Torneranno i cinema drive-in?

«Sembrano essere stati fatti apposta per una pandemia globale», ha scritto il Wall Street Journal, e se ne sta parlando anche in Italia

Un drive-in a Kornwestheim, in Germania (Matthias Hangst/Getty Images)
Un drive-in a Kornwestheim, in Germania (Matthias Hangst/Getty Images)

Sorprendentemente, da qualche settimana sono tornati di moda i cinema drive-in. Negli Stati Uniti, dove ne erano sopravvissuti circa 300, quelli che sono riusciti a rimanere aperti sono stati raccontati come delle originali eccezioni all’impossibilità di praticare quasi ogni altra attività che sia allo stesso tempo ricreativa e collettiva. In Italia, dove ne erano rimasti pochissimi, ne ha parlato Francesco Rutelli, che dal 2016 è presidente di ANICA, l’associazione di categoria che rappresenta le società che lavorano nell’industria cinematografica. Il fatto è che, come ha scritto il Wall Street Journal, i drive-in sono «luoghi che sembrano essere stati fatti apposta per una pandemia globale».

I drive-in, però, nacquero per tutt’altre ragioni. Secondo certe versioni, nacquero perché un figlio voleva risolvere il problema della madre che, essendo sovrappeso, faticava a sedersi tra le poltrone dei cinema. Più probabilmente si diffusero perché qualcuno, nell’America degli anni Trenta, pensò potesse essere una bella idea, visto quanto si stavano diffondendo le automobili e quanto bene andavano i film.

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Sebbene ci fosse stato qualche esperimento di cinema all’aperto già negli anni Venti, e qualcuno di certo avesse già guardato qualche film stando seduto in qualche auto, il primo drive-in della storia è considerato quello aperto nel 1933, in New Jersey, da Richard Hollingshead, il ragazzo con la madre sovrappeso. Il suo cinema drive-in aveva posto per circa 400 veicoli e uno schermo largo 12 metri e alto 5. Il primo film, proiettato in una sera di maggio, fu la commedia Wives Beware, con Adolph Menjou. Un biglietto costava 25 centesimi di dollaro.

Hollingshead vendette il cinema dopo tre anni, ma intanto altri avevano fatto come lui. Prima lentamente – negli anni Trenta i drive-in furono circa un centinaio– e poi, dopo la Seconda guerra mondiale, molto più in fretta. Nonostante la tutt’altro che eccelsa qualità audio e video, i drive-in erano una cosa fresca, adatta sia alle famiglia che ai giovani (e alle giovani coppie). Erano chiaramente diversi dagli sfarzosi, raffinati e più costosi cinema – i cosiddetti “movie palace” – e permettevano agli spettatori di sfruttare e mettere in mostra le loro auto, gustarsi i benefici della relativa intimità e spendere pure poco.

Un drive in degli anni Cinquanta, vicino a New York (Hulton Archive/Getty Images)

Per chi ci investiva, i drive-in costavano poco e, grazie alla vendita di bevande, caramelle e pop-corn, permettevano buoni margini di guadagno, anche a fronte di biglietti decisamente economici.

Un drive-in in Danimarca, nel 1961 (Keystone/Getty Images)

I cinema drive-in, a loro volta celebrati da diversi film, ebbero il loro periodo d’oro nella seconda metà degli anni Cinquanta e nei primi anni Sessanta. Dopodiché passarono piuttosto rapidamente di moda, anche perché nel frattempo le sale cinematografiche avevano migliorato molto la qualità dei suoni e delle immagini, una cosa con cui i drive-in facevano fatica a competere (nonostante con il passare degli anni gli schermi fossero migliorati e l’audio arrivasse direttamente in ogni auto grazie ad apposite radiofrequenze su cui sintonizzarsi). Al declino dei drive-in contribuì anche il cambiamento della società: molti di quei cinema, per esempio, erano stati costruiti nelle periferie, che nel frattempo si erano trovate inglobate dalle città. Chi possedeva quei terreni preferì venderli o farci costruire edifici, con grandissimi guadagni e nessuno sforzo.

Tutte queste considerazioni valgono soprattutto per gli Stati Uniti – dove i drive-in arrivarono a essere più di 4mila – ma in parte, seppur con altri tempi, anche in Italia. Il primo drive-italiano è considerato il Metro Drive-In di Casal Palocco, a Roma: quando fu inaugurato, nel 1957, era il più grande d’Europa. Nella sua recente intervista radiofonica in cui ha parlato dei drive-in, Rutelli ha detto che da ragazzo gli capitò di andarci.

Oltre ai circa 300 drive-in statunitensi (ce n’è uno in ogni stato, tranne che in Alaska, nel Delaware, alle Hawaii, in Louisiana e in North Dakota), negli ultimi anni qualche drive-in ha resistito o è ricomparso anche nel resto del mondo. Dal 2019 a Milano c’è, per esempio, il Bovisa Drive-In, che al momento non sta proiettando film ma che fa sapere di essere «al lavoro per riaprire il prima possibile» e che su Facebook ha scritto: «In teoria potremmo essere a prova di decreto».

In questi ultimi anni, infatti, c’è stato in Italia un piccolo revival dei drive-in, visti come alternative interessanti e un po’ nostalgiche ai cinema tradizionali o agli ormai comuni cinema all’aperto. Visto che, per fortuna, ormai si può vivere anche senza un’auto, molti nuovi drive-in degli ultimi anni, e tra loro anche il Bovisa Drive-In, abbinavano alla visione dall’auto anche la possibilità di vedere il film seduti all’aperto.

L’ingresso di un drive-in nel New Mexico, nel 2000 (Joe Raedle/Newsmakers)

Il coronavirus, però, ha cambiato tutto. Da bizzarra e un po’ passatista alternativa ai normali cinema, i drive-in sono diventati il tipo di cinema che sembra prestarsi meglio alle nuove necessità di distanziamento sociale, oltre che negli Stati Uniti anche in Corea del Sud; oltre che per proiettare film, anche per trasmettere, tra le altre cose, cerimonie religiose.

Quando sarà consentito spostarsi anche in Italia, basterebbe in teoria prendere una macchina, presentarsi alla cassa, mostrare un biglietto elettronico acquistato online e poi guidare fino a posizionarsi davanti allo schermo, magari ordinando cibo su WhatsApp o ritirando cuffie e speaker Bluetooth (in alcuni cinema si era scelto di fare così) da qualche addetto munito di guanti e mascherina. E dopo un paio d’ore si potrebbe tornare a casa avendo visto un film e senza aver avuto quasi nessuna interazione con altre persone.

«Chi l’avrebbe mai immaginato» – ha detto al New York Times Josh Frank, proprietario di un drive-in che è riuscito a restare aperto anche in questi giorni – «che questi cinema sarebbero diventati la più interessante opzione per passare una serata».

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A parte qualche caso di momentaneo successo (raccontato tra gli altri da IndieWire e da Atlas Obscura) e oltre alle ipotesi sull’apertura di nuovi drive-in italiani, è oggettivamente difficile immaginarsi che i cinema drive-in, e i film visti attraverso un parabrezza, possano avere un ruolo in qualche modo rilevante nel futuro del cinema e dei cinema. Chi li ha, e chi dovesse decidere di aprirli, potrebbe sicuramente beneficiarne nei prossimi mesi, ma l’idea prevalente è che, a parte qualche eccezione, per poter sopravvivere nonostante Netflix e gli schermi domestici da decine di pollici e ad altissima definizione, i cinema debbano aumentare, e di molto, la qualità delle loro immagini e dei loro suoni, cosa che è difficile fare in un drive-in.

Lo ha ammesso lo stesso Rutelli, che all’inizio dell’intervista al programma radio “Un giorno da pecora” in cui ha parlato della possibile apertura di qualche drive-in, ha premesso che è «una cosa chiaramente simbolica». Inoltre, Rutelli ha inserito i drive-in in un discorso più ampio in cui parlava di possibili arene estive (cioè cinema all’aperto), delle quali ha detto:

Le sale non riapriranno così presto, ci dirà il governo quando. L’idea di fare delle arene cinematografiche in agosto, di avere la possibilità di luoghi all’aperto, distanziati, con dei protocolli, con protezione, sanificazione, gestiti dagli esercenti, potrebbe essere un modo intermedio, graduale, per non rassegnarci, mantenendo le condizioni di sicurezza.

Parlando più nello specifico di cinema drive-in, Rutelli ha precisato:

Bisogna fare un accordo con i Comuni, identificando aree molto grandi dove ci siano tutte le condizioni di sicurezza. Si possono studiare varie ipotesi, con automobili distanziate e tutto il resto, ma sarebbe un modo per tornare gradualmente, e prudentemente, a vivere.

Tra l’altro, con i cinema chiusi, i drive-in dovrebbero accontentarsi di proiettare vecchi film, senza poter mostrare le nuove uscite, che per la gran parte sono state rimandate a dopo l’estate. Senza considerare, di nuovo, tutti gli ordini di problemi dovuti al dover stare dentro una macchina per ore, d’estate, dovendo probabilmente scegliere tra il caldo e le zanzare e due ore di aria condizionata, con un’auto ferma.

Intanto, in Florida, c’è chi sta progettando – e già lo stava facendo prima della pandemia da coronavirus – un drive-in con 5 grandi schermi. E c’è anche chi, molto più in piccolo, sta pensando anche ad altre possibilità per intrattenere un pubblico di persone sedute nelle rispettive auto.

Un comico si esibisce dal vivo, il 16 aprile a Oberhausen, in Germania (Fabian Strauch/dpa)