Una delle poche attività cresciute in Indonesia durante il coronavirus

La vendita di cibo online è cresciuta del 45 per cento dall’arrivo della pandemia, cambiando le abitudini di clienti e ristoranti

di Letizia Montorfano

Sabang, Indonesia (EPA/HOTLI SIMANJUNTAK via ANSA)
Sabang, Indonesia (EPA/HOTLI SIMANJUNTAK via ANSA)

Il 1° luglio il presidente indonesiano Joko Widodo ha deciso la parziale riapertura dei negozi e dei trasporti di alcune delle maggiori città del paese, dopo più di due mesi di restrizioni per contenere il coronavirus. La decisione è stata criticata da alcuni epidemiologi perché i casi accertati di contagio sono ancora molti, ma è stata presa per arginare la crisi dell’economia indonesiana, danneggiata dal blocco del turismo e dalla chiusura delle attività. In questa situazione difficile, c’è un settore che è cresciuto particolarmente: quello degli acquisti online, in particolare dei prodotti alimentari. Secondo uno studio della società di consulenza indiana Redseer, da gennaio a maggio le vendite di cibo online in Indonesia sono aumentate del 45 per cento rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente.

La chiusura dei mercati e dei ristoranti durante la pandemia ha messo in crisi i negozianti, perlopiù proprietari di piccole attività a conduzione familiare. Anche i contadini e i pescatori, che rifornivano di prodotti freschi hotel, ristoranti e supermercati, si sono improvvisamente ritrovati senza clienti. Non potendo tenere aperto il negozio, hanno cucinato i loro prodotti, hanno surgelato i piatti e poi li hanno venduti sui social network. I piccoli imprenditori, abituati a vendere nel quartiere e a ricevere pagamenti in contanti, hanno dovuto cambiare completamente il loro modo di lavorare, preparando cibo da vendere dall’altra parte della città e ricevendo pagamenti online. L’esperimento ha avuto un successo inaspettato e nei primi tempi i ristoratori hanno fatto fatica a gestire i tanti ordini che ricevevano. Per questo molti si sono rivolti alle grandi piattaforme di e-commerce, che potevano contare su una rete di distribuzione efficiente.

Gojek è stata una delle app che hanno sfruttato meglio la situazione. Il co-fondatore Kevin Aluwi ha raccontato al quotidiano cinese South China Morning Post che comprendere e assecondare le abitudini locali è stata la scelta vincente. La piattaforma ha inoltre seguito passo dopo passo l’entrata delle piccole attività familiari nel mondo dell’e-commerce: dalla gestione degli ordini al pagamento online, dal confezionamento alla consegna. È così che Gojek stessa è sopravvissuta alla crisi: durante la pandemia, infatti, molti dei servizi che offriva, come i massaggi e la pulizia della casa, erano stati interrotti dalle restrizioni contro il coronavirus e aveva dovuto licenziare il 9 per cento dei dipendenti. Le richieste di cibo a domicilio erano invece raddoppiate dall’inizio della pandemia e così Aluwi ha deciso di concentrare Gojek in questo settore.

In Indonesia molte persone che non ordinavano cibo online hanno iniziato a farlo durante il lockdown, altre hanno aumentato la frequenza con cui lo facevano. Secondo i dati di Redseer, gli acquisti di cibo online continueranno anche dopo la riapertura del paese e anche gli investimenti di Gojek confermano la convinzione che potrebbe essere un cambiamento duraturo. Dopo una prima fase di assestamento, infatti, le piattaforme e-commerce sono entrate a fare parte della normalità; sono state anche un ottimo ripiego per celebrare la fine del Ramadan, il mese sacro dei musulmani che quest’anno è durato dal 23 aprile al 23 maggio: le famiglie separate dalla quarantena si sono spedite i piatti per festeggiare insieme, anche se lontane.

Questo e gli altri articoli della sezione Il coronavirus in 26 paesi del mondo sono un progetto del workshop di giornalismo 2020 del Post con la Fondazione Peccioliper, pensato e completato dagli studenti del workshop.