Una canzone di Waxahatchee

Sul cambiare tutto e decidere che non c'è bisogno di vivere male e sofferenti per fare buona musica

(Dia Dipasupil/Getty Images for Vulture Festival)
(Dia Dipasupil/Getty Images for Vulture Festival)

Qualche anno fa in un’accogliente valle valdostana che ho frequentato a lungo si sparse una divertita eccitazione tra noi late boomers per l’arrivo di Tony Hadley, misteriosamente arrivato a girare un video. Genera sempre delle simpatie al ricordo, forse per quell’aria da bietolone, da Rock Hudson dei poveri, malgrado gli Spandau Ballet non abbiano avuto alla lunga la tenuta dei Duran Duran o altri: ma quel paio di gran canzoni lo fecero. Oggi lui ha compiuto 60 anni.
Un video di Fred Astaire a 70 anni, rassicurante per tutti.

St. Cloud
Una canzone nuova, ogni tanto. Lei si chiama Katie Crutchfield, ha 31 anni, è dell’Alabama e si è data un nome che è un toponimo dei suoi posti, Waxahatchee. Ha fatto cinque dischi, alcune cose con sua sorella gemella Alison e altre col suo fidanzato che si chiama Kevin Morby ed è anche lui un cantautore di qualche fama (questa è una canzone non male dal suo disco dell’anno scorso).
L’ultimo disco “di” Waxahatchee (di, dei, delle: sempre ‘sta cosa di che articolo o preposizione usare con le band di una persona sola, figuriamoci se quella persona è femmina) è uscito due mesi fa ed è dedicato ai problemi di Crutchfield con gli alcolici, superati un giorno del 2018 a Barcellona durante il festival Primavera Sound in cui si disse “ora basta”. Il disco ha avuto ottime recensioni e apprezzamenti, e l’ultima canzone si chiama come il disco. Suona come una conclusione sulle tristezze della dipendenza e sulla speranza di uscirne, in cui nessuna delle due cose annulla banalmente l’altra. Ma lei ha raccontato che è anche un più generale racconto di periodi diversi, e della nostalgia di piccoli posti americani che non siano troppo luogo comune (St. Cloud è un quartiere periferico di Orlando da dove veniva suo padre).
If you burn slow, burning slow
On your own roof, yell what you know
Burning slow, burning slow
Burning slow, burning slow
And when when I go, when I go
Look back at me, embers aglow
When I go, when I go
When I go, when I go

Inizia subito che è una bellezza, con lei che spiattella lì poche sillabe alla volta, con un incedere lento e inesorabile mediato dal duddurù che replica la strofa e dal pianoforte sullo sfondo. Non arriva nessun ritornello, e va bene così: si basta.
Burning slow, burning slow
Burning slow, burning slow

Se non vi rimane addosso alla prima, insistete.

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