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  • Sabato 15 agosto 2020

Le proteste in Bielorussia porteranno a qualcosa?

Lukashenko non è mai stato così in difficoltà, ma è ancora difficile pensare che possa lasciare il potere

Una manifestazione sabato 15 agosto a Minsk (AP Photo/Dmitri Lovetsky)
Una manifestazione sabato 15 agosto a Minsk (AP Photo/Dmitri Lovetsky)

Nonostante le ripetute violenze della polizia contro i manifestanti avvenute questa settimana, migliaia di persone si sono radunate sabato nelle strade e nelle piazze di Minsk, la capitale della Bielorussia, per il sesto giorno di proteste contro il presidente Alexander Lukashenko, accusato di aver manipolato il voto di domenica scorsa per ottenere il sesto mandato presidenziale. Svetlana Tikhanovskaya, principale candidata di opposizione alle elezioni, è tornata a farsi vedere venerdì dopo la fuga in Lituania e qualche giorno di silenzio e l’Unione Europea ha diffuso un duro comunicato in cui ha detto di non riconoscere il risultato delle elezioni.

Per la prima volta in ventisei anni, dicono in molti, Lukashenko sembra in seria difficoltà, ma dalla sua parte ha ancora l’esercito e la Russia, e pensare che possa a breve lasciare il potere è ancora difficile.

Ci sono diverse prove a sostegno che le elezioni di domenica scorsa siano state truccate, nonostante non ci fossero osservatori internazionali a seguire le operazioni di voto (di fatto non era stato permesso loro esserci).
Prima delle elezioni, per esempio, le autorità avevano detto che quasi la metà degli elettori aveva votato in anticipo. Si era trattato di un aumento enorme del voto anticipato, che era sembrato molto strano e che lo è diventato ancora di più quando il giorno delle elezioni in molte città del paese si sono formate lunghissime file davanti ai seggi, rendendo poco credibile l’ipotesi che quasi metà degli elettori avesse già votato.

In alcuni seggi dove secondo l’opposizione i voti sono stati contati regolarmente, Tikhanovskaya ha ottenuto più del 60 per cento dei voti, un risultato che conferma un sondaggio trapelato alcuni mesi prima delle elezioni, secondo cui meno di un terzo degli elettori sosteneva ancora Lukashenko. Secondo i risultati ufficiali delle elezioni, però, Lukashenko ha ottenuto più dell’ottanta per cento dei voti e Tikhanovskaya poco meno del 10 per cento: Lukashenko è stato l’unico dei cinque candidati ad accettare questi risultati.

Una manifestazione a Minsk, 10 agosto 2020 (EPA/YAUHEN YERCHAK / ANSA)

In pochi si aspettavano che il voto sarebbe stato regolare e le proteste sono cominciate già domenica quando sono stati diffusi i primi exit poll. La polizia ha reagito con estrema durezza, usando da subito grande violenza contro i manifestanti e arrestandone quasi 7.000 in pochi giorni. Venerdì, circa 2.000 persone sono state finalmente liberate e moltissime di loro hanno raccontato di violenze e torture subite per diversi giorni. Qualcuno ha mostrato i segni delle botte subite, altri hanno raccontato di essere stati chiusi per ore in un furgone dove veniva sparato gas lacrimogeno, molti hanno detto di essere stati costretti a firmare delle confessioni sotto la minaccia di altre violenze.

La stessa Tikhanovskaya, lunedì, è stata tenuta agli arresti per quasi sette ore dopo che si era presentata in tribunale per presentare un reclamo sull’irregolarità delle elezioni. Quando è stata liberata le è stato fatto capire che avrebbe fatto meglio a lasciare il paese e poco dopo Tikhanovskaya ha pubblicato un video in cui, evidentemente costretta a farlo, chiedeva ai suoi sostenitori di interrompere le proteste.

Le proteste contro Lukashenko, nel corso dei suoi 26 anni di governo, ci sono sempre state ma, come ha spiegato il New York Times, questa volta sembrano diverse dal solito. Da subito, le proteste di questa settimana hanno coinvolto anche molte altre città oltre alla capitale Minsk: un fatto raro. E la violenza con cui sono stati trattati i manifestanti ha ulteriormente eroso il sostegno per Lukashenko.

Mercoledì, il famoso presentatore televisivo Yevgeny Perlin ha annunciato le sue dimissioni per protesta contro la repressione delle manifestazioni; più di recente è diventata virale la protesta di alcuni ex soldati che hanno pubblicato video in cui buttavano via le loro vecchie divise, esprimendo vergogna per il comportamento dell’esercito e delle forze di sicurezza. In settimana ci sono stati anche diversi scioperi dei lavoratori delle grandi industrie statali del paese, dove solitamente il sostegno per Lukashenko è alto.

Dopo giorni di violenze, venerdì, al termine di una riunione con i ministri degli Esteri dei paesi dell’Unione Europea, l’Alto rappresentante per gli Affari esteri della UE Josep Borrell ha diffuso un comunicato molto duro nei confronti di Lukashenko. Borrell ha detto che l’Unione «considera falsificato il risultato delle elezioni» e ha anticipato l’approvazione di sanzioni nei confronti dei responsabili delle violenze contro i manifestanti e dei responsabili della falsificazione del voto. Il segretario di Stato statunitense Mike Pompeo aveva precedentemente detto che le elezioni di domenica non erano state «né libere né imparziali».

Il New York Times ha scritto che per la prima volta «Lukashenko sta lottando per la sua sopravvivenza politica, stretto tra le proteste nel suo paese e uno tsunami di critiche internazionali», mentre Bloomberg ha parlato del «pericolo più serio» che Lukashenko sta affrontando in 26 anni al potere. L’Unione Europea ha auspicato l’inizio di un dialogo tra il governo e l’opposizione per risolvere la situazione, e nel suo messaggio di venerdì Tikhanovskaya ha detto di essere pronta ad avviare le trattative con la mediazione della comunità internazionale. Nonostante questo, pensare che la situazione possa risolversi rapidamente con una sua uscita di scena è molto difficile.

Putin e Lukashenko nel 2017 (Tatyana Zenkovich, Pool Photo via AP, File)

In primo luogo, Lukashenko sembra ancora avere il pieno controllo dell’esercito e della polizia del paese. Nonostante qualche episodio in cui la polizia sembra essersi rifiutata di intervenire troppo duramente contro i manifestanti, la risposta brutale alle manifestazioni di questi giorni dimostra che l’apparato di sicurezza bielorusso non ha abbandonato il presidente. Come ha ricordato un editoriale del New York Times, inoltre, a differenza di altri paesi, la Bielorussia non ha forme di potere decentralizzato e tutto è saldamente nelle mani del governo.

Lukashenko è inoltre abbastanza abituato a fare i conti e resistere alla pressione internazionale contro il suo governo. Da quando è al governo non ci sono mai state elezioni libere e le accuse di violazione dei diritti umani nei suoi confronti sono state continue. Eppure le iniziative dell’Unione Europea e le sanzioni imposte al paese sono sembrate largamente inefficaci e con qualche gesto simbolico Lukashenko è anche riuscito negli ultimi anni a fare rimuovere le più gravose. Perché le cose cambino, l’Unione Europea dovrebbe prendere decisioni molto più incisive.

Infine, dalla parte di Lukashenko sembra esserci ancora molto saldamente la Russia, il paese con cui la Bielorussia ha i legami economici e militari più stretti, e quello da cui dipende per gran parte del suo fabbisogno energetico. Il presidente russo Vladimir Putin è stato uno dei pochi capi di stato a riconoscere la vittoria di Lukashenko e quello che negli ultimi giorni – insieme a Xi Jinping, il presidente della Cina – ha mostrato maggiore vicinanza al suo governo.

Lukashenko aveva diffuso pubblicamente una richiesta di aiuto alla Russia, spiegando che controllare le proteste di questi giorni non era importante solo per la Bielorussia: «difendere la Bielorussia oggi significa difendere tutto il nostro territorio, l’Unione statale», l’entità intergovernativa formata da Russia e Bielorussia. Putin e Lukashenko hanno parlato al telefono sabato e poco dopo il Cremlino ha diffuso un comunicato che dice che «entrambe le parti si sono dette fiduciose che i problemi verranno risolti presto», spiegando che «l’obiettivo principale è evitare che forze distruttive possano usare i disordini per rovinare la relazione tra i due paesi».

Nonostante negli ultimi anni i rapporti politici tra i due paesi si siano fatti più tesi, Putin avrebbe ottime ragioni per voler aiutare Lukashenko. Secondo Bloomberg, lo scenario migliore per Putin è quello in cui Lukashenko – dopo aver rovinato i rapporti con l’Unione Europea – si trovi costretto ad accettare l’aiuto della Russia e in cambio anche la maggiore integrazione e il maggior controllo sul paese che negli ultimi anni era riuscito ad evitare.