Lavarsi troppo fa male?

Non parliamo delle mani, ovviamente, ma di quasi tutto il resto: saponi e cosmetici possono danneggiare i nostri sistemi di difesa

Il medico e giornalista scientifico James Hamblin, che da tempo anche sui giornali si occupa di igiene e pulizia personale, ha scritto un articolo sull’Atlantic per spiegare che lavarsi troppo non fa bene, poiché danneggia le popolazioni di microorganismi “buoni” che vivono sulla nostra pelle. Partendo dalla premessa che non sembra essere il momento più adatto per mettere in discussione il lavarsi – e in ogni caso non si parla delle mani, dei genitali e delle ascelle – Hamblin scrive che la pandemia potrebbe essere un’occasione per capire quali pratiche di pulizia siano per noi salutari e quali meno.

L’altra premessa è che la concezione di pulizia si è evoluta nel tempo, arrivando oggi ad offrire dozzine di prodotti mirati per genere, età e tipo di pelle. Ma è anche aumentata l’incidenza delle reazioni immuno-correlate della pelle, come eczema o psoriasi, nonostante l’esistenza di nuovi farmaci e prodotti per curarle. Sappiamo anche che ci sono batteri con i quali conviviamo e che sono utili al nostro organismo.

La pelle è il nostro organo più esteso e costituisce la prima difesa dell’organismo contro le aggressioni esterne. Tra le funzioni della pelle c’è infatti fare da barriera nei confronti di tutta una serie di cose con cui veniamo in contatto quotidianamente: batteri, virus, funghi, sostanze di vario genere (comprese quelle inquinanti che sono nell’aria delle città) e raggi solari. Per questo si parla di barriera cutanea: è resa possibile in particolare da un misto di acqua e lipidi (cioè grassi), il film idrolipidico o mantello acido, che viene prodotto dalle ghiandole sebacee e sudoripare. La nostra pelle, però, è a sua volta abitata da milioni di microorganismi (batteri, funghi e virus), che vivono al suo interno e negli strati superficiali: convivono in perfetta simbiosi e interagiscono con il nostro sistema immunitario. Questo insieme di microorganismi è chiamato microbiota cutaneo.

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Hamblin cita la scoperta di un acaro che vive sulla superficie della nostra faccia, il Demodex, che ha un ruolo nello sviluppo della rosacea, ma che ha anche un’utilità: Michelle Trautwein, della California Academy of Sciences e co-autrice dello studio sul Demodex, pensa che si nutra delle cellule morte della nostra pelle, e che sia dunque un esfoliante naturale efficace.

Un altro esempio: lo Staphylococcus epidermidis è un batterio che vive naturalmente sulla nostre cute e che potrebbe avere un ruolo nella protezione dalle neoplasie cutanee. Questo ceppo di batteri produce infatti una sostanza chimica in grado di uccidere diversi tipi di cellule tumorali, senza risultare tossico per le cellule normali.

Le implicazioni di tutto questo e le nuove conoscenze, dice Hamblin, avranno probabilmente un impatto sulla concezione tradizionale che abbiamo dei batteri, sull’idea cioè che siano sempre associati a una malattia e che vadano eliminati. E avranno delle conseguenze anche nel modo in cui ci prendiamo cura della nostra pelle.

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Se si compromette la barriera cutanea e se, con i saponi e gli altri prodotti chimici che usiamo per la pulizia del corpo, finiamo per eliminare anche i “batteri buoni”, la pelle diventerà sempre più sensibile, irritata, senza elasticità e senza protezioni naturali. E se questo accade sarà più facile che possano insorgere altri problemi.

Sandy Skotnicki, microbiologa e assistente di dermatologia all’Università di Toronto, sostiene che lavarsi troppo crei, ad esempio, un ambiente favorevole per l’eczema, nelle persone con una predisposizione genetica a quella malattia. Non solo. La comparsa di eczema nella prima infanzia è considerata il fattore scatenante della cosiddetta “marcia atopica” che, durante la crescita, si manifesta con forme diverse e può portare allo sviluppo di asma e rinite allergica, allergia alimentare e altre cose ancora.

Un microbiota cutaneo squilibrato, spiega Hamblin, non è comunque solo il risultato di troppi lavaggi e prodotti. Siamo continuamente esposti a conservanti con proprietà antimicrobiche, come i parabeni, che sono utilizzati in molti prodotti per l’igiene e la cosmesi e nei cibi confezionati. In piccole quantità sono innocui, ma le cose si complicano con l’accumulo per un tempo prolungato. «Praticamente tutti noi ora abbiamo parabeni nel nostro sangue o sulla nostra pelle che distruggono una vasta gamma di batteri e funghi. Quindi la questione non è se i parabeni abbiano alterato i nostri microbi, ma quanto questo abbia conseguenze». È stato dimostrato per esempio che i prodotti contenenti parabeni possono bloccare la crescita di un batterio che può uccidere un altro batterio che ha a a sua volta a che fare con l’eczema.

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Oggi si sta sperimentando la “batterioterapia” per curare alcune malattie esistenti. Ma secondo la genetista Julie Segre, che nel 2012 ha pubblicato le prime mappe della diversità batterica e fungina della pelle umana, al momento non si deve insistere sui probiotici (cioè sui batteri stessi) ma sui prebiotici, sulle sostanze che favoriscono la crescita e l’attività di alcune specie batteriche importanti per la nostra salute, che già ci sono.

Stare all’aria aperta, conclude Hamblin, è fondamentale per costruire e mantenere un microbiota della pelle sano. La pandemia ha limitato il nostro tempo all’aperto e all’esposizione reciproca. Per ora, l’igiene mirata come il lavarsi spesso le mani e il distanziamento fisico sono fondamentali. Ma la distruzione di tutti i nostri microbi non è sempre una cosa positiva: «Per lo meno», dice, «stiamo iniziando a imparare a non toccarci il viso. E i nostri acari ce ne saranno probabilmente grati».