L’inizio del Proibizionismo

Un secolo fa ebbe inizio il disastroso divieto statunitense di produrre e vendere alcolici: una storia iniziata quasi cento anni prima grazie a un movimento femminile

(AP Photo)
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Il 28 ottobre del 1919 il Senato statunitense approvò il Volstead Act, la legge che introduceva il divieto di produzione e di vendita di alcolici. Il “proibizionismo”, come venne chiamato da allora, entrò ufficialmente in vigore nel gennaio dell’anno successivo e fu abolito 13 anni dopo. La sua applicazione, il suo fallimento e le sue conseguenze  sono ancora oggi molto discussi e studiati: non c’è dibattito sull’attuale proibizione delle droghe, per esempio, che non debba fare i conti prima o poi con il Volstead Act e le critiche gli sono state mosse negli anni.

La storia del Proibizionismo inizia insieme alla storia stessa degli Stati Uniti come nazione indipendente. I primi gruppi contrari al consumo di alcolici, le “Temperance Union”, dal nome della virtù biblica della temperanza, nacquero pochi anni dopo la Guerra di indipendenza, alla fine del Diciottesimo secolo. All’epoca gli Stati Uniti, come gran parte d’Europa, erano un paese povero e anche pericoloso, con le sue vaste frontiere senza legge e senza Stato. Nei moltissimi “saloon” sparsi per il paese, frequentati esclusivamente da uomini, si beveva, spesso si beveva molto e altrettanto spesso le bevute finivano a cazzotti, o peggio.

Le “Temperance Union”, formate soprattutto da donne religiose e appartenenti alla classe media (tutte bianche e in genere frequentatrici di gruppi religiosi metodisti o evangelici), consideravano l’alcol come una piaga sociale e di genere, un problema che affliggeva soprattutto gli uomini e che li portava a trascurare le loro famiglie quando non ad adottare comportamenti violenti. Uno dei loro slogan favoriti era “The Lips That Touch Liquor Will Never Touch Mine”, “Le labbra che toccano un alcolico non toccheranno mai le mie”.

Per tutto il Diciannovesimo secolo le sorti del movimento proibizionista guidato dalle donne furono altalenanti. A metà secolo 13 stati avevano approvato leggi contro il consumo di alcolici (in larga parte non applicate), ma nel corso della Guerra civile la causa perse interesse e molte leggi furono cancellate. Sul finire del secolo, però, il movimento riprese vigore. Nel 1873 venne fondata la potente Woman’s Christian Temperance Union (WCTU) e la questione del consumo di alcol iniziò a saldarsi sempre più con quella dei diritti politici delle donne, in particolare con il diritto di voto. Ma un alleato ancora più importante per il movimento proibizionista fu una nuova forza che proprio in quegli anni stava divenendo sempre più egemone: il nativismo.

Nel corso della seconda parte dell’Ottocento, gli Stati Uniti erano divenuti un paese verso il quale si emigrava. Prima centinaia di migliaia e poi milioni di persone iniziarono ad arrivare dall’Europa. Le città lungo le aree costiere si riempirono di una nuova forza lavoro impiegata nella nascente industria moderna. Con la “civilizzazione” dell’Ovest – il “far west” cosiddetto – il saloon per soli uomini si trasformò sempre più in un fenomeno urbano, un luogo cittadino dove giovani maschi stranieri si ritrovavano per bere dopo una dura giornata di lavoro nelle fabbriche. Queste masse di stranieri poveri, diversi dagli altri e spesso sbronzi, non piacevano per nulla a una parte degli americani, che riteneva la loro presenza una fonte di corruzione per l’altrimenti “pura” America originale: quella formata da agricoltori protestanti anglosassoni, in genere benestanti e, sempre più spesso, favorevoli a proibire il consumo di alcol.

Vietare la produzione e il consumo di alcolici iniziò così a essere utilizzata da una serie di abili politici e attivisti come la questione principale su cui dividere l’elettorato statunitense: da un lato i “dry”, gli “asciutti”, favorevoli al proibizionismo, descritti come cittadini rispettosi, “veri” americani che vivevano nelle campagne, bianchi, protestanti e appartenenti alla classe media. Dall’altro i “wets”, gli umidi, formati dalle élite delle grandi città costiere e dalle masse dei nuovi arrivati dall’Europa, stranieri poveri, sporchi e rissosi, dediti all’ubriachezza molesta e al crimine, e spesso pure cattolici.

Questi argomenti furono utilizzati con grande abilità da personaggi come Wayne Wheeler, il più famoso leader della Anti-Saloon League, un movimento nativista e proibizionista fondato nel 1893. Tra le altre organizzazioni che sostenevano il proibizionismo c’era anche il Ku Klux Klan, l’organizzazione razzista e terrorista nata per bloccare le conseguenze della liberazione degli schiavi alla fine della Guerra civile. La Anti-Saloon League e il movimento nativista presto finirono con l’eclissare le organizzazioni femminili e religiose nella lotta contro gli alcolici: un decennio dopo, una nuova serie di organizzazioni politiche femminili fu alla testa del movimento per cancellare il Volstead Act.

Col passare degli anni, le file dei difensori della libertà di bere sembravano farsi sempre più sottili. I “wet” potevano contare sui cosmopoliti abitanti delle grandi città, in particolare quelli di New York, la città “wet” per definizione; e potevano contare sugli immigrati, come i cattolici irlandesi e italiani, per i quali il consumo di alcolici era non solo una tradizione, ma anche una parte della loro ritualità religiosa. Il motore principale dell’opposizione, anche da un punto di vista economico, era formato dai produttori di birra, gli industriali di origine tedesca proprietari dei grandi birrifici e fornitori dei saloon. Erano loro che pagavano per le manifestazioni e sostenevano le campagne elettorati dei candidati “wet”, così come l’Anti-Saloon League faceva con i “dry”.

I primi anni del Novecento videro una serie di moderate vittorie locali per il movimento proibizionista. Nel 1916, 23 stati su 48 avevano introdotto leggi più o meno severe contro la produzione e la vendita di alcolici, ma l’obiettivo principale, una legge proibizionista federale, sembrava ancora lontano. L’inizio della Prima guerra mondiale cambiò le cose. Nel 1917 gli Stati Uniti entrarono in guerra contro la Germania e gli immigrati tedeschi difensori degli alcolici si trovarono improvvisamente in una posizione molto scomoda. Con la loro lealtà alla loro nuova patria messa in dubbio, le loro obiezioni al proibizionismo furono accantonate o, in molti casi, furono loro stessi ad iniziare a tenere un profilo più basso.

Eliminato il principale ostacolo, il Congresso (dove grazie agli sforzi di uomini come Wheeler sedeva già una maggioranza di deputati e senatori favorevoli al proibizionismo) iniziò le lunghe procedure necessarie a proibire gli alcolici. Il proibizionismo, infatti, non sarebbe stato il semplice frutto di una legge: sarebbe stato inserito nella Costituzione.

Il testo dell’emendamento, il Diciottesimo, venne approvato definitivamente dalla Camera e dal Senato nel dicembre del 1917, pochi mesi dopo la dichiarazione di guerra alla Germania. Per entrare in vigore l’emendamento doveva essere ratificato da due terzi degli stati. In un ultimo tentativo di bloccare il proibizionismo, i “wet” erano riusciti a inserire un comma: se entro 7 anni non si fosse raggiunto un numero sufficiente di ratifiche da parte dei singoli stati, l’emendamento sarebbe considerato decaduto. Gli stati impiegarono poco più di un anno a ratificarlo. Nel gennaio del 1919 il Nebraska divenne il 36esimo stato a ratificare l’emendamento. Il 28 ottobre dello stesso anno il Diciottesimo Emendamento alla Costituzione degli Stati Uniti entrò quindi definitivamente in vigore con l’approvazione del Volstead Act da parte del Senato, e iniziò il periodo storico noto come Proibizionismo.

Il proibizionismo rimase in vigore per 13 anni e, secondo la maggior parte degli storici, fallì nel suo obiettivo. Secondo alcune statistiche, in alcuni anni il consumo di alcolici addirittura aumentò rispetto al periodo precedente (anche se complessivamente diminuì). Il divieto di produzione venne applicato a macchia di leopardo: severamente in alcune parti del paese, completamente ignorato in altre. Gli Stati Uniti furono costantemente riforniti di alcol di contrabbando. Grazie ai proventi di questo commercio illegale nacque una nuova generazione di criminali e il proibizionismo contribuì a trasformare Chicago in una delle capitali mondiali del crimine.

Nel frattempo, mentre i ricchi (compresi i ricchi “dry”) continuavano a bere alcol dalle loro personali riserve o importandolo di contrabbando, i poveri si dovevano arrangiare con prodotti artigianali e spesso tossici. Mentre complessivamente le malattie da consumo cronico di alcol diminuirono, centinaia di persone morirono e migliaia rimasero accecate o con altri danni permanenti a causa del consumo di alcol tossico. Nel 1933, sotto la pressione di un’opinione pubblica oramai stanca e di una vasta disoccupazione che si pensava di poter alleviare facendo ripartire l’industria degli alcolici, il Volstead Act venne abolito (questa è un’altra storia, che avevamo raccontato qui).