I piani per il contact tracing in Italia

Domani scade il primo bando per proporre al governo app e soluzioni per tracciare i contagi da coronavirus, ma ci sono molti aspetti da chiarire a cominciare dalla privacy

(ANSA/DANIEL DAL ZENNARO)
(ANSA/DANIEL DAL ZENNARO)

Domani scade uno dei primi bandi emessi dalla ministra per l’Innovazione tecnologica e la digitalizzazione, Paola Pisano, con l’obiettivo di trovare applicazioni e altre soluzioni che possano ridurre la diffusione dell’epidemia da coronavirus in Italia. Il bando – che data l’emergenza ha una durata di appena tre giorni – è stato indetto nell’ambito di “Innova per l’Italia”, un’iniziativa più ampia dedicata a università, centri di ricerca, aziende ed enti di ricerca per: «fornire un contributo nell’ambito dei dispositivi per la prevenzione, la diagnostica e il monitoraggio per il contenimento e il contrasto del diffondersi del coronavirus». L’idea è attivare in tempi rapidi servizi di monitoraggio dei malati e dei contagi, ma gli ostacoli tecnologici non mancano, così come le perplessità sulla tutela dei dati personali.

Il primo bando (“fast call”) riguarda due ambiti distinti, seppure con diversi punti di contatto: app che aiutino a migliorare l’assistenza domiciliare per le persone malate di COVID-19 per le quali non è necessario il ricovero, e applicazioni per il controllo “attivo” del rischio di contagio, il cosiddetto “contact tracing”.

Telemedicina
Da tempo esistono sul mercato applicazioni che consentono di tenere traccia delle proprie condizioni di salute, ma raramente sono integrate con altri sistemi, per consentire per esempio al proprio medico di controllare i dati a distanza e intervenire nel caso in cui riscontri qualche anomalia. Il bando chiede quindi a produttori e progettisti di proporre le loro app in tema, con particolare attenzione alla COVID-19 (nella “fast call” si parla anche di altre malattie croniche, il cui controllo a distanza potrebbe semplificare la vita ai pazienti).

Il bando cita “app, siti web e chatbot” che consentano di fare un’autovalutazione dei propri sintomi e di tracciarne l’andamento nel corso del tempo. Soluzioni di questo tipo potrebbero contribuire ad alleviare il carico di lavoro, per lo meno nelle fasi iniziali, dei numeri di emergenza e di consulenza sanitaria nazionali e regionali, che in queste settimane ricevono un grande numero di chiamate.

Attraverso un sistema di domande e risposte, l’app potrebbe aiutare a circoscrivere meglio i propri sintomi e a capire se si tratti o meno di COVID-19. L’applicazione non si sostituirebbe naturalmente al parere di un medico, ma potrebbe offrire una prima risorsa per aiutare a farsi un’idea della situazione.

Sempre con sistemi di domande e risposte tramite un chatbot, l’applicazione potrebbe essere impiegata per tracciare l’andamento dei sintomi e la loro evoluzione, ricordando per esempio di rilevare la temperatura, e di inserire il dato in modo da essere visibile a distanza al personale sanitario. Lo sviluppo di un sistema di questo tipo richiederebbe però tempo e gli ostacoli in termini tecnici e di tutela della privacy non mancano. I dati sanitari sono tra i più importanti in termini di tutela dei dati personali, e un eventuale sistema di questo tipo dovrebbe offrire grandi garanzie sulla sicurezza delle informazioni raccolte.

Contact tracing
Negli ultimi mesi in alcuni paesi asiatici sono state sperimentate applicazioni per il cosiddetto “contact tracing”, il tracciamento degli spostamenti e dei contatti delle persone, in modo da ricostruire più velocemente le catene del contagio e provare a interromperle riducendo la diffusione dell’epidemia. L’esperienza della Corea del Sud è probabilmente la più rilevante in questo senso, perché ha portato in poche settimane allo sviluppo e all’impiego di soluzioni per tracciare gli spostamenti.

Il governo sudcoreano da settimane utilizza dati raccolti dalle reti cellulari, dai sistemi GPS, dalle transazioni effettuate con carta di credito e dalle telecamere di videosorveglianza per tracciare gli spostamenti della popolazione. Le informazioni raccolte sono mostrate poi in forma anonima su un sito web dedicato, e all’occorrenza inviate tramite SMS a chi potrebbe avere incrociato un infetto, in modo da metterlo in guardia e invitarlo a eseguire un test per verificare l’eventuale contagio da coronavirus.

Benché anonimi, i dati forniti dal governo sono piuttosto dettagliati, al punto da rendere possibile l’identificazione dei luoghi in cui si è spostato un proprio conoscente o familiare. Inizialmente le informazioni erano fornite dal governo in database di non semplice consultazione, cosa che offriva qualche garanzia in più per la privacy. Nelle ultime settimane singoli informatici e aziende produttrici di applicazioni hanno attinto ai dati governativi, incrociandoli tra loro per offrire mappe e altri servizi dettagliati sulla posizione geografica dei contagiati. L’applicazione tiene traccia della propria posizione e se emerge che si era stati nei pressi di un contagiato invia una notifica al suo proprietario.

(Coronamap)

La Corea del Sud è passata in poche settimane dall’avere svariate centinaia di nuovi casi giornalieri a poche decine, ma non è ancora chiaro se le applicazioni per il contact tracing abbiano avuto un ruolo rilevante. Il paese ha soprattutto condotto una massiccia campagna per testare più persone possibili in qualsiasi circostanza, effettuando quasi 360mila test. Questa soluzione ha consentito – e sta consentendo – di identificare precocemente i nuovi casi, tenerli meglio sotto controllo e soprattutto isolarli dai loro conoscenti, in modo che non prosegua il contagio.

Come ha raccontato estesamente un’analisi pubblicata sul sito di Wired, negli ultimi giorni in Italia sono circolate applicazioni per il contact tracing ispirate alle esperienze nei paesi asiatici, seppure con funzionalità più limitate.

STOPCovid19 è una delle app che hanno ricevuto più attenzioni. È prodotta dalla società italiana Webtek e dice di poter offrire un sistema per tracciare le catene dei contagi, in modo da evitare che persone potenzialmente infette possano entrare in contatto con altri.

Ottenuto il consenso da parte dell’utente, STOPCovid19 registra la propria posizione geografica tramite GPS e invia poi periodicamente l’informazione a un registro centralizzato associato al proprio numero di cellulare. Nel caso in cui un utente risulti infetto, le autorità sanitarie potrebbero consultare il registro per cercare le persone entrate in contatto con il soggetto con coronavirus. L’amministratore delegato di Webtek, Emanuele Piasini, ha spiegato a Wired che ogni utente avrà sempre la possibilità di cancellare i propri dati, come del resto previsto dal regolamento europeo sulla tutela dei dati personali (GDPR).

Come altre applicazioni, STOPCovid19 ha il difetto di essere utile solo nel momento in cui è utilizzata da molte persone: in assenza di una partecipazione massiccia, la raccolta di dati sarebbe lacunosa e non consentirebbe di tracciare facilmente le altre persone esposte. Non è per ora nemmeno chiaro come il sistema potrebbe essere condiviso con le autorità, ed entro quali termini di legge.

Altre applicazioni si basano sull’impiego di più ricevitori solitamente presenti sugli smartphone, come quelli per il segnale cellulare, il WiFi o scambiarsi dati tramite Bluetooth e NFC (Near Field Communication, il sistema che si usa per esempio per pagare tramite un POS contactless). Alcune di queste soluzioni prevedono che i dati restino sempre sugli smartphone dei singoli utenti, senza una condivisione degli stessi su altri server, in modo da tutelare meglio la loro privacy. Ci sono però dubbi sull’efficacia di questi sistemi e, come per STOPCovid19, rimane il problema del numero di utilizzatori: se rimanesse basso, non offrirebbe dati rilevanti per tracciare le catene del contagio.

Privacy
Negli ultimi giorni diversi esperti per la tutela dei dati personali hanno sollevato dubbi e preoccupazioni sulle iniziative di contact tracing, ricordando che scelte assunte durante un’emergenza e per rispondere a un’esigenza nel breve periodo potrebbero avere conseguenze a lungo termine. Tracciare gli spostamenti dei cittadini in modo sistematico implica un livello di controllo che ancora non c’è nel nostro paese e nella maggior parte delle democrazie occidentali, e richiederebbe quindi qualche valutazione aggiuntiva nel rapporto tra costi e benefici.

La settimana scorsa l’annuncio della Regione Lombardia sul controllo dei dati telefonici per misurare gli spostamenti della popolazione e il loro rispetto delle restrizioni imposte dal governo aveva portato a non poche perplessità. A queste si sono aggiunte quelle sull’avanzamento delle tecnologie nel riconoscimento facciale, tramite la videosorveglianza di massa, che ora consente di identificare anche gli individui che indossano una mascherina, con ulteriori ripercussioni per la privacy soprattutto nei paesi con regimi non democratici.

La ministra Pisano ha comunque assicurato che ogni decisione sul bando e sulle soluzioni da utilizzare sarà fatta valutare all’Autorità garante per la protezione dei dati personali. Nei giorni scorsi, il garante Antonello Soro non aveva comunque escluso la possibilità di impiegare sistemi di controllo contro l’epidemia. Per gravi motivi sanitari, il GDPR prevede alcune deroghe, ma queste devono essere valutate attentamente come ha chiarito il Comitato eruopeo per la protezione dei dati.

Prossimi passaggi
I soggetti interessati avranno tempo fino alle 13 di giovedì 26 marzo per presentare le loro proposte alla ministra per l’Innovazione. Le candidature saranno poi valutate da un gruppo di lavoro del quale fanno parte funzionari del ministero della Salute, dell’Istituto Superiore di Sanità, dell’Organizzazione Mondiale della Sanità e membri di un comitato scientifico interdisciplinare. I tempi di realizzazione del progetto non sono ancora chiari, ma lo stato di avanzamento delle proposte sarà uno dei criteri compresi nella valutazione, per fare il più in fretta possibile.