Una canzone di Daniel Lanois

Di treni che non passeranno più: ma magari passerà qualcos'altro

(Charley Gallay/Getty Images for Art Los Angeles Contemporary)
(Charley Gallay/Getty Images for Art Los Angeles Contemporary)

Mickey Guyton è una cantante country, nera: sulla fatica che ha dovuto fare lei ha appena pubblicato una canzone – onesta, prevedibile, niente di che – con un bel paio di versi:
If you think we live in the land of the free
you should try to be black like me.

Oggi compie 60 anni Mick Hucknall dei Simply Red, che nel loro umile spazio mai ritenuto abbastanza nobile hanno fatto gran belle canzoni.
La serie The defiant ones di cui ho tessuto le lodi qualche giorno fa (non è nuova, ma io me l’ero persa) parla d’altro, ma a un certo punto parte la solita chitarra di The edge su Where the streets have no name e insomma che roba pazzesca fu quel disco e quella chitarra (vedi anche I still haven’t found), e ruba la scena di nuovo a tutti. Quel disco comunque lo produssero Brian Eno e Daniel Lanois. Ora ci arriviamo.
Amazon ha di nuovo un po’ di copie di Playlist, per chi aveva chiesto.

Death of a train
“Captain” è una parola che ha un bel suono, in inglese. Quell’apparente scontro di pi e di ti, si risolve bene, a pronunciarlo, inghiottendo anche la enne finale: e le canzoni ne approfittano spesso. Provo a pensare al ruolo della parola “capitano” nei versi delle canzoni italiane, e mi viene in mente poco: I muscoli del capitano di De Gregori (bellissima), sorvolerei su Facchinetti, il Capitan Uncino di Bennato che però veniva da altrove, qualcos’altro ai margini. Invece in inglese circola di più, credo proprio per il suono: quella canzoncina formidabile che era The captain of her heart doveva molto al piacere di snocciolare quel titolo tutto attaccato. E Captain Jack di Billy Joel, o l’autocitarsi di Captain Sensible in Wot!, Wanderlust di Paul McCartney, Captain of a shipwreck di Neil Diamond, solo per dirne alcune.

Suona benissimo anche come lo proclama Daniel Lanois:
Hey there captain, is that you
Could you tell me, tell me what to do
I been twenty years on that Sault line
We don’t ride your train no more

Lui è stato uno degli uomini più importanti della musica degli anni Ottanta e Novanta, quelli che poi un giorno li scoprite in un documentario di Netflix e dite “wow”. Ha prodotto dischi di Peter Gabriel, U2, Bob Dylan, e di molti altri, lavorato spesso con Brian Eno e fatto dischi suoi. Uomo di chitarre e bassi, il suono degli U2. È canadese e ora ha 68 anni: ha fatto diversi dischi suoi, e il secondo, del 1993, aveva un bel titolo (For the beauty of Wynona) e un po’ di bei pezzi, tra cui questo.
È una ballatona a tempo di valzer – echeggiante come a Lanois piace spesso – che va crescendo mentre lui ripete le quartine e alla fine ci dà dentro di chitarra e batteria, e che riflette amaramente sulla dismissione di una storica stazione e linea ferroviaria canadese, e sulla parallela dismissione di speranze politiche di maggiori scale. “Quel treno è passato” è una metafora che ci siamo trovati spesso a usare anche qui, con amici con cui avevamo condiviso certe speranze dieci anni fa. Qui c’è una citazione nostalgica del primo ministro Trudeau, il padre di Justin.
Hey, Pierre Trudeau, oh where are you?
My friend to lead us through
These hard times, oh so much confusion
I don’t hear your train no more

Death of a train su Spotify
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