• Mondo
  • Domenica 27 ottobre 2019

Oggi si vota in Argentina

Il favorito per la vittoria è il candidato peronista Alberto Fernández, che alle "pre-elezioni" ha ottenuto 15 punti in più del presidente uscente Mauricio Macri

Alberto Fernández (a sinistra) e Mauricio Macri (a destra)

(AP Images)
Alberto Fernández (a sinistra) e Mauricio Macri (a destra) (AP Images)

Oggi si svolgerà in Argentina il primo turno delle elezioni presidenziali, mentre un eventuale ballottaggio è previsto per il 24 novembre: nel sistema elettorale argentino per evitare il ballottaggio un candidato deve ottenere almeno il 45 per cento dei voti, oppure il 40 per cento con un margine di almeno il 10 per cento sul secondo classificato.

Le elezioni arrivano a poco più di due mesi dalle “pre-elezioni” – un sistema di elezioni primarie con cui sono stati scelti i candidati dei partiti, che di fatto costituiscono una sorta di sondaggio nazionale in anticipazione delle presidenziali – e in un contesto di grave crisi economica, con il paese in recessione, un’inflazione annuale superiore al 53 per cento, e la povertà che è arrivata a interessare il 34,1 per cento della popolazione.

I candidati principali sono il presidente uscente, Mauricio Macri, del partito di centrodestra Juntos por el cambio, che ha scelto come vice Miguel Ángel Pichetto, e Alberto Fernández del Frente de Todos, che ha 60 anni ed è stato capo di gabinetto di Cristina Kirchner e di suo marito Nestor, morto nel 2010. Fernández, che è un professore universitario di diritto ed è considerato un peronista moderato, ha scelto come vice proprio Cristina Kirchner, che è stata presidente del paese dal 2007 al 2015. Tra gli altri candidati con minori possibilità di vittoria c’è Roberto Lavagna, a capo della coalizione di centro Consenso Federal 2030, economista ed ex ministro dell’Economia sotto Néstor Kirchner.

Come sono andate le primarie

Le “pre-elezioni” – chiamate “primarie simultanee obbligatorie” (“PASO”, in spagnolo) – obbligano tutti i partiti che intendono partecipare alle elezioni presidenziali a presentare almeno un candidato. Il sistema obbliga anche gli elettori e le elettrici: non votare, senza una valida giustificazione, rischia di portare a una multa. Non c’è nessuna competizione interna ai partiti, e per questo le primarie vengono considerate come un grande sondaggio nazionale in vista delle elezioni vere e proprie.

Queste “pre-elezioni” sono andate molto male per Mauricio Macri, mentre è andato sorprendentemente bene Fernández: quest’ultimo ha ottenuto il 47,79 per cento delle preferenze, mentre Macri il 31,80. Lavagna, invece, si è fermato all’8,15 per cento.

Se queste percentuali venissero confermate anche alle elezioni presidenziali, sarebbe una sconfitta molto pesante per Macri e per le politiche attuate dal suo governo in questi quattro anni. Nel 2015 Macri era stato eletto al secondo turno, sconfiggendo il candidato peronista Daniel Scioli, e diventando il primo presidente di centrodestra dopo 12 anni di governo della sinistra populista, i cosiddetti “peronisti”.

All’epoca Macri promise che avrebbe rivoluzionato la politica dell’Argentina e che avrebbe fatto ripartire l’economia aprendola ai mercati internazionali, ma questo non è avvenuto. Nel frattempo, infatti, il paese è stato colpito da una nuova crisi economica, che ha costretto il presidente a chiedere un prestito da 57,1 miliardi di dollari al Fondo Monetario Internazionale (com’era già accaduto diverse volte in passato) e a imporre una serie di misure di austerità. Tutto questo ha fatto calare la popolarità di Macri nel paese, come hanno dimostrato i risultati delle primarie, mettendo in forte rischio una sua rielezione.

Cosa è successo nel frattempo

Tutta la campagna elettorale si è svolta soprattutto intorno ai temi economici, con Fernández che ha accusato Macri di aver portato il paese a una situazione molto peggiore di quella in cui lo aveva lasciato Cristina Kirchner nel 2015, e Macri che invece ha continuato ad accusare i governi passati per la grave situazione economica lasciatagli in eredità e per non essere riuscito ad attuare le riforme promesse allora.

La sconfitta di Macri alle “pre-elezioni” ha avuto infatti fin da subito ripercussioni sull’economia argentina, con il valore del peso che è inizialmente calato del 30 per cento rispetto al dollaro, per poi risalire e fermarsi a una diminuzione del 15 per cento. Una vittoria di Fernández è stata vista con timore dai mercati finanziari, che giudicano un ritorno dei populisti al governo come un pericolo per la stabilità economica del paese. A preoccupare sono soprattutto le promesse di consistenti interventi economici fatte da Fernández, a cominciare dall’aumento delle pensioni e altre politiche di welfare, e la promessa di una rinegoziazione dell’accordo con il Fondo Monetario Internazionale in caso di vittoria.

Per evitare di far calare ulteriormente il valore del peso, il governo di Macri ha introdotto una serie di controlli sulla circolazione dei capitali, cercando così di tenere bassa l’inflazione ed evitare una nuova bancarotta del paese. Un decreto presidenziale ha introdotto alcune misure straordinarie, in vigore fino alla fine del 2019, che hanno stabilito che le persone fisiche non possano acquistare valuta estera né fare trasferimenti di fondi dai propri conti bancari verso l’estero per una cifra superiore a 10 mila dollari al mese. Il decreto, inoltre, ha stabilito che le società argentine chiedano l’autorizzazione della Banca centrale del paese (BCRA) per acquistare valuta estera e per trasferire all’estero i propri utili.