Il coronavirus sta complicando la politica in Etiopia

Il primo ministro vincitore del Nobel per la Pace ora è accusato di scelte autoritarie e antidemocratiche

di Beatrice Atzori

(ANSA)
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Da diversi mesi in Etiopia c’è un acceso confronto politico dovuto al rinvio delle elezioni parlamentari previste per agosto, deciso a fine marzo dalla Commissione elettorale a causa dell’epidemia da coronavirus.

Il primo ministro Abiy Ahmed Ali – Nobel per la Pace nel 2019 per avere promosso la pacificazione con l’Eritrea – è stato accusato dai suoi oppositori di volere sfruttare l’emergenza per estendere il proprio controllo, in una fase delicata per l’economia e il sistema sanitario dell’Etiopia. Secondo le proiezioni della Banca Mondiale, la crescita del PIL passerà dal 9 per cento dell’anno scorso al 3,2 per cento di quest’anno, il dato più basso dal 2003. Tra i settori più in difficoltà ci sono le esportazioni – soprattutto quelle di fiori di cui l’Etiopia è grande produttore – e il trasporto aereo.

Anche all’interno della coalizione di governo ci sono state proteste per questa decisione. Per esempio, la portavoce della Camera alta e funzionario del Fronte di Liberazione del Tigrè (TPLF), Keria Ibrahim, ha dato le dimissioni dicendo di non essere “intenzionata a collaborare con un gruppo che viola la Costituzione ed esercita la dittatura”. Il TPLF, partito d’ispirazione marxista e con un forte peso nella coalizione di governo, ha inoltre minacciato di organizzare autonomamente delle elezioni nella regione del Tigrè, al confine con l’Eritrea.

Contemporaneamente, i due più importanti partiti dell’opposizione rappresentanti della popolazione oromo (il maggiore gruppo etnico dell’Etiopia, che costituisce circa un terzo della popolazione e che in passato aveva subìto pesanti repressioni) hanno rilasciato una dichiarazione congiunta con la quale hanno respinto il rinvio delle elezioni definendolo “un atto illegale e illegittimo”.

Le tensioni si sono ulteriormente acuite a fine giugno in seguito all’uccisione ad Addis Abeba di Hachalu Hundessa, cantante di protesta oromo. Il sospetto che si sia potuto trattare di un assassinio politico ha portato a nuovi disordini nella regione di Oromia, nei quali sono morte decine di persone. Il governo ha poi deciso di bloccare l’accesso a Internet per cercare di contenere le proteste.

Il primo caso di coronavirus in Etiopia era stato accertato il 13 marzo. Oggi i casi totali rilevati sono oltre settemila e ci sono stati più di 120 morti, su un totale di 109 milioni di abitanti. Sebbene i dati siano sicuramente parziali, per la difficoltà di censire tutti i contagi, l’Etiopia sembra abbia avuto finora minori difficoltà rispetto ad altri paesi africani: secondo l’OMS la pandemia ha ormai comportato più morti in Africa di quanti ne avesse causati Ebola tra il 2014 e il 2016.

In una lettera aperta al Financial Times il primo ministro Abiy Ahmed Ali ha spiegato che il ricorso al servizio sanitario da parte della popolazione dell’Etiopia è piuttosto basso, che per la metà della popolazione è difficile rispettare anche pratiche basilari – come lavarsi le mani – e che avere l’acqua pulita è un lusso inaccessibile a molti. All’inefficienza del sistema sanitario si aggiunge anche il problema dei campi profughi nei quali vivono soprattutto rifugiati eritrei e dove si teme che si possano verificare nuovi focolai.

Le limitazioni agli spostamenti dei lavoratori, la chiusura forzata delle imprese e la chiusura dei mercati sono alcune misure di contenimento del contagio che hanno interessato le imprese. Il 6 giugno, la Banca mondiale ha pubblicato un documento che analizza i risultati di un sondaggio telefonico sull’impatto di COVID-19 nei confronti delle imprese etiopi ad Addis Abeba. Queste aziende hanno segnalato che la pandemia ha influenzato le loro attività principalmente attraverso una sostanziale diminuzione della domanda per i loro prodotti o servizi.

Ad esempio il mercato dei fiori, di cui l’Etiopia è il secondo esportatore in Europa, è in grave crisi. Secondo l’Associazione Internazionale del commercio dei fiori Union Fleurs prima della pandemia il mercato globale dei fiori recisi valeva 13 miliardi di dollari all’anno e secondo le stime dell’Associazione delle esportazioni dei produttori di orticoltura etiope il settore ha fatturato solo in Etiopia 280 milioni di dollari nell’ultimo anno fiscale.
Nel paese il settore dell’orticoltura impiega quasi 200mila persone e comprende 26 progetti di investimento per l’esportazione di fiori, frutta, verdura ed erbe. Secondo la Commissione economica per l’Africa a marzo 2020 l’industria dell’orticoltura etiope aveva già perso 11 milioni di dollari mettendo a rischio il lavoro di 150mila persone.

La pandemia ha avuto un impatto significativo anche su Ethiopian Airlines, la più importante compagnia aerea africana che, da sola, rappresenta il 3 per cento del prodotto interno lordo etiope. Il problema deriva dal calo del turismo che costituisce l’8,5 per cento dell’economia africana e che era sceso significativamente già prima dell’annuncio delle restrizioni per poi arrestarsi del tutto con i lockdown nelle città europee, americane e asiatiche.

Questo e gli altri articoli della sezione Il coronavirus in 26 paesi del mondo sono un progetto del workshop di giornalismo 2020 del Post con la Fondazione Peccioliper, pensato e completato dagli studenti del workshop.