Il governo della Tanzania non racconta la verità sull’epidemia da coronavirus

Il presidente ha dichiarato il paese libero dal virus “con l’aiuto di Dio”, ma ci sono motivi per dubitarne

di Marta Segato

Camionisti in coda per il test al confine tra Kenya e Tanzania 
(AP Photo/Brian Inganga)
Camionisti in coda per il test al confine tra Kenya e Tanzania (AP Photo/Brian Inganga)

Secondo gli ultimi dati disponibili dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), con 509 casi confermati e 21 morti su 58 milioni di abitanti, la Tanzania è uno dei paesi africani meno colpiti dal coronavirus. A giugno, dopo aver indetto tre giorni di preghiera collettiva per sconfiggere il virus, il presidente tanzaniano, John Pombe Joseph Magufuli, aveva detto che «con l’aiuto di Dio» il paese era stato liberato. I dati dell’OMS, però, non sono più stati aggiornati dopo il 7 maggio e alcune inchieste giornalistiche hanno messo molto in dubbio che fossero veritieri. Magufuli è sospettato di aver taciuto le reali dimensioni dell’epidemia, arrivando tra le altre cose a organizzare sepolture nascoste di persone uccise dal virus.

In Tanzania il primo caso di coronavirus era stato confermato il 15 marzo, quando un uomo rientrato da un viaggio in Belgio, Svezia e Danimarca era risultato positivo al test. Il governo aveva chiuso le scuole, sospeso il campionato di calcio e introdotto misure di distanziamento fisico. Non erano però state sospese le attività produttive né imposto l’obbligo di isolamento, e il presidente Magufuli si era rifiutato di chiudere chiese e moschee, definendole immuni dal «virus satanico». Ai leader religiosi era stato chiesto di aiutare il governo a far conoscere le disposizioni anti contagio e di continuare a pregare: lo stesso presidente aveva invitato tutti i tanzaniani cristiani e musulmani a pregare Dio per tre giorni così da sconfiggere il coronavirus.

Già dall’inizio dell’epidemia, le autorità tanzaniane non comunicavano quotidianamente i dati sul contagio all’OMS e Magufuli aveva messo in discussione l’utilità di raccoglierli. Con l’intento di screditare i risultati dei test, il presidente aveva raccontato di aver inviato dei campioni di papaya e di capra al laboratorio nazionale di analisi, camuffandoli da campioni umani e ricevendo un risultato di positività al coronavirus. Con questa motivazione aveva in seguito sospeso il responsabile del laboratorio e aperto un’indagine sulla qualità e affidabilità di questi test. L’8 giugno, un mese dopo aver comunicato gli ultimi dati ufficiali sul contagio, Magufuli aveva detto che il paese era stato liberato dal virus «con l’aiuto di Dio»; il 17 giugno era ripartito il campionato di calcio e pochi giorni dopo erano state riaperte le scuole.

Ci sono tuttavia diverse ragioni per pensare che la situazione sia diversa da come l’ha raccontata Magufuli, e che l’epidemia stia effettivamente continuando.
Magufuli ha cercato di tenere sotto controllo la diffusione delle notizie sull’andamento dell’epidemia nel paese, dando alla polizia tanzaniana l’autorizzazione ad arrestare chiunque pubblicasse informazioni sul virus. Amnesty International ha riportato che a diversi giornali e giornalisti è stata revocata la licenza perché avevano diffuso informazioni opposte rispetto a quelle del primo ministro e del governo.

Ad aprile Al Jazeera aveva raccolto diverse testimonianze che raccontavano di quanto la popolazione non si fidasse dei dati riportati dal governo. I testimoni riferivano di ospedali vicini al collasso, famiglie che aspettavano i risultati dei test, morti portati via da casa da uomini del governo senza che i loro familiari sapessero la reale causa della morte. Su Twitter erano stati pubblicati diversi video che mostravano uomini vestiti con tute protettive mentre di notte seppellivano bare.

A fine maggio, al confine con il Kenya, decine di camionisti tanzaniani erano inoltre stati fermati per essere sottoposti ai test e dopo giorni di attesa 150 di loro erano risultati positivi al coronavirus. Il Washington Post ha raccontato che i camionisti avevano passato le quasi due settimane di attesa al confine senza rispettare le regole per evitare il contagio, contribuendo a diffondere il virus.
Oggi non si sa come sia realmente la situazione in Tanzania: non ci sono dati ufficiali aggiornati all’Organizzazione Mondiale della Sanità e non ci sono dichiarazioni ufficiali da parte delle autorità tanzaniane. Le ambasciate dei principali paesi occidentali, tra cui quelle di Italia e Stati Uniti, continuano a non ritenere la situazione nel paese sotto controllo e invitano alla massima attenzione e a viaggiare nel paese solo se strettamente necessario.

Questo e gli altri articoli della sezione Il coronavirus in 26 paesi del mondo sono un progetto del workshop di giornalismo 2020 del Post con la Fondazione Peccioliper, pensato e completato dagli studenti del workshop.