Una canzone di Matthew E. White

Bianchi che cantano come neri, voci adulte e voci giovani, percorsi di fede coi piedi per terra

(AP Photo/Ditte Lysgaard Holm, Polfoto)
(AP Photo/Ditte Lysgaard Holm, Polfoto)

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La prima newsletter, inviata il 15 ottobre scorso, è online per tutti qui. Per ricevere le successive gli abbonati devono indicarlo nella propria pagina accountQui c’è scritto cosa ne pensa chi la riceve: qui sotto, online sul Post, c’è ogni giorno la parte centrale della newsletter, quella – dicevamo – sulla canzone.

Circle round the sun
Sabato ho chiesto su Twitter se altri avessero la mia impressione che, nel pop internazionale di grande successo presso i teenager, ci sia oggi una quota maggiore di cantanti che investono su voci altrettanto adolescenziali nel suono (parlo proprio del suono della voce, non del resto: a prescindere dall’età dei cantanti; e non penso necessariamente a voci acute – i ragazzini non hanno sempre voci acute – ma a voci che suonano ragazzine, acerbe, non adulte; e infine – ci sono stati equivoci, su Twitter – capisco bene il meccanismo ovvio: pure a me piace più Peter Gabriel di Billie Eilish, con l’età che ho, ma mi chiedo se non sia cresciuta la quota di voci acerbe). Ci sono state risposte e considerazioni interessanti, soprattutto commerciali (il maggior ruolo dei ragazzi come consumatori nel mercato della musica e dello spettacolo, anche con il successo di Spotify e simili; la provenienza Disney Channel di alcuni cantanti o dell’educazione musicale degli ascoltatori), poche spiegazioni “musicali” o tecniche. Diversi hanno invece sostenuto che non condividevano l’impressione, e magari avevano ragione loro: è un’impressione. Alcuni hanno capito male a che suono mi riferissi, e ho provato a fare degli esempi (Selena Gomez, Shawn Mendes, Camilla Cabello, pure Lewis Capaldi che appunto non ha una voce acuta ma ha una voce da ragazzo).
Ma ecco, ho scritto tutto questo qui, perché la canzone di stasera è un esempio opposto, di voce decisamente “adulta” (lui aveva 33 anni, eh), e mi domando se la canzone non avrebbe un gran successo messa in un disco di Harry Styles. Non presso di me, in ogni caso: mentre questa cosa profonda e sussurrata è perfetta per una raccolta di canzoni notturne.
Ha il testo di una canzone di fede, un gospel (lui ha spiegato che gli interessa il genere musicalmente, più che spiritualmente), che chiede che il Signore Gesù lo accompagni, guidi e protegga, ma con un’idea paritetica della relazione – “mano nella mano” – e persino con un attimo di dubbio:
Hand in hand
But do you know where we’re going?
Hand in hand
I’ll go where you lead me

Che è quel dubbio che viene spesso quando si sta andando da qualche parte con qualcuno – “tu sai dove stiamo andando, vero?” – e che qui lui risolve non tanto con una implausibile fiducia che il Signore lo sappia, ma con un “io comunque ti seguo dove vuoi”. È un po’ quella cosa odiosa che dicono certi fidanzati o fidanzate per chiudere con signorilità posticcia una discussione: “secondo me hai detto una cazzata, ma va bene lo stesso“.
Dette queste cose leggere, devo per correttezza smontarvele con lui che spiega che la narratrice della canzone è la madre di una sua amica che si era uccisa, e chiede di essere accompagnata in un’altra vita.
Il pezzo è del 2015, lui si chiama Matthew E. White ed è un cantautore della Virginia, irsuto omaccione bianco (qui c’è lui che la canta in radio) ma con un gran debole per la musica nera. Ed è bello tutto il disco, se vi viene la tentazione.

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