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  • Sabato 9 maggio 2020

Un calcio diverso, il calcio del Brentford

Dopo essere stata all'avanguardia nell'uso delle statistiche, la squadra della periferia londinese si sta avvicinando alla Premier League

di Pietro Cabrio

Il nuovo stadio del Brentford a Londra (Andrew Redington/Getty Images)
Il nuovo stadio del Brentford a Londra (Andrew Redington/Getty Images)

A fine maggio la squadra di calcio inglese del Brentford avrebbe dovuto giocare per l’ultima volta al Griffin Park di Londra, lo stadio che ha ospitato le sue partite per 116 anni. Il Griffin Park è un tipico stadio inglese di periferia che in oltre un secolo di storia non ha perso il suo fascino e le sue particolarità, come i pub ai suoi quattro angoli. Nonostante questo, non è più adatto alle esigenze e alle ambizioni del club, che presto si trasferirà nel nuovo Community Stadium.

Negli ultimi dieci anni il piccolo e poco conosciuto Brentford è riuscito infatti a scalare i livelli del campionato inglese giocando un calcio diverso dagli altri, grazie a scelte coraggiose e anticonformiste. Sotto l’attuale proprietà il Brentford è stato l’avanguardia del calcio pianificato con nuovi metodi di analisi statistiche, una pratica che si è poi diffusa in tutto il continente.

I lavori al Community Stadium (Andrew Redington/Getty Images)

Qualcuno forse si ricorderà del Midtjylland, la giovane squadra danese che nel 2016 riuscì a battere il Manchester United ai sedicesimi di UEFA Europa League dopo aver vinto il suo primo titolo nazionale, e che in pochi avevano visto arrivare. Già allora il Midtjylland era di proprietà di Matthew Benham, considerato l’alter ego calcistico di Billy Beane, il general manager degli Oakland Athletics la cui visione innovativa del baseball attraverso l’uso delle statistiche costrinse tutte le altre squadre a riconsiderare i loro metodi di valutazione (e che poi ispirò un libro di successo e il film Moneyball).

Due anni prima di comprare il Midtjylland affidandolo poi a Rasmus Ankersen, ex calciatore danese esperto di statistica dello sport, Benham aveva acquistato il Brentford, squadra per la quale faceva il tifo fin da bambino. Veniva però da una dimensione completamente diversa da quella calcistica: laureato in fisica a Oxford, la più antica università anglosassone, nei primi anni Novanta, dopo aver lavorato nella finanza, fu uno dei vicepresidenti di Bank of America.

Dalla finanza, negli anni Duemila si spostò nel settore del gioco d’azzardo britannico, sia come scommettitore professionista che come imprenditore. Inizialmente lavorò per il gruppo Premier Bet di Tony Bloom, probabilmente lo scommettitore più famoso del Regno Unito e attuale proprietario del Brighton Albion in Premier League. Acquisita più esperienza nel settore – alcuni parlano anche di cattivi rapporti con Bloom – Benham lasciò Premier Bet e fondò SmartOdds, società di consulenza per scommettitori professionisti. Secondo l’ultimo bilancio, SmartOdds ha un giro di affari annuo di circa 12 milioni di sterline.

Benham è presente a tutti i livelli nel mondo del gioco d’azzardo: fornisce consulenze agli scommettitori professionisti, lui stesso è uno scommettitore professionista e dal 2011 gestisce l’agenzia di scommesse Matchbook. I volumi di affari delle sue società sono noti, ma per forza di cose non sono note le formule e le strategie che le hanno fatte diventare due attività di successo, né si conoscono i suoi guadagni da scommettitore privato. Viene descritto come uno degli uomini d’affari di maggior successo nel Regno Unito, ma è anche molto riservato, come si può notare dalle rare interviste che concede.

Dopo aver lavorato nella finanza ed essersi arricchito con il gioco d’azzardo, Benham vide delle opportunità nel calcio e ci entrò progressivamente. Nel 2006 fu tra gli investitori che salvarono il Brentford dalla bancarotta. Negli anni successivi sostenne il club tra le ultime divisioni del professionismo e i dilettanti, fino al 2012, anno in cui divenne azionista di maggioranza. Nella sua prima stagione da proprietario, il Brentford tornò in seconda divisione per la prima volta in vent’anni. Il buon andamento della squadra continuò anche nella stagione successiva, in una serie superiore, conclusa con l’eliminazione ai playoff per la promozione in Premier League.

Il Griffin Park di Brentford (Julian Finney/Getty Images)

L’uso delle statistiche non è una novità nel calcio di oggi, e non lo era nemmeno dieci anni fa. Sono i modelli statistici applicati alla gestione di una squadra ad aver rappresentato la vera innovazione. Benham è stato fra i primi a proporre questo nuovo tipo di gestione, principalmente per ragioni di necessità. Non potendo competere economicamente con le squadre con cui condivide o con cui vorrebbe condividere gli obiettivi, ha individuato delle falle nel sistema, come l’inefficienza del mercato dei giocatori, per guadagnare un vantaggio sugli altri.

Tra le basi della strategia del Brentford c’è un modo diverso di stabilire i rapporti di forza tra squadre e giocatori, non stabiliti da indici comuni e poco precisi come gli esiti finali di azioni e partite, ma da indici come gli Expected Goals (sigla xG), un modello sviluppato per l’hockey negli Stati Uniti e diffuso in Europa dal calcio inglese, che cerca di ridurre in una singola statistica il potenziale offensivo di una squadra. Gli Expected Goals rivelano graduatorie diverse rispetto alle classifiche dei campionati, soprattutto agli inizi di stagione, quando i rapporti di forza non sono ancora dimostrati dagli esiti delle partite o dai gol segnati e subiti.

Le squadre di proprietà di Benham vengono costruite tuttora seguendo nuovi modelli statistici, motivo per cui i loro primi risultati attirarono delle attenzioni. Usando gli Expected Goals quando ancora pochi lo facevano, Brentford e Midtjylland trovarono giocatori semi sconosciuti e poco richiesti ma performanti e adatti ai loro stili di gioco. L’esempio più calzante fu il centrocampista finlandese Tim Sparv, finito sotto osservazione del Midtjylland perché la sua precedente squadra, il Greuther Fürth, risultava fra le grandi squadre europee nelle classifiche complessive degli Expected Goals. La dirigenza danese valutò la squadra nei dettagli e notò che Sparv aveva indici di prestazione simili a quelli di un giocatore di un grande campionato: lo comprò, fu fondamentale nelle vittorie e diventò capitano della prima nazionale finlandese qualificata agli Europei.

Grazie agli stessi metodi, negli ultimi cinque anni il Brentford ha generato 120 milioni di sterline dalla cessione dei suoi giocatori senza accusare contraccolpi in classifica, cosa rara per una squadra di Championship – la seconda divisione del calcio inglese – e rarissima per un club che non ha un settore giovanile. Nel 2016, infatti, la società approfittò della criticata riforma delle accademie inglesi per smantellare la sua, considerati gli scarsi benefici dati dal mantenere un settore giovanile nell’affollato e competitivo calcio locale londinese.

(Steve Bardens/Getty Images)

Senza i costi di un’accademia, la società potenziò la squadra riserve con una strategia precisa: anche in quell’ambito, infatti, non avrebbe potuto competere con i club più ricchi per ingaggiare i giocatori più interessanti. Fu deciso quindi di concentrare le ricerche fra i giocatori tra i 17 e 20 anni scartati dalle riserve in grandi club inglesi e in alcuni campionati esteri considerati sottostimati, con l’obiettivo di formare ogni anno una squadra in grado di fornire all’occorrenza sostituti per la prima. Per tenere costantemente alta la forma dei giocatori e far guadagnare loro esperienza, nell’arco di una stagione le riserve del Brentford giocano una trentina di amichevoli contro le riserve di grandi club europei, dal Manchester City al Bayern Monaco.

Questa strategia si è rivelata efficiente, dato che nonostante le numerose cessioni che la società conclude ogni anno, da cinque stagioni il Brentford conclude il campionato tra la nona e la decima posizione. La ricerche concentrate sui giocatori ignorati dalle altre squadre hanno permesso l’acquisto a basso costo di giocatori divenuti poi fondamentali, come l’ala spagnola Sergi Canos, cresciuto nel Barcellona e scartato dalle giovanili del Liverpool, o il francese Neal Maupay, scartato dal Saint-Étienne, comprato per 2 milioni di euro nel 2017 e venduto l’anno scorso al Brighton per 22 milioni dopo essere stato capocannoniere del campionato.

Al momento della sospensione della stagione, si trovava al quarto posto, in piena zona playoff e a dieci punti dalla promozione diretta, fra squadre ben più ricche come Fulham e West Bromwich. Visti i risultati e lo stile di gioco aggressivo e spettacolare ritenuto simile a quello del Liverpool, in molti si aspettano di vedere il Brentford in Premier League fra non molto.

Benham però è infastidito dal paragone con Billy Beane e il film Moneyball, secondo lui abusato e frainteso: «Spesso sento dire che in Moneyball c’è questo tizio che arriva e applica l’uso delle statistiche al baseball, ma invece il baseball è sempre stato ossessionato dalle statistiche. L’idea identificata come “Moneyball” non riguardava il semplice uso di vecchie statistiche, ma l’esercizio accademico e scientifico per vedere quali di queste aiutavano effettivamente a prevedere le cose. L’etichetta di “Moneyball” può confondere, perché in molti pensano che stia usando qualsiasi statistica mi capiti sottomano, e non che invece stia provando a usarle in modo scientifico».

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