi a Gianni De Gennaro (2012-aprile 2013), Marco Minniti (maggio 2013-dicembre 2016, per due mandati). La prima eccezione è stata Paolo Gentiloni, che scelse di non assegnare la delega sapendo che si sarebbe andati presto a elezioni. Da Gentiloni in poi, comunque, nonostante a Conte la richiesta sia stata avanzata più volte, l’Autorità delegata non è più stata nominata: la delega è rimasta a Giuseppe Conte.

Oltre la modalità
La presunta “vera ragione” della proroga è stata raccontata da diversi giornali, ma con interpretazioni diverse. Secondo alcuni l’obiettivo sarebbe confermare gli attuali dirigenti, compresi quelli che avevano già ottenuto le proroghe consentite e avrebbero quindi dovuto lasciare il loro incarico. Per questo c’è chi ha parlato di “norma ad personam”.

Secondo i giornalisti più informati su queste vicende – per esempio, appunto, Carlo Bonini di Repubblica – Conte ha un rapporto molto stretto con Gennaro Vecchione, generale della Guardia di Finanza, che ha scelto personalmente – scartando candidati che sembravano più accreditati – alla guida del Dipartimento delle informazioni per la sicurezza (Dis), l’organo che controlla i due principali servizi segreti italiani. Vecchione è stato nominato nel novembre 2018. La nuova norma, se l’attuale governo resterà in carica fino alla naturale scadenza del mandato, potrebbe renderne certa la riconferma.

La riforma però sarebbe stata pensata soprattutto per il capo dell’Aisi Mario Parente, scrivono diversi giornali. Parente – che risulta iscritto nel registro degli indagati per false informazioni nell’inchiesta su Antonello Montante – era stato nominato il 29 aprile del 2016, durante il governo Renzi. Dopo un primo mandato di due anni e un secondo di altri due, il suo incarico era stato rinnovato per un anno lo scorso 15 giugno grazie a un decreto presidenziale. «Una cervellotica e illogica interpretazione della legge 124 (quella istitutiva dei servizi) non rende chiaro» – ha spiegato Bonini su Repubblica – «se sia legittima o meno l’ennesima estensione del mandato» di Parente. E dunque: o si doveva rendere nulla la seconda proroga di Parente all’Aisi, o si doveva «ricorrere a una norma» che rendesse «chiaro che i vertici dei Servizi hanno un mandato complessivamente non superiore agli 8 anni (a prescindere dalla durata e dal numero delle singole proroghe)».

Questa è la strada che avrebbe scelto Conte, inserendo una norma nel decreto che proroga lo stato di emergenza e che, di fatto, porterà a una riconferma di Parente. Chi invece interpreta la nuova norma solo come una possibilità di rendere più flessibile la durata dell’incarico dei vertici dei servizi, dice che l’incarico di Parente non sarà rinnovato in blocco per altri quattro anni, ma potrà essere rinnovato anche solo per un anno.