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  • Giovedì 2 luglio 2020

Le proteste statunitensi hanno fatto aumentare i contagi?

Per ora sembra di no, scrive il New York Times citando varie ragioni: ma è ancora presto per dirlo con certezza

(AP Photo/John Minchillo)
(AP Photo/John Minchillo)

A distanza di circa un mese dall’inizio delle estese proteste contro il razzismo e le violenze della polizia negli Stati Uniti, il New York Times ha provato a rispondere a una  domanda che soprattutto nei primi giorni delle manifestazioni si erano fatti un po’ tutti: è possibile che l’affollamento di migliaia di persone che si trovavano contemporaneamente nello stesso posto possa aver favorito la diffusione del coronavirus?

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Al momento, scrive il New York Times, non ci sono dati certi per sostenere che le proteste abbiano influito sull’aumento di casi registrato nelle ultime settimane. È vero che potrebbero emergere in futuro, ma per ora ci sono diversi elementi – legati perlopiù alla città di New York, dove le proteste sono state molte e i nuovi contagi pochi – che fanno pensare che le manifestazioni non siano state una rilevante occasione di contagio, e che non abbiano a che fare con il recente aumento dei contagi negli Stati Uniti.

La prima ragione è che le proteste sono iniziate quando il primo picco dei contagi era passato. Il giorno precedente alla prima manifestazione, il 27 maggio, erano stati individuati 1.374 casi positivi a New York. Il dato, in calo da giorni, ha continuato comunque mediamente a scendere, e negli ultimi giorni si è assestato intorno a 500-600 casi. Una possibile spiegazione è che il lockdown deciso a marzo «abbia funzionato», scrive il New York Times: «e quando le proteste sono iniziate più di due mesi dopo, il virus non era così diffuso in città come lo era all’inizio delle restrizioni», tanto che incontrare un caso positivo per strada era diventato molto più raro rispetto a marzo.

Questo non significa che alle proteste non abbia partecipato anche qualche persona infetta, probabilmente a propria insaputa: in Minnesota uno studio realizzato su alcuni manifestanti ha trovato che l’1,5 per cento di loro era positivo al momento delle proteste, mentre una ricerca simile condotta in Massachusetts ha stimato che i manifestanti positivi erano circa il 3 per cento del totale. Insomma, non tutte le città potrebbero essersela cavata bene come New York. Allo stesso tempo, però, «un risultato positivo non indica necessariamente che una persona sia per forza contagiosa», ricorda il New York Times, lasciando intendere che alcuni dei manifestanti erano probabilmente in fase di guarigione o privi di sintomi quando sono stati testati, e quindi probabilmente meno contagiosi.

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Potrebbe inoltre aver limitato il contagio il fatto che le manifestazioni si siano tenute all’aperto, in alcuni casi in piazze o strade molto ampie: sappiamo che il coronavirus si diffonde più facilmente in un ambiente chiuso, dove i droplet di saliva o muco hanno meno possibilità di dissiparsi e dove tutti respirano la stessa aria per ore, mentre all’aperto i droplet si disperdono o asciugano più facilmente. Spesso, peraltro, le manifestazioni prevedono cortei e marce: dunque i partecipanti difficilmente respirano la stessa aria per più di qualche secondo.

«Questo non significa che non ci siano rischi nell’aggregarsi a una folla», dice Howard Markel, medico e storico della medicina che insegna alla University of Michigan. Markel sostiene che va presa in considerazione l’ipotesi più prudente secondo cui i manifestanti di New York abbiano semplicemente avuto «moltissima fortuna».

Può avere aiutato, invece, il fatto che moltissimi manifestanti abbiano partecipato alle proteste indossando una mascherina: moltissimi organizzatori distribuivano mascherine e gel disinfettante, e raccomandavano per quanto possibile di mantenere le distanze anche nei momenti più concitati. «Ad oggi le prove che abbiamo indicano che, se le persone rispettano le precauzioni, le manifestazioni di massa produrranno un aumento dei casi, ma non in dimensioni enormi», ha sintetizzato sul Guardian Ashish Jha, direttore dello Harvard Global Health Institute.

Una delle foto circolate di più durante quei giorni, peraltro, mostra Alexandria Ocasio-Cortez, giovane e celebre deputata eletta proprio a New York, che distribuisce mascherine a un angolo della strada durante una manifestazione.

Alcuni scienziati, però, rimangono piuttosto prudenti sull’esprimere certezze riguardo a cose successe meno di un mese fa, e che in alcune città hanno preso piede più tardi. «Una delle ragioni citate è l’età di molti manifestanti: la fascia dei giovani adulti è la meno colpita da forme gravi della malattia e ricoveri», scrive il New York Times: e di conseguenza, ci vorrà ancora qualche tempo prima di capire se avranno contribuito alla diffusione del contagio, per esempio tramite contatti con i propri genitori o parenti anziani che invece dovranno essere ricoverati in ospedale. «Lo sapremo in un paio di settimane», aveva ipotizzato la scorsa settimana Florian Krammer, un virologo che lavora per la Icahn School of Medicine di New York.