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  • Sabato 18 luglio 2020

Perché in Catalogna i dati sui nuovi contagi sono tornati così alti

Sono stati individuati diversi focolai, anche nell'area di Barcellona, e secondo alcuni la colpa sarebbe del governo locale

Barcellona (Xavi Torrent/Getty Images)
Barcellona (Xavi Torrent/Getty Images)

La Catalogna, una delle regioni della Spagna più colpite dall’epidemia da coronavirus, sta facendo registrare numeri piuttosto alti di nuovi contagi giornalieri. Venerdì il governo locale ha comunicato 1.111 nuovi casi di positività e ha annunciato la reintroduzione di alcune restrizioni che erano state precedentemente tolte (in Italia il giorno di luglio con più nuovi positivi è stato venerdì 10, con 276 nuovi casi). Le misure hanno riguardato in particolare L’Hospitalet de Llobregat, seconda città catalana per numero di abitanti, che si trova a pochi chilometri dal centro di Barcellona, ma non solo: circa quattro milioni di catalani sono stati invitati a rimanere in casa per evitare un ulteriore peggioramento della situazione.

Secondo gli esperti, parte della responsabilità dell’aumento dei nuovi casi giornalieri di coronavirus in Catalogna sarebbe da imputare al governo locale, che avrebbe messo in fila una serie di errori piuttosto gravi, sbagliando le previsioni sulla cosiddetta “seconda ondata” e non mettendo in piedi un sistema efficiente di tracciamento dei nuovi positivi. Nonostante in diverse zone della Spagna siano stati registrati aumenti di nuovi casi in concomitanza con le riaperture, i dati catalani sono tra i più preoccupanti, insieme a quelli della regione dell’Aragona.

Il governo catalano, che come gli altri governi regionali spagnoli mantiene larga autonomia sulla gestione della sanità, non ha introdotto per tutti l’obbligo di limitare gli spostamenti, ma ha invitato la popolazione a limitare al massimo le uscite da casa. Le zone della Catalogna in cui negli ultimi giorni si è assistito a un aumento significativo di nuovi casi sono state l’area di Barcellona e il Segrià, una delle 12 comarche in cui è divisa la regione, dove sono state introdotte restrizioni più rigide, come il divieto di entrare e uscire da alcuni municipi.

In queste due zone della Catalogna, ha scritto il País, nelle ultime due settimane sono stati registrati diversi focolai attivi: nel Segrià sono stati accertati parecchi nuovi casi positivi tra i lavoratori stagionali che raccolgono la frutta, mentre a L’Hospitalet sono stati individuati focolai in almeno tre quartieri della città. Il governo catalano ha detto che i ricoveri di pazienti affetti da COVID19 negli ospedali della regione hanno ripreso ad aumentare, anche se per il momento l’evoluzione dell’epidemia è diversa da quella osservata a marzo, il mese più critico: la maggior parte dei nuovi positivi è giovane e asintomatica.

La decisione del governo catalano di lasciare ai singoli la responsabilità di rispettare le indicazioni sulle norme da adottare è stata criticata da alcuni esperti. La virologa Margarita del Val ha detto al País che «è meglio fare un passo indietro per tempo, invece che pentirsi poi. C’è sempre una percentuale di persone che se non viene obbligata a rispettare le norme non lo fa». Daniel López Acuña, professore della Scuola andalusa di salute pubblica, ha sostenuto che l’isolamento volontario degli abitanti di Barcellona non funzionerà: «Quello che sta succedendo è come un incendio che si sta espandendo, la priorità dovrebbe essere spegnerlo».

Neus Tomás, vicedirettrice del giornale spagnolo Diario ed esperta di politica catalana, si è chiesta cosa sia andato storto in Catalogna rispetto ad altre regioni della Spagna, dove per il momento non si è registrato un simile peggioramento della situazione, e si è risposta così: «Praticamente tutto».

– Leggi anche: Arriverà una “seconda ondata”?

Tomás ha scritto che il primo errore del governo è stato fare previsioni completamente sbagliate sulla “seconda ondata”, cioè sull’aumento del numero di nuovi casi provocato dalle riaperture. Il governo catalano pensava che la “seconda ondata” sarebbe arrivata verso metà ottobre e avrebbe avuto il suo picco a fine dicembre, e non si era preparato per un nuovo aumento di casi così immediato.

Un altro errore, ha aggiunto Tomás, è stato quello di non assumere figure professionali in grado di tracciare i contatti dei positivi, di modo da isolarli ed evitare la formazione di nuovi focolai. A differenza di altre regioni spagnole, che si sono affidate a operatori all’interno degli ambulatori e del settore della Salute pubblica, la Catalogna si è accordata con Ferrovial, una società che da anni gestisce un call center destinato a questioni sanitarie. Dopo le critiche ricevute, il governo locale ha promesso di rescindere il contratto con Ferrovial – cosa che non è mai successa – e nel frattempo il lavoro di tracciamento è rimasto indietro.

I sindaci delle città più colpite nelle ultime settimane, tra cui quello di Lleida (capoluogo del Segrià) e quella di L’Hospitalet, hanno inoltre criticato il governo catalano per non comunicare ai comuni in maniera tempestiva e puntuale i nuovi casi positivi (una critica simile è stata fatta per mesi dai sindaci della Lombardia alla giunta regionale, accusata di non diffondere i dati sull’epidemia in suo possesso).

Secondo Tomás, la cattiva gestione dell’epidemia in Catalogna sarebbe da imputare anche alle tensioni politiche tra i due principali partiti indipendentisti della regione, che governano insieme: Junts per Catalunya (JxCat), partito di centrodestra a cui appartiene anche il presidente Quim Torra, ed Esquerra Republicana (ERC), partito di sinistra che controlla il dipartimento della Salute. JxCat ed ERC si sarebbero scontrati sulla gestione dell’emergenza, per esempio sull’opportunità di isolare Lleida, provocando un ritardo significativo nella risposta regionale nel momento in cui hanno cominciato ad emergere nuovi focolai.