A cosa serve la carta più sottile al mondo

Si chiama tengujo, è spessa 0,02 millimetri e si produce solo in una fabbrica in Giappone

Carta tengujo usata agli Archivi nazionali del Giappone nel 2013
(EPA/EVERETT KENNEDY/ANSA)
Carta tengujo usata agli Archivi nazionali del Giappone nel 2013 (EPA/EVERETT KENNEDY/ANSA)

La carta più sottile al mondo si chiama tengujo ed è prodotta dall’azienda Hidaka Washi in una fabbrica nella provincia giapponese di Kochi, circa 650 chilometri a sud di Tokyo. La versione più sottile e leggera di tengujo, racconta il New York Times, è spessa quanto una singola fibra dell’albero di gelso, da cui si ricava: 0,02 millimetri, meno della pelle umana. Finora nessuna industria al mondo è riuscita a riprodurla.

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Hiroyoshi Chinzei è il proprietario di Hidaka Washi, che venne fondata dal suo bisnonno nel 1949, e che si occupa da allora di tengujo. Spiega che gli ingredienti per produrla sono pochi e facilmente reperibili e il processo «non è particolarmente speciale e segreto». Il risultato però, scrive sempre il New York Times, «è quasi magico: le fibre si intrecciano insieme in un reticolo impalpabile che ha quasi la sostanza dello spazio vuoto; quello che da bagnato è un foglio bianco diventa, asciugandosi, quasi del tutto trasparente». La sua leggerezza e diafanità la rendono ideale soprattutto per restaurare i libri antichi, ma è impiegata anche come carta velina, per porte scorrevoli, paralumi e divisori.

La prima versione di tengujo, derivata sempre dalla fibra di gelso di alta qualità e più spessa dell’attuale, venne inventata nella provincia giapponese di Gifu, considerata il luogo di nascita della carta giapponese. Era già presente nel periodo Muromachi (1336-1573 d.C.), mentre nel periodo Edo (1603-1868 d.C.) era utilizzata per le xilografie, nella carta da lucido e come supporto. A metà Ottocento, il cartaio Yoshii Genta si dedicò a studiarne la lavorazione e ottenne un tipo di foglio tengujo di grandi dimensioni, ma spesso soltanto 0,3 millimetri. Da allora il metodo cambiò soltanto negli anni Sessanta, con l’introduzione dei macchinari.

Il tengujo viene prodotto dagli steli di kozo, l’albero di gelso. Per prima cosa gli steli vengono ripuliti accuratamente da sporcizie e imperfezioni e poi immersi in fusti di acqua calda mescolata con una soluzione lievemente alcalina, che libera le fibre del gelso e le ripulisce ulteriormente. Il processo richiede diversi giorni e cinque diverse fasi di pulitura.

Una volta che le fibre sono districate, i fili di fibra polposa vengono immersi in vasche di acqua e neri, un liquido denso e viscoso estratto dalla pianta di tororo-aoi, conosciuta come Ibisco del tramonto. Il neri addensa la soluzione e rende le fibre elastiche e gommose, permettendo di romperle ancora in lunghi filamenti bianchi. A quel punto i filamenti vengono tolti dall’acqua e distribuiti uniformemente su uno schermo; vengono ulteriormente massaggiati, appiattiti e allargati fino a raggiungere la consistenza di una ragnatela. Una volta che si sono asciugati, i fili vengono tessuti insieme, fino a formare un delicato e traslucido foglio di carta.

La carta tengujo viene usata soprattutto nella conservazione archivistica: è «il modo probabilmente più delicato per rafforzare qualsiasi cosa», ha spiegato Soyeon Choi, responsabile della Conservazione della carta allo Yale Center for British Art, in Connecticut. Choi, racconta il New York Times, se ne serve in continuazione, come nel caso recente in cui ha restaurato una lettera scritta nel 1753 da Eliza Pinckney, un’importante studiosa americana di agricoltura. In corrispondenza di alcune lettere, l’inchiostro aveva eroso la carta in minuscoli strappi e forellini: era quasi invisibile a occhio nudo ma rendeva difficoltosa la lettura e minacciava di peggiorare nel tempo. Choi l’ha restaurata applicando delle striscioline di carta tengujo con un adesivo attivato dall’etanolo: le due carte si sono fuse con una leggera pressione.

La carta usata da Choi è del tipo più sottile, quello spesso 0,02 millimetri. Venne commissionato a Hiroyoshi Chinzei sei anni fa dall’Archivio nazionale del Giappone, che gli chiese di sviluppare una carta che pesasse 1,6 grammi al metro quadrato, più sottile e leggera di qualsiasi altra al mondo. Chinzei ci mise due anni di errori e tentativi, suoi e dei suoi collaboratori, calibrando di volta in volta la perfetta pressione sulla carta, la velocità della miscelazione e la densità della fibra e del neri nell’acqua. Ora è la stessa usata per restaurare la carta negli archivi e nei musei più importanti al mondo, come la Library of Congress, cioè la biblioteca del Congresso americano, il Louvre di Parigi, il British Museum di Londra e i Musei Vaticani.

Il restauro con la carta tengujo negli Archivi nazionali del Giappone a Tokyo, 2013
(EPA/EVERETT KENNEDY BROWN/ANSA