• Mondo
  • Martedì 19 novembre 2019

A che punto è l’Iran con il nucleare

Ha ricominciato ad arricchire l’uranio – passaggio fondamentale per la produzione di armi nucleari – creando timori, difficoltà e imbarazzi nei paesi che ancora sostengono l’accordo del 2015

Il reattore nucleare ad acqua pesante di Arak in una foto del 15 gennaio 2011 (Mehdi Marizad/Fars News Agency via AP, File)
Il reattore nucleare ad acqua pesante di Arak in una foto del 15 gennaio 2011 (Mehdi Marizad/Fars News Agency via AP, File)

L’Agenzia internazionale per l’energia atomica (IAEA), l’organizzazione dell’ONU incaricata di controllare il settore dell’energia nucleare, ha fatto sapere che il governo iraniano ha messo in atto l’annunciata minaccia di ricominciare ad arricchire l’uranio nel sito sotterraneo di Fordow, un passaggio fondamentale per la produzione di armi nucleari che viola i termini dell’accordo sul nucleare raggiunto nell’aprile del 2015 con diversi paesi occidentali, tra cui inizialmente gli Stati Uniti.

Nel maggio del 2018 il presidente degli Stati Uniti Donald Trump aveva annunciato il ritiro degli Stati Uniti dall’accordo, ottenuto alla fine di negoziati lunghi e faticosi. L’accordo prevedeva una significativa riduzione della capacità dell’Iran di arricchire l’uranio e la rimozione di alcune delle sanzioni imposte all’economia iraniana negli anni precedenti. Al ritiro statunitense era seguita l’imposizione di nuove sanzioni, e l’Iran aveva risposto annunciando che avrebbe smesso di rispettare alcuni dei termini dell’accordo: cosa che ora si è concretizzata. L’Unione Europea sta provando da tempo a mettere a posto le cose, soprattutto perché le sanzioni che il governo statunitense ha reintrodotto hanno enormi conseguenze anche sull’attività delle aziende europee. Finora però i risultati sono stati mediocri e il lavoro di mediazione si sta facendo sempre più complicato.

Dallo scorso luglio l’Iran ha fatto diverse mosse per allontanarsi dall’accordo, per esasperare i rapporti tra Stati Uniti e Unione Europea e mantenere divisa la comunità internazionale. Finora, però, aveva evitato azioni eclatanti che avrebbero potuto spingere l’Europa stessa a ritirarsi dall’accordo.

La settimana scorsa la IAEA ha riferito che l’Iran aveva ripreso la produzione di uranio arricchito al 4,35 per cento, oltre il limite del 3,67 previsto dall’accordo del 2015, e che aveva accumulato circa 550 kg di esafluoruro di uranio, il composto impiegato nei processi di arricchimento, superando il limite di riserve dell’uranio fissato a 300 kg. La IAEA ha affermato che l’Iran, per ora, sta alimentando solo poche centinaia di centrifughe per arricchire l’uranio, ma il divieto di superare la soglia del 3,67 per cento e la conversione della centrale di Fordow in un centro nucleare, fisico, tecnologico e di ricerca esclusivamente per fini pacifici erano stati due dei risultati più significativi dell’accordo del 2015. Fordow è uno dei due principali siti nucleari iraniani (l’altro è Natanz): è sotterraneo, si trova vicino alla città di Qom, è stato scoperto dall’intelligence occidentale pochi anni fa ed è considerato inespugnabile dalla maggior parte delle armi convenzionali.

Ci sono diverse opinioni sul tempo che mancherebbe all’Iran per accumulare combustibile sufficiente per produrre una bomba: secondo diversi diplomatici occidentali ci vorranno ancora dai 10 ai 12 mesi, secondo altri studiosi tra i 6 e i 10 mesi. Prima dell’accordo del 2015 si credeva che l’Iran fosse a circa due mesi dall’avere combustibile sufficiente per una bomba.

L’Iran sta facendo pressioni anche su altri fronti. Lo scorso settembre il presidente iraniano Hassan Rouhani aveva detto che sarebbero state sviluppate nuove e più avanzate centrifughe per l’arricchimento dell’uranio, ignorando i limiti dell’accordo sul lavoro di ricerca. Lunedì la IAEA ha confermato che l’Iran stava alimentando l’uranio utilizzando una nuova tecnologia, un progresso che – a differenza della quantità della produzione – non sarà reversibile: una volta acquisita, una conoscenza non potrà essere disimparata. L’Iran ha poi iniziato test tecnologici in una nuova struttura, avrebbe ottenuto uno stock di fibra di carbonio per un programma missilistico interno e ha trattenuto brevemente un ispettore della IAEA, impedendogli di lasciare il paese. Dall’altra parte, però, non ha dato seguito ad altre minacce che aveva fatto pubblicamente e ha confermato che non proverà a ricostruire il reattore nucleare ad acqua pesante di Arak, così da non produrre plutonio sufficientemente puro da poter essere usato per scopi militari.

Per ora questo è stato sufficiente per riavviare alcune delle sue principali attività nucleari senza innescare il fallimento completo dell’accordo. La scorsa settimana, i ministri degli Esteri dei paesi dell’Unione Europea riuniti a Parigi hanno detto di essere «estremamente preoccupati» per le azioni dell’Iran a Fordow. «Vediamo con preoccupazione crescente che l’arricchimento dell’uranio prosegue e l’Iran non solo l’ha annunciato, ma lo sta facendo», ha detto il ministro tedesco Heiko Maas, aggiungendo: «Vogliamo mantenere l’accordo sul nucleare, ma l’Iran deve tornare a rispettare gli impegni, altrimenti siamo pronti a usare tutti i meccanismi inclusi nell’intesa». Martedì 19 novembre, il segretario di Stato Usa, Mike Pompeo, ha chiesto all’Iran di interrompere immediatamente l’attività di arricchimento dell’uranio e ha detto che dal prossimo 15 dicembre saranno revocate le esenzioni che, finora, avevano permesso alle società straniere di lavorare con il sito di Fordow evitando le sanzioni Usa: «Gli Stati Uniti porranno fine alla moratoria dalle sanzioni relativa all’impianto nucleare di Fordow a partire dal 15 dicembre 2019».