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  • Venerdì 8 novembre 2019

L’assalto contro una sindaca boliviana del partito di Evo Morales

Cosparsa di vernice, costretta a tagliare i capelli e camminare scalza: è successo a Vinto, nell'ambito delle proteste contro il risultato delle ultime elezioni

Patricia Arce durante l'aggressione subita il 6 novembre a Vinto (STR / AFP)
Patricia Arce durante l'aggressione subita il 6 novembre a Vinto (STR / AFP)

Mercoledì nella città di Vinto, che si trova nella regione di Cochabamba, in Bolivia, si è verificato un episodio particolarmente violento nell’ambito delle proteste in corso da due settimane contro i risultati delle ultime elezioni presidenziali, tenute nel paese lo scorso 20 ottobre e vinte dal presidente uscente Evo Morales.

Patricia Arce, sindaca di Vinto e appartenente al Movimiento al Socialismo, partito di sinistra guidato da Morales, è stata trascinata in strada dai manifestanti antigovernativi che le hanno tagliato forzatamente i capelli, le hanno versato addosso della vernice rossa e l’hanno costretta a camminare a piedi nudi e firmare una lettera improvvisata di dimissioni. Arce era accusata di avere contribuito all’arrivo in città di sostenitori di Morales che poche ore prima erano stati coinvolti in alcuni scontri che avevano portato alla morte di un ragazzo di 20 anni.

Dopo essere stata per quattro ore ostaggio dei manifestanti, che nel frattempo avevano anche incendiato l’edificio del comune, Arce è stata soccorsa dalla polizia e portata via. Dopo l’aggressione, Morales ha scritto su Twitter: «Tutta la mia solidarietà alla nostra sorella sindaca di Vinto, Patricia Arce, sequestrata e maltrattata crudelmente per esprimere e difendere i suoi ideali e i principi dei più poveri».

L’aggressione ad Arce non è l’unico episodio di violenza avvenuto negli ultimi giorni in Bolivia. Solo mercoledì, durante le manifestazioni antigovernative tenute in molte città del paese, sono state ferite 90 persone, alcune delle quali in maniera grave. Giovedì le proteste e gli scontri sono andati avanti in diverse zone del paese, tra cui La Paz. Finora nelle proteste sono state uccise tre persone.

Le manifestazioni erano iniziate lunedì 21 ottobre dopo la diffusione dei risultati preliminari delle elezioni presidenziali che si erano tenute il giorno prima: Morales aveva ottenuto il 47,07 per cento, contro il 36,51 per cento dello sfidante ed ex presidente Carlos Mesa.

Per vincere al primo turno Morales aveva bisogno di oltre il 50 per cento dei voti, obiettivo non raggiunto, oppure del 10 per cento di vantaggio sui suoi avversari, obiettivo raggiunto di misura. Decine di migliaia di boliviani avevano però iniziato a protestare contestando i risultati, giudicati sospetti da molti per via di alcune stranezze nella diffusione dei dati. I risultati di un conteggio preliminare dei voti – diverso da quello ufficiale, e organizzato per dare maggiore trasparenza al processo – davano infatti i due candidati più ravvicinati, entro i dieci punti. Poi però il Tribunale Supremo Elettorale aveva smesso di aggiornare i risultati per un giorno, e quando aveva ripreso lo scarto tra Morales e Mesa si era allargato appena sopra ai dieci punti, distacco poi confermato dal conteggio ufficiale.

Morales è un ex raccoglitore di coca ed è stato il primo boliviano di origine indio a essere eletto presidente. È al potere da quattordici anni, quando vinse le elezioni per la prima volta: ha goduto per molto tempo di consensi altissimi e ancora oggi è un leader molto popolare, ma la sua lunga permanenza al potere ha iniziato a procurargli critiche e accuse di autoritarismo. Nel febbraio del 2016 perse di poco un referendum per confermare un’ulteriore modifica alla Costituzione che gli avrebbe permesso di candidarsi anche nel 2019. L’anno successivo, però, la Corte suprema del paese annullò il risultato del referendum, sostenendo che il limite al numero di mandati era una violazione dei diritti politici.

Mesa è stato presidente dal 2003 al 2005, ed era tornato popolare negli ultimi anni perché il governo di Morales lo aveva nominato come proprio rappresentante nella disputa legale con il Cile per la questione dello sbocco sul mare.