Il boss mafioso Giuseppe Graviano ha raccontato durante un processo che da latitante incontrò per tre volte Silvio Berlusconi

(FRANCO LANNINO /GID/ANSA)
(FRANCO LANNINO /GID/ANSA)

Durante un’udienza del dibattimento del processo sulle stragi della ‘ndrangheta in corso a Reggio Calabria, il boss mafioso Giuseppe Graviano, che è imputato nel processo, ha raccontato in videoconferenza che in almeno tre occasioni incontrò l’ex presidente del Consiglio Silvio Berlusconi.

Graviano, che nel 1990 divenne capo del mandamento di Brancaccio-Ciaculli, fu arrestato nel 1994 e condannato successivamente all’ergastolo, con l’accusa di essere stato tra gli organizzatori delle stragi del 1993 a Firenze, Milano e Roma e dell’omicidio di don Pino Puglisi. È stato inoltre accusato da diversi pentiti di essere stato lui ad azionare il telecomando che provocò l’esplosione della bomba che uccise il giudice Paolo Borsellino.

Durante la sua ultima deposizione, riportata da diversi giornali, Graviano ha raccontato che il primo incontro avvenne tramite suo nonno materno: «Negli anni ’70 mio nonno aveva messo i soldi nell’edilizia al nord. Mio nonno materno, Quartanaro Filippo, era una persona abbastanza ricca. Era un grande commerciante di ortofrutta. Venne invitato a investire soldi al nord, nell’edilizia. Il contatto è col signor Berlusconi, glielo dico subito». Filippo Quartanaro avrebbe coinvolto Graviano in quell’investimento, e da lui si sarebbe fatto accompagnare a conoscere Berlusconi nel 1983, all’hotel Quark di Milano. All’incontro avrebbe partecipato anche un cugino di Graviano, Salvatore.

Dopo la morte del nonno, Graviano avrebbe preso in gestione quegli investimenti immobiliari, e stando alle sue dichiarazioni esisterebbe anche un documento che lo dimostrerebbe: «C’era una carta privata che io ho visto, la copia di mio nonno la ha mio cugino Salvatore Graviano», riporta Il Fatto QuotidianoSecondo Graviano, l’investimento fatto inizialmente fu di 20 miliardi di lire, che sarebbero serviti a finanziare la costruzione «di Milano 3, le televisioni, Canale 5, tutto».

Il terzo e ultimo incontro sarebbe avvenuto nel 1993: «C’è una riunione a Milano. A fine del 1993, dicembre, si è arrivati alla conclusione che si regolarizzava questa situazione. E si fissa un appuntamento nel febbraio del 1994. […] È successo a Milano 3, è stata una cena. Ci siamo incontrati io, mio cugino e Berlusconi. C’era qualche altra persona che lei non ha conosciuto. Discutiamo di formalizzare le società».

Durante la sua deposizione, il pm Giuseppe Lombardo ha chiesto conto a Graviano anche dell’intercettazione effettuata in carcere in cui, parlando con l’ex camorrista Umberto Adinolfi, Graviano disse che Berlusconi gli chiese una cortesia e che già nel 1992 aveva intenzione di dedicarsi alla politica. Graviano ha ribadito quanto detto in quell’intercettazione e ha detto che all’epoca Berlusconi avrebbe parlato di ciò con il cugino di Graviano: «Già nel 1992 Berlusconi annunciò a mio cugino Salvo che voleva entrare in politica. Io non lo incontrai ma lo incontrò mio cugino Salvo a cui Berlusconi parlò di questo progetto di entrare in politica».

Leggi anche: La cosiddetta “trattativa Stato-mafia”, spiegata

I sospetti legami di Berlusconi con la mafia

Nel 2009 Berlusconi era stato accusato da un ex collaboratore dei Graviano, Gaspare Spatuzza, di essere stato in contatto con Cosa Nostra nei primi anni Novanta. Le accuse però non portarono a nulla. Le indagini sui rapporti con la mafia di Silvio Berlusconi hanno tuttavia una storia lunga e controversa. A oggi, il loro risultato più rilevante e definitivo è la sentenza (definitiva nel 2014) che ha condannato il principale collaboratore di Berlusconi, Marcello Dell’Utri, a sette anni di carcere per concorso esterno in associazione mafiosa e che ha stabilito che negli anni Settanta lo stesso Dell’Utri fece da tramite in una trattativa tra alcuni boss mafiosi e Berlusconi culminata in una riunione a Milano, con la quale Berlusconi acconsentì di pagare per la protezione sua e della famiglia dai sequestri che allora temeva, o da altro.

Le prime indagini su Berlusconi e la mafia risalgono ufficialmente al 1996, anche se c’è una mai chiarita questione delle indagini a Palermo citate in un’intervista da Paolo Borsellino nel 1992 e di cui non c’è traccia ufficiale (l’unica spiegazione, non del tutto convincente, è che si trattasse di indagini su fatti che lo coinvolgevano senza che fosse indagato). Nel 1996 Berlusconi fu indagato a Palermo per concorso esterno in associazione mafiosa, e negli anni successivi fu indagato a Firenze e a Caltanissetta rispettivamente per la campagna di stragi del 1992-1994 e per quelle in cui vennero uccisi Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Tutte le inchieste furono archiviate. Le grandi ipotesi accusatorie – mai dimostrate, mai giunte a condanne, sostenute solo da dichiarazioni non riscontrate di diversi collaboratori di giustizia – sono state fino a oggi: che Berlusconi abbia – nell’ambito degli accordi di cui sopra – usato grandi investimenti della mafia per avviare e sostenere le sue imprese, soprattutto nel settore delle costruzioni; che abbia usato il sostegno della mafia al momento della sua candidatura in politica nel gennaio 1994 e per la sua vittoria successiva; e che abbia avuto delle complicità di qualche tipo con i boss Graviano nel periodo in cui questi organizzavano la serie di attentati mafiosi in tutta Italia tra il 1992 e il 1994 (periodo in cui stando a quell’intervista di Borsellino qualcuno in Sicilia stava indagando già su Berlusconi e Dell’Utri).