Erdoğan sta sfruttando con successo l’andamento del coronavirus in Turchia

La buona gestione dell’emergenza sanitaria ha consentito al governo turco di portare avanti le proprie ambizioni sia internamente che in politica estera

di Francesco Tucci

(EPA via ANSA)
(EPA via ANSA)


A marzo, quando l’epidemia da coronavirus ha iniziato a diffondersi in diversi paesi del Medio Oriente e dell’Europa, la Turchia veniva indicata come una delle situazioni potenzialmente più critiche, per via della rapidità del contagio in corso: aveva registrato quasi 47.000 contagi nel primo mese di diffusione del virus (per fare un confronto, in Egitto dopo un mese dal primo caso confermato i contagi erano fermi a 576). Oggi invece, con un numero di contagiati di poco superiore a 200.000 e un numero di morti intorno a 5.500, a fronte di una popolazione di 83 milioni di abitanti, la Turchia viene considerata come un modello di successo nella gestione del coronavirus.

Grazie alla solidità del proprio sistema sanitario e a una strategia di tracciamento efficace, la Turchia è riuscita a contenere il bilancio dei contagi e delle morti da Covid-19, la malattia provocata dal coronavirus. Forte di questi risultati, la cui attendibilità viene comunque contestata da una parte dell’opinione pubblica turca, il presidente Recep Tayyip Erdoğan ha cercato di sfruttare l’epidemia per consolidare ancora di più il proprio potere, colpendo oppositori politici turchi e curdi. Allo stesso tempo, ha cercato di rafforzarsi anche in politica estera, per esempio inviando armi e soldati in Libia e ribaltando le sorti della guerra civile in cui la Turchia si è coinvolta maggiormente negli ultimi mesi.

In generale, la strategia di contenimento del coronavirus in Turchia si è basata su un numero di test elevato, sul tracciamento costante dei contagi e sulla veloce presa in carico dei casi positivi. Nonostante la gestione del coronavirus in Turchia sia stata per molti aspetti simile a quella di altri paesi considerati virtuosi nel controllo dei contagi, il caso turco si differenzia per alcune caratteristiche.

Per quanto riguarda il tracciamento delle persone con cui i positivi al coronavirus erano entrati a contatto, la Turchia non ha fatto ricorso a un’app di tracciamento, come accaduto in altri paesi, ma ha utilizzato un approccio che alcuni osservatori hanno definito “ad alta intensità di lavoro”: sono state impiegate su tutto il territorio nazionale circa 6.000 unità mobili di medici in grado di effettuare test a domicilio, di elaborarne velocemente i risultati e di seguire quotidianamente al telefono i contatti delle persone risultate positive. Come ha detto alla BBC la dottoressa Melek Nur Aslan, responsabile per la salute pubblica di un quartiere centrale di Istanbul, «questi piani di tracciamento erano già pronti. Li abbiamo solo tirati giù dagli scaffali e iniziati a usare». Aslan faceva riferimento all’esperienza accumulata in anni di tracciamento e contenimento del morbillo.

Anche le terapie utilizzate negli ospedali turchi per trattare il coronavirus si sono differenziate rispetto a quelle di molti altri paesi. Ne è esempio il ricorso più esteso all’idrossiclorochina, un farmaco antimalarico valutato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) tra i trattamenti contro il coronavirus, ma dall’efficacia e sicurezza ancora incerte. Secondo le testimonianze di alcuni medici turchi raccolte dalla BBC, i buoni risultati di guarigione ottenuti finora ricorrendo all’idrossiclorochina avrebbero consentito di tenere sotto controllo il numero di pazienti ricoverati nei posti letto in terapia intensiva, dei quali tra l’altro la Turchia dispone in grande quantità.

Un’infermiera effettua un tampone all’ospedale Acibadem Altunizade di Istanbul (Chris McGrath/Getty Images)

A fronte dei risultati apparentemente positivi ottenuti nel contenimento del coronavirus, in Turchia non sono tuttavia mancate le critiche alla gestione dell’epidemia da parte del governo, anche riguardo l’attendibilità dei dati ufficiali sull’andamento del contagio. Ad esempio alcuni operatori sanitari di Istanbul, che hanno voluto rimanere anonimi per ragioni di sicurezza, hanno raccontato al quotidiano francese Le Monde come già dalle prime settimane di diffusione del contagio il ministero della Salute turco avesse dato indicazioni di mentire sulla causa della morte dei pazienti positivi al coronavirus: invece che per Covid-19, i medici dovevano indicare altre cause della morte, come per esempio la polmonite.

In generale, alcuni osservatori hanno sottolineato come il governo turco guidato da Erdoğan abbia sfruttato l’occasione offerta dall’emergenza sanitaria per reprimere ulteriormente l’opposizione nel paese, dagli esponenti dei partiti di minoranza al personale medico operante nelle regioni a più alta presenza curda, la minoranza perseguitata storicamente all’interno del paese. In particolare, gli eventi che sono stati più ripresi dai giornali turchi hanno riguardato la rimozione dalla carica di tre parlamentari dell’opposizione e il loro successivo fermo con il pretesto di inchieste giudiziarie in corso a loro carico e la destituzione – e in alcuni casi l’arresto – di numerosi amministratori locali appartenenti ai partiti d’opposizione. Per quanto riguarda il personale sanitario, alcuni medici, specialmente nelle regioni a più alta presenza curda, sono stati invece messi sotto inchiesta “per aver diffuso il panico tra la popolazione locale”, ha riportato Le Monde.

Un altro duro colpo all’opposizione turca è arrivato dall’esclusione dei prigionieri politici dall’amnistia approvata dal parlamento il 14 aprile, che ha portato alla liberazione dalle carceri turche di oltre centomila persone, pari al 35 per cento della popolazione carceraria nazionale. Sono stati ammessi all’amnistia solo i detenuti colpevoli di reati contro la persona, per quanto anche molto gravi, mentre la grande maggioranza dei prigionieri politici nelle carceri turche è detenuta per reati contro lo stato. Negli ultimi quattro anni, infatti, in Turchia il governo di Erdoğan ha arrestato centinaia di migliaia di persone accusate di essere coinvolte nel tentato colpo di stato dell’estate del 2016, con accuse di terrorismo.

L’azione di Erdoğan non si è esaurita sul solo fronte interno. Nonostante l’emergenza sanitaria, la Turchia ha continuato a portare avanti in politica estera il progetto di espandere la propria sfera d’influenza. Nonostante le difficoltà delle prime settimane di diffusione del contagio, per esempio, la Turchia è riuscita ad avviare un programma di distribuzione di aiuti umanitari e di attrezzature mediche ai paesi occidentali maggiormente colpiti dal virus, tra cui Italia, Spagna, Regno Unito e Stati Uniti. Secondo l’Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (ISPI), il think tank più influente in Italia tra quelli che si occupano di vicende internazionali, l’obiettivo di Erdoğan era quello di accreditarsi di nuovo come un partner affidabile di fronte ai paesi europei e agli Stati Uniti.

Inoltre, la Turchia non è arretrata rispetto alle proprie priorità in Siria, cioè il contenimento dell’esodo dei profughi siriani in territorio turco, la messa in sicurezza della provincia siriana di Idlib, e il fallimento del dialogo tra le diverse fazioni curde che operano tra Siria, Turchia e Iraq.

Ma l’azione più importante intrapresa dalla Turchia nei mesi scorsi riguarda l’intervento militare in Libia, dove Erdoğan è riuscito ad invertire le sorti del conflitto in favore del governo guidato da Fayez al Serraj, con sede a Tripoli e appoggiato dall’ONU.
Grazie all’invio da parte della Turchia di oltre tremila miliziani provenienti dal fronte siriano e di attrezzature militari avanzate, come i droni, le milizie fedeli a Serraj hanno non solo respinto l’avanzata verso Tripoli del maresciallo Khalifa Haftar, il principale avversario di Serraj, ma gli hanno sottratto anche diverse postazioni strategiche, come la cittadina di al Asaba a un centinaio di chilometri a sud di Tripoli. L’intervento della Turchia in Libia in appoggio di Serraj ha complicato ulteriormente il conflitto, che vede coinvolti numerosi paesi come la Russia, l’Egitto e gli Emirati Arabi Uniti, che sostengono il maresciallo Haftar. Inoltre, l’ingresso della Turchia nella guerra libica ha portato all’inizio di nuove tensioni internazionali: ad esempio, nelle ultime settimane si sono particolarmente deteriorate le relazioni tra Turchia e Francia, quest’ultima sostenitrice di Haftar, a causa di presunte aggressioni nel corso di operazioni navali di ispezione al largo della costa libica.

Questo e gli altri articoli della sezione Il coronavirus in 26 paesi del mondo sono un progetto del workshop di giornalismo 2020 del Post con la Fondazione Peccioliper, pensato e completato dagli studenti del workshop.